Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1511 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8874-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 58/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

PESCARA, depositata il 19/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS MARIELLA che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento l’agenzia delle entrate ha contestato a M.T. ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 41 bis di aver omesso di presentare dichiarazione dei redditi ai fini IRPEF per l’anno di imposta 2002, accertando la relativa imposta oltre interessi e irrogando sanzioni.

Su ricorso della contribuente che ha dichiarato di avere parzialmente scontato in Canada l’imposta dovuta e ha chiesto l’annullamento in parte dell’avviso, la commissione tributaria provinciale di Chieti ha escluso la debenza di sanzioni, rigettando il ricorso per il resto, con sentenza confermata dalla commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, la quale stante “la complessità della disciplina tributaria applicabile alla fattispecie e la possibile incertezza del momento applicativo” ha dichiarato non dovute sanzioni ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8.

Avverso questa decisione l’agenzia propone ricorso per cassazione affidato a un motivo, rispetto al quale la contribuente non svolge difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente si dà atto che è stata autorizzata la redazione della sentenza in forma semplificata ai sensi del decreto del primo presidente del 14 settembre 2016.

2. – Con l’unico motivo del ricorso l’Agenzia lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 da parte della sentenza impugnata che ha applicato la norma a un caso non riconducibile all’oggettiva incertezza sull’interpretazione e sulla portata applicativa di una norma tributaria.

3. – Il motivo, e quindi il ricorso, sono fondati. E’ necessario sul punto dare continuità alla giurisprudenza di questa corte (sez. 5, n. 440 del 14/01/2015, sez. 6 – 5, n. 18031 del 24/07/2013, sez. 5, n. 4031 del 14/03/2012, tra le recenti) secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza su portata e ambito di applicazione delle norme cui la violazione si riferisce – potere riconosciuto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 e ribadito, con più generale portata, dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2 – sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente. L’applicazione dell’art. 8 cit. postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito (così sez. 5, n. 24670 del 28/11/2007 e n. 13457 del 27/07/2012).

4. – Si legge nella sentenza gravata che il fascicolo processuale di specie conterrebbe “diversi atti, di produzione sia di parte che dell’Ufficio, che, singolarmente letti e complessivamente riassunti, dimostrano la complessità della disciplina tributaria applicabile alla fattispecie e la possibile incertezza nel momento applicativo”. Si comprende da tale statuizione, della cui adeguatezza motivazionale non si discute in questa sede, e dal contesto in cui essa è inserita (cfr. lo “svolgimento del processo” ove è dato conto delle questioni circa le conoscenze, linguistiche e ordinamentali, della contribuente – cfr. infra) che le condizioni di incertezza su portata e ambito di applicazione delle norme cui la violazione sono state, dalla commissione di merito, riferite alla posizione della contribuente e non a quella del giudice, come imposto dalla predetta ricostruzione del senso della norma, secondo cui l’incertezza deve essere oggettiva. Nel confermare la statuizione di primo grado, del resto, la commissione regionale disattende l’appello dell’Ufficio il quale – al di là del richiamo, anche innanzi a questa corte, al concetto di incertezza “obiettiva” – ha comunque contrastato per tuziorismo la decisione della commissione provinciale sul fronte dell’inesistenza anche di una incertezza soggettiva della contribuente: ciò emerge testualmente dalla sentenza impugnata, che riporta – come accennato – il dato per cui l’ufficio ha fatto emergere “diverse situazioni di fatto, che tendono a dimostrare la buona conoscenza della lingua italiana” da parte della contribuente canadese e il fatto che “è residente in Italia fin dall’11.3.2002”; dati che, giusta quanto indicato in ricorso, risulterebbero ulteriormente arricchiti da elementi citati nel p.v.c. n. 94 del 26 marzo 2003.

3. – L’impugnata sentenza va dunque cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può questa corte pronunciare nel merito e, posto che gli elementi addotti a sostegno dell’applicabilità della disciplina dell’art. 8 cit. sono tutti di natura soggettiva, sostanzialmente riferiti alla valutazione della sufficiente permanenza in Italia della contribuente perchè fosse consapevole dei suoi obblighi tributari, non contestati nella debenza, nulla essendo dedotto circa insuperabili ostacoli alla conoscenza di essi, rigettare l’originario ricorso della contribuente medesima.

4. – Compensate le spese dei gradi di merito, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, pronunciando nel merito, rigetta l’originario ricorso della parte contribuente, che condanna alla rifusione a favore dell’agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1500 per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito; compensa le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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