Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 151 del 08/01/2021

Cassazione civile sez. III, 08/01/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 08/01/2021), n.151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28226-2019 proposto da:

N.K., elettivamente domiciliato in Avellino, alla via

pescatori, 60, presso l’avv. LUIGI NATALE, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente -1

avverso la sentenza n. 4221/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, N.K., è cittadino del (OMISSIS). Racconta di essere fuggito dal suo Paese in quanto ingiustamente accusato dell’omicidio della moglie, morta per un incidente di caccia, mentre era con lui da sola. N. ha dichiarato di aver fatto tre mesi di custodia cautelare, quando, rimesso in libertà, è fuggito via, per evitare un processo ingiusto in cui avrebbe pesato l’accanimento della famiglia della moglie, che lo riteneva colpevole dell’accaduto.

Ha chiesto di beneficiare sia della protezione internazionale che di quella sussidiaria, che del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La Commissione territoriale ha rigettato tutte le sue richieste, e N. ha impugnato questa decisione al Tribunale di Napoli che, con successiva decisione, ha confermato il giudizio negativo della Commissione territoriale.

Il ricorrente propone ora tre motivi di ricorso. Il Ministero dell’Interno non si è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della sentenza impugnata è nel rilievo dato alla commissione del reato. Ritiene il Tribunale che, dando per credibile il racconto del ricorrente, bisogna allora prendere atto che egli è accusato di un reato grave (omicidio) in presenza del quale il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10 esclude il diritto alla protezione internazionale (lo status di rifugiato), esclusione confermata dall’art. 16 stessa legge quanto alla protezione sussidiaria. La commissione di un reato comporta, poi, logicamente il rifiuto della protezione umanitaria. Peraltro, quest’ultima sarebbe da escludersi altresì in quanto il ricorrente non ha prospettato possibili violazioni di suoi diritti, neanche in relazione alla condizione giudiziaria e carceraria.

2.- Il ricorrente propone tre motivi di ricorso. Con il primo motivo denuncia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).

Si deduce però, al di là della rubrica del motivo, che il ricorrente ha inteso prospettare anche erronea o inesatta interpretazione delle norme sulla protezione sussidiaria, ed in particolare erronea interpretazione della L. n. 251 del 2007, art. 16.

Sostiene che la corte di merito ha espresso un giudizio ostativo al riconoscimento della protezione sulla base di una mera accusa di reato, e non già in ragione della effettiva commissione di esso. Inoltre, al di là di ciò, ha omesso di considerare le condizioni carcerarie e la situazione penale del (OMISSIS), in cui è prevista la pena di morte per l’omicidio.

Il motivo è fondato.

Intanto, va considerato che il rifiuto di protezione presuppone che vi siano fondati motivi per ritenere che lo straniero abbia effettivamente commesso un reato grave e tali motivi non possono desumersi semplicemente dalla esistenza di un procedimento penale in corso (Cass. 25073/ 2017).

Ma soprattutto, sempre quanto alla protezione sussidiaria, la corte ha omesso di considerare, venendo meno all’obbligo di cooperazione istruttoria (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8), se, pur accertato che vi fossero motivi fondati per ritenere commesso un grave reato, per quell’illecito penale il (OMISSIS) preveda o meno la pena di morte, come allegato dal ricorrente, caso nel quale è invece imposta la protezione sussidiaria dello straniero.

3.- Con il secondo motivo si lamenta omesso esame di un fatto rilevante e discusso in giudizio, ossia la situazione socio politica del (OMISSIS).

4.- Con il terzo motivo invece il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 in quanto la corte avrebbe eluso l’accertamento delle ragioni per la protezione umanitaria, non considerando la situazione del (OMISSIS) ed, in ultima analisi, le condizioni di vulnerabilità.

Il secondo motivo è fondato. Il terzo può dirsi assorbito.

Va infatti considerato che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari (secondo la normativa vigente “ratione temporis”) presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali. Ne consegue che anche laddove il richiedente abbia commesso fuori del territorio nazionale un reato grave (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b e art. 16, comma 1, lett. b) e, tuttavia, venga accertato il rischio, in caso di rientro nel Paese di origine, di sottoposizione a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, secondo i principi affermati dall’art. 3 CEDU, tale evenienza va presa in considerazione dal giudice della protezione internazionale, con l’ausilio dei poteri ufficiosi che gli competono, anche nelle fattispecie antecedenti all’entrata in vigore della L. n. 110 del 2017 che prevede che, in nessun caso, possa disporsi l’espulsione dello straniero qualora esistano fondati motivi di ritenere che esso rischi di essere sottoposto a tortura (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19) (Cass. 5358/2019).

Anche in tal caso, l’obbligo di cooperazione istruttoria imponeva di valutare le conseguenze del ripatrio proprio a cagione dell’accusa mossa al ricorrente e se, in relazione a tale accusa, vi sia eventualità di trattamenti degradanti o di torture, o di trattamenti inumani.

Il ricorso va pertanto accolto.

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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