Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15103 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. II, 22/06/2010, (ud. 26/02/2010, dep. 22/06/2010), n.15103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4466/2007 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

D.L.M., D.N.F., D.N.R., EDIL DI NIOLA

SAS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 461/2006 del TRIBUNALE di SALERNO

dell’11.7.05, depositata il 27/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

E’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il tribunale di Salerno con sentenza del 27 gennaio 2006 ha accolto l’opposizione proposta da D.L.M., D.N.F., D.N.R., la Edil Di Nola sas avverso il Ministero dell’Economia per l’annullamento del decreto con cui era stato ingiunto a ciascuno di loro il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 3305,00 per violazione dell’arte lei della L. n. 197 del 1991. Gli opponenti avevano sostenuto di aver corrisposto al venditore il prezzo di acquisto di un immobile frazionandolo in assegni bancari e contanti versati con importi non superiori, in ogni caso, ai venti milioni di lire. La sentenza impugnata ha reputato che presupposto della sanzione fosse il versamento di parte del prezzo (circa 320 milioni di lire) in contanti ed in unica. soluzione senza l’intervento degli intermediar abilitati, circostanza che l’amministrazione non avrebbe adeguatamente provato.

Il Ministero dell’Economia ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 29 gennaio 2007, affidandosi a due motivi. Gli opponenti sono rimasti intimati.

Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso, perchè manifestamente fondato quanto al secondo motivo.

La prima censura concerne “violazione degli artt. 38, 39 e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 2 e 3. Il Ministero sostiene che il decreto sanzionatorio era già stato impugnato con precedente atto di opposizione, che era stato respinto dal tribunale di Roma mediante ordinanza di convalida divenuta definitiva perchè non impugnata. Lamenta che il tribunale di Salerno avrebbe commesso un errore in procedendo, avendo superato l’eccezione “con motivazione apparente”. Il motivo non è prospettato, come sarebbe stato logico attendersi, quale omessa pronuncia in relazione a eccezione di giudicato (violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), ma quale vizio di violazione di legge in relazione alla assenza di motivazione o quale improcedibilità ex art. 324 c.p.c.. Tale prospettazione è errata: è infatti inconferente il riferimento in tal senso all’art. 324 c.p.c., che si riferisce al giudicato formale, il quale si concreta in una preclusione alla riproposizione della questione soltanto davanti al giudice dello stesso processo, ma non fa stato in un distinto giudizio promosso dalle stesse parti dinanzi ad un giudice diverso (Cass. 12117/06). E’ altrettanto incongrua la censura sulla motivazione, mancando ogni riferimento alla esistenza in atti di una risultanza (il provvedimento del tribunale di Roma) attestante la preclusione invocata.

Anche in sede di legittimità parte ricorrente avrebbe dovuto e potuto documentare la decisione di convalida sulla precedente opposizione, potendo farlo nei termini processuali riassunti da SS.UU. n. 13916/06 (“La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione”). In mancanza di tale produzione documentale, la doglianza risulta priva di fondamento.

Il secondo motivo, che espone violazione dell’art. 1 della L. n. 197 del 1991, e della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, lamenta che il giudice di merito abbia posto a carico dell’amministrazione l’onere di provare che il pagamento del saldo prezzo fosse avvenuto in contanti, sebbene controparte avesse dedotto essa stessa “una pluralità di dazioni per contanti inferiori ciascuna al limite della franchigia”. Il motivo è manifestamente fondato. Questa Corte ha già avuto modo di affermare – e intende qui ribadire – che in tema di sanzioni amministrative per violazione della normativa antiriciclaggio, il divieto posto dal D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, conv. in L. n. 197 del 1991, di trasferire denaro contante e titoli al portatore per importi superiori a L. 20.000.000 (ora Euro 12.500) senza il tramite di intermediar abilitati, fa riferimento al valore dell’intera operazione economica alla quale il trasferimento è funzionale e si applica anche quando detto trasferimento si sia realizzato mediante il compimento di varie operazioni, ciascuna di valore inferiore o pari al massimo consentito (Cass. 8698/07).

Ne consegue che sulla base delle stesse affermazioni di parte opponente, la quale, secondo la sentenza impugnata (pag. 3), aveva dedotto di aver effettuato pagamenti per almeno 213 milioni e L. 500 mila in contanti, frazionando la somma tra 1/8 giugno e il 13 luglio 1992 con versamenti inferiori a L. venti milioni, sussisteva la violazione contestata.

Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo. Si può far luogo, con decisione di merito ex art. 384 c.p.c., al rigetto dell’originaria opposizione, giacchè non risultano altri motivi di opposizione, nè sono necessari altri accertamenti di fatto per pervenire al giudizio di infondatezza delle ragioni dedotte dagli opponenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione originaria. Condanna gli intimati, in solido tra loro, alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 800 per onorari, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

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