Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15106 del 21/07/2016

Cassazione civile sez. VI, 21/07/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 21/07/2016), n.15106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19318/2014 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

PRINA 24, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA MERCOGLIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SONIA SPALITTA giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE ENNA, AGENZIA DELLE

ENTRATE DIREZIONE CENTRALE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 98/21/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PALERMO SEZIONE DISTACCATA di CACIANISSETTA del

11/03/2013, depositata il 08/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore Cons. Dott. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

P.G. ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale Sicilia, confermando la sentenza di primo grado della CTP di Enna n. 262/1/2009, ha (per quanto ancora qui rileva) respinto la domanda di rimborso IRPEF avanzata dal contribuente il 12/02/2007 con riferimento atte ritenute effettuate dal suo datore di lavoro sulle somme corrisposte quale incentivo alle dimissioni; domanda basata sul contrasto – accertato con la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 21.7.05, in causa C-207/04 – tra la Direttiva comunitaria 76/207 CE e la disposizione dettata dall’art. 19, comma 4 bis T.U.I.R..

La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che, con riferimento agli importi trattenuti sulle somme corrisposte in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro avvenuta il 1.10.1998, la domanda di rimborso andasse rigettata perchè effettuata oltre il termine di decadenza di 48 mesi previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e decorrente dalla data del pagamento asseritamente indebito, senza che possa costituire una deroga a tale previsione l’ipotesi di diritto alla restituzione originatosi per effetto della caducazione di norme interne a seguito di pronuncia giurisdizionale di conflitto con la disciplina europea, integrandosi in siffatta ipotesi una mera difficoltà di fatto all’esercizio del diritto, non impeditiva della facoltà di far valere giudizialmente la pretesa restitutoria.

Il ricorso si articola su unico motivo.

Esso concerne la doglianza (formulata principalmente a termini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla previsione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, ed inoltre con riferimento ad ulteriori disposizione di legge interna ed eurounitaria) con la quale è censurata la decisione impugnata per non avere tenuto conto del fatto che la ritenuta della quale è chiesto il rimborso nella misura del 50% era prevista per legge (prima dell’intervento della CGE), sicchè solo dopo detto intervento (e cioè dalla data di pubblicazione della menzionata sentenza nella Gazzetta Ufficiale dell’EU in data 3.9.2005) era stato sancito il principio contrario alla previsione dell’ordinamento interno. Perciò il giudicante aveva errato non facendo decorrere il termine di decadenza dal momento in cui il diritto avrebbe potuto essere concretamente fatto valere, con riferimento al quale la istanza sarebbe stata sicuramente tempestiva.

L’Agenzia delle entrate non si è difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Mette conto qui soltanto di rilevare che la questione di diritto proposta dal motivo di impugnazione è stata compiutamente esaminata e risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13676/14, che ha affermato il principio secondo cui, nel caso in cui un’imposta venga dichiarata incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, il termine di decadenza previsto dalla normativa tributaria (per le imposte sui redditi, D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38) per l’esercizio del diritto al rimborso, attraverso la presentazione di apposita istanza, decorre dalla data del versamento dell’imposta e non da quella, successiva, in cui è intervenuta la pronuncia che ha sancito la contrarietà della stessa all’ordinamento comunitario; altresì precisando che la tutela dell’affidamento incolpevole deve considerarsi recessiva rispetto al principio della certezza delle situazioni giuridiche.

Le Sezioni Unite della Corte hanno utilmente rammentato (e quindi chiaramente convalidato) che, con riferimento all’anzidetto problema, questa Corte aveva già avuto occasione di affermare “che: a) il principio posto dall’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione “comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” – il quale e da ritenersi applicabile anche alla decadenza – deve essere inteso con riferimento alla sola possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilita di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto (Relazione al codice, 1198) (Cass. n. 10231 del 1998, che richiama Cass. n. 9151 del 1991); b) tra gli impedimenti di fatto va annoverato anche l’ostacolo all’esercizio di un diritto rappresentato dalla presenza di una norma costituzionalmente illegittima, in quanto chi si ritenga leso da tale limitazione ha il potere di percorrere la via dell’instaurazione di un giudizio e nel corso di tale giudizio richiedere che venga sollevata la relativa questione; se subisce passivamente detto impedimento, non può sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga ad esaurirsi; c) a maggior ragione, non può essere ravvisato un impedimento legale, come tale idoneo ad incidere sulla decorrenza della prescrizione, nella presenza di una norma di diritto nazionale incompatibile con il diritto comunitario, posto che – mentre l’accertamento della illegittimità costituzionale di una norma e riservato ad un organo diverso dall’autorità giurisdizionale, con la conseguenza che, quando la questione sia sollevata nel corso di un giudizio, esso deve essere sospeso fino a quando la questione non sia decisa (L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23) – il contrasto tra la norma di diritto interno e quella comunitaria può essere rilevato direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa, e tenuto a non darle applicazione, anche quando sia stata emanata in epoca successiva a quella comunitaria (Cass. nn. 10231 del 1998, cit., 7176 del 1999 e succ.; cfr., anche, Cass. n. 18276 del 2004)”.

Nè può darsi qui rilievo alcuno alle prospettazioni di parte ricorrente circa l’esistenza di un legittimo affidamento ingenerato dalla disciplina normativa interna e dalle condotte della stessa Pubblica Amministrazione, giacchè la parte ricorrente non ha formulato il proprio ricorso in modo adeguatamente autosufficiente, onde specificare con quali modalità la questione sia stata prospettata anche davanti ai giudici di merito, onere che appare da assolversi in modo ancor più incisivo alla luce del fatto che la pronuncia impugnata non si è occupata affatto della questione.

Anche nella specie di causa deve darsi continuità perciò ai principi espressi e richiamati dalla menzionata pronuncia delle sezioni unite, sicchè non resta che concludere nel senso che la pronuncia impugnata non merita cassazione.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza.

Roma, 10 febbraio 2016.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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