Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15105 del 08/07/2011

Cassazione civile sez. I, 08/07/2011, (ud. 15/03/2011, dep. 08/07/2011), n.15105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.E. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

28/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.E., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli depositato nel giugno 2008, proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. Campania per il riconoscimento di differenze retributive, iniziato nel luglio 1990 ed ancora pendente al momento della proposizione della domanda. La Corte d’appello, con decreto depositato il 29 novembre 2008, ritenuta la durata ragionevole di tre anni, dichiarava prescritto il diritto all’indennizzo maturato sino al 10.6.1998, e liquidava il danno non patrimoniale per la residua durata irragionevole di dieci anni e cinque mesi circa la somma di Euro 8.333,00 (pari ad Euro 800 per anno di ritardo) oltre a interessi legali ed alle spese del procedimento, liquidate in Euro 24,50 per spese, Euro 330,00 per diritti e Euro 535,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Avverso tale decreto il D. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 9 luglio 2009, formulando dieci motivi. Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con i primi cinque motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 p. 1 CEDU) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ed omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5; art. 112 c.p.c.).

Secondo l’istante, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi, applicando la normativa CEDU secondo la giurisprudenza della Corte europea e disapplicando la L. n. 89 del 2001, art. 2, che con essa contrasti, in relazione non già al tempo eccedente la ragionevole durata bensì all’intera durata del processo, ed in misura non inferiore a Euro 1000,00/1.500,00 per anno (motivi 1, 2 e 5); nella specie peraltro il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detti parametri (motivi 3, 4 e 6).

Inoltre, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00, concernente la controversia su diritti inerenti a rapporti di lavoro, ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda così violando l’art. 112 c.p.c. (motivo 7) e l’obbligo di motivazione su un punto decisivo (motivo 8).

1.1.- I motivi nono e decimo denunciano violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 794 del 1942, art. 24, artt. 91 e 92 c.p.c. e normativa sulle tariffe professionali) in relazione alla liquidazione delle spese compiuta dal giudice di merito in misura difforme dalla nota spese depositata, nonchè vizio di motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5).

2.- I motivi indicati nel p. 1, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono infondati.

2.1- Quanto al rapporto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra tali normative possa essere risolto semplicemente con la “non applicazione” della norma interna.

Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla legge n. 89/2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001:

qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007). D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo, di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008). Rettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato, facendo peraltro espresso richiamo ai principii qui esposti.

2.2- Quanto alla liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale, va osservato che la Corte di merito, riconoscendo al ricorrente a tale titolo la somma di Euro 8.333,00 per dieci anni e cinque mesi circa di durata irragionevole, non si è sostanzialmente discostato dai parametri (oscillanti tra Euro 1000 e 1500 per anno) normalmente adottati dalla Corte Europea in casi analoghi, ai quali ha fatto espresso riferimento, precisando che l’omessa presentazione di istanza di prelievo faceva presumere uno scarso interesse del ricorrente per la sollecita definizione del procedimento presupposto.

Ha dunque validamente esercitato la sua discrezionalità -esponendo congrua motivazione- nella determinazione dell’indennizzo nel rispetto dello standard della CEDU, che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius.

2.3- Quanto al mancato riconoscimento di una somma forfetaria di Euro 2.000 (cd. bonus) in relazione alla circostanza che il giudizio presupposto aveva ad oggetto una controversia di lavoro, deve respingersi la tesi che tale somma ulteriore vada riconosciuta automaticamente in ogni caso di controversia di lavoro o previdenziale. La ragione di tale bonus, che la giurisprudenza europea riconosce laddove la particolare importanza di taluni giudizi induca a ritenere che il pregiudizio per la loro durata irragionevole sia stato maggiore, postula l’accertamento e la valutazione nel caso specifico delle particolari circostanze alle quali sia da ricondurre tale eventuale maggior pregiudizio. Nella specie, il giudice del merito non ha ritenuto di attribuire tale ulteriore indennizzo forfetario, escludendo espressamente che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato dall’istante: la critica del punto della decisione non può essere affidata alla contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni – e se del caso alle prove – addotte nel giudizio di merito. Ciò che non è dato riscontrare nel ricorso in esame.

3.- Anche con riferimento alla liquidazione delle spese di lite effettuata nel provvedimento impugnato il ricorso è infondato, atteso che tale liquidazione rispetta complessivamente i minimi inderogabili di tariffa, nella specie determinabili in Euro 360,00 per diritti e Euro 500,00 per onorari.

4.- Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, in Euro 1000,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA