Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15101 del 08/07/2011

Cassazione civile sez. I, 08/07/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 08/07/2011), n.15101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 25879 dell’anno 2008 proposto da:

T.R., elett. dom.ta in Napoli, Via Andrea d’Isernia, n. 8,

nello studio degli Avv. ROMANELLI Francesco e Giovanna Cerreto, che

la rappresentano e difendono, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli, n. 5468,

depositato in data 18 giugno 2008;

sentita la relazione all’udienza del 1 marzo 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Aurelio Golia, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto in data 4/18 giugno 2008 la Corte di appello diNapoli condannava il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore di T.R. della somma di Euro 18.400,00 oltre interessi e spese (queste ultime nella misura di metà, compensandole nel resto), a titolo di indennizzo del danno non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un processo promosso dinanzi alla Corte dei conti il 4 agosto 1976, definito in data 20 giugno 2007.

1.1- A fondamento della decisione, la Corte di merito, considerata ingiustificata l’eccessiva dilatazione dei tempi processuali, il danno non patrimoniale potesse determinarsi attribuendo Euro 500,00 per ogni anno di ritardo oltre il periodo, di tre anni, entro il quale il procedimento avrebbe dovuto ragionevolmente concludersi.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto la T. ricorre sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’economia e delle finanze non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3, nonchè dell’art. 91 c.p.c., e segg., per a ver la Corte territoriale utilizzato criteri di liquidazione difformi da quelli normalmente adottati dalla Cedu, e per aver compensato per metà le spese processuali.

Vengono, in proposito, formulati seguenti quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: A) “Dica la Corte se ai fini di una corretta valutazione del danno non patrimoniale il giudice nazionale debba tenere conto o meno della forbice di valori da Euro 1.000,00 ad Euro 1.500,00 per anno, individuata come base di calcolo dalla CEDU, ovvero se il giudice del merito possa operare tale valutazione solo ed unicamente ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., considerandosi, pertanto, sciolto da ogni criterio obiettivo di valutazione”.

B) “Dica la Corte, nell’ipotesi in cui ritenga che il giudice dell’equa riparazione debba muoversi tra il minimo di Euro 1.000,00 e il massimo di Euro 1.500,00 – come individuato dalla CEDU – avendo l’obbligo di motivare eventuali scostamenti in difetto o in eccesso rispetto a tali valori, se il giudice di prime cure nell’emettere il provvedimento impugnato abbia o meno omesso di motivare la sua scelta di liquidare il danno non patrimoniale riconosciuto (anni 31 e mesi dieci di ritardo) nella sola somma di Euro 18.400,00 pari ad appena Euro 500,00 per anno”.

C) “Dica la Corte se in considerazione della dichiarata contumacia dell’amministrazione convenuta e della copiosa giurisprudenza fiorita abbia legittimamente la Corte partenopea ritenuto sussistere giusti motivi per dichiarare la compensazione delle spese per la metà”.

2.1 – Il motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato.

Vale bene premettere che il quesito sub C), concernente il regolamento delle spese processuali (prospettato, sotto il profilo motivazionale, nel quinto motivo, della cui inammissibilità si dirà oltre) , non trova alcun riferimento nelle censure illustrate nel motivo in esame, a prescindere dal rilievo che, per come il quesito risulta formulato, non si comprende come la disposizione contenuta nell’art. 92 c.p.c., nella formulazione che, ratione temporis, interessa la decisione impugnata, possa essere stata violata mediante parziale applicazione della compensazione che la stessa norma espressamente prevede.

2.2 – Quanto al profilo concernente la liquidazione del pregiudizio inerente alla durata non ragionevole di un procedimento presupposto, va ribadito che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte Europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo e, secondo la giurisprudenza di questa Corte, avendo riguardo al parametro di Euro 1.000,00/Euro 1.500,00 per anno di ritardo dopo i primi tre anni, per i quali l’indennizzo è pari a Euro 750,00 per anno.

Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante;

per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 3 0064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006).

Tanto premesso, deve rilevarsi che, con riferimento ai giudizi, come quello in esame, di natura contabile – amministrativa, la più recente giurisprudenza di questa Sezione (Cass., 27 maggio 2010 n. 13019; Cass., 10 dicembre 2010, n. 25055; Cass., 5 gennaio 2011, n. 246; Cass., 13 gennaio 2011, n. 734; Cass., 14 febbraio 2011, n. 3641), sulla base dei crìteri desumìbili dalle decisioni della Corte di Strasburgo del 2010 sui ricorsi MARTINETTI ET CAVAZZUTI c. ITALIE e GHIROTTI ET BENASSI C. ITALIE per i giudizi contabili e amministrativi, ha enunciato il principio – correttamente applicato dalla corte territoriale – secondo cui “deve ritenersi congrua, anche in base a quanto afferma la Corte d’appello in ordine alla esiguità della posta in gioco per l’esiguità del trattamento pensionistico chiesto e denegato dalla Corte dei Conti, la riparazione per la somma indicata di meno di Euro 500,00 annui, anche maggiore di quella recentemente determinata dalla C.E.D.U. per il danno non patrimoniale di un processo amministrativo italiano” (Sez. 2^, 16 marzo 2010, Volta et autres C. Italie, Ric. 43674/02).

Per tale motivo, avendo la Corte territoriale sostanzialmente rispettato codesti criteri, la doglianza non può ritenersi fondata.

2.1 – Gli ulteriori motivi, con i quali si deduce, sotto vari profili, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono inammissibili. Premesso, invero, che la sentenza impugnata risulta depositata in data 18 giugno 2008, debbono trovare applicazione le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), con particolare riferimento all’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica-l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1-2-3- 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, – con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che da esso discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis:

Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Nel caso di specie tale formulazione è assolutamente carente.

Nessuna statuizione va adottata in merito al regolamento delle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2011

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