Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15099 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. III, 31/05/2021, (ud. 22/01/2021, dep. 31/05/2021), n.15099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35853/2018 proposto da:

AMT AZIENDA MOBILITA’ E TRASPORTI SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato

ALEXANDER BEECROFT, e con il medesimo elettivamente domiciliato in

ROMA, in VIA SCIPIO SLATAPER 9, presso lo studio dell’avvocato

ENRICO DE CARO, pec: alexanderbeecroft.ordineavvgenova.it;

enricodecaro.ordineavvocatoroma.org;

– ricorrente –

contro

AGOS DUCATO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIER ANDREA MILANINI, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo pec:

piermilanini.pecavvocati.it;

– controricorrente –

e contro

D.M.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 907/2018 del TRIBUNALE di NOVARA, depositata

il 05/10/2018;

udita la reazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CORRADO MISTRI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Logos Finanziaria SpA agì in monitorio nei confronti della società Atm SpA per ottenere il pagamento della somma di Euro 4.384,52 a titolo di rate di finanziamento alla cui restituzione era obbligato il dipendente di Atm D.M.F., che aveva stipulato con Logos Finanziaria un contratto di finanziamento garantito da cessione volontaria di quote di stipendio/pensione e del Tfr. La società Atm SpA propose opposizione esponendo che il finanziamento concesso a D.M. da Logos Finanziaria era stato contratto dal proprio dipendente quando era già in corso di ammortamento un finanziamento precedentemente stipulato con altra finanziaria, Unifin SpA, anch’esso garantito da cessione del quinto dello stipendio e che il secondo finanziamento aveva consentito al D.M. di estinguere il primo con aggravamento della propria posizione debitoria per il maggior importo delle rate mensili. La Atm SpA eccepì pertanto la nullità del secondo contratto per violazione del D.P.R. n. 180 del 1950, artt. 38 e 39, chiedendo per l’effetto la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

Nel contraddittorio con Logos Finanziaria e con il D.M. il Giudice di Pace adito rigettò l’opposizione compensando le spese.

Il Tribunale di Novara, adito da Atm Spa, ha rigettato l’appello ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, che alla fattispecie si applicasse non del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 39, comma 1, in quanto l’estinzione del precedente finanziamento non aveva preceduto ma seguito la stipula del nuovo, ma l’art. 39, comma 2, che prevede la possibilità della nuova cessione anche in mancanza di estinzione della precedente purchè tra le due sia decorso il termine di un quadriennio.

Il Tribunale, pur dando atto che tra le due cessioni del quinto non era intercorso il periodo previsto dalla legge di quattro anni, ha ritenute, che la violazione delle richiamate disposizioni non si traducesse in invalidità del contratto ma in violazione della norma di comportamento indirizzata agli intermediari finanziari la cui ratio è quella di correggere una situazione di asimmetria contrattuale tra il lavoratore – parte debole del contratto – e le società finanziarie: la ratio si concretizzerebbe non nella nullità del contratto per il lavoratore e dunque nella compromissione della sua autonomia negoziale ma nella responsabilità dell’intermediario finanziario e nel sorgere a suo carico dell’obbligo risarcitorio avente ad oggetto le spese e le commissioni del primo contratto, non ancora ammortizzate dal cliente per la mancata decorrenza di un lasso di tempo sufficiente all’ammortamento, in conformità a quanto statuito da questa Corte con la sentenza n. 26724 del 2007 e a numerose pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario.

3. Avverso la sentenza la società Atm SpA ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Agos Ducato SpA (già Logos Finanziaria SpA) ha resistito con controricorso.

4. La causa è stata fissata per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, in vista della quale il P.G. ha depositato conclusioni scritte nel senso dell’accoglimento del ricorso mentre Agos Ducato S.p.A ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 180 del 1950, artt. 38 e 39: errata qualificazione dei divieti ivi contenuti quali norme di comportamento indirizzate agli intermediari finanziari – la società ricorrente censura la sentenza in ordine alla esclusione della “nullità virtuale” delle previsioni di cui ai richiamati articoli, nullità che assai meglio si presterebbe a tutelare non solo l’interesse del lavoratore – protetto nella sua condizione di asimmetria contrattuale rispetto agli intermediari finanziari – ma anche l’interesse generale al buon andamento del mercato e alla esigenza di evitare fenomeni speculativi del tipo dei mutui cd. subprime.

La società ricorrente chiede pertanto che la sentenza sia in parte qua cassata previa affermazione del principio di diritto secondo il quale l’invalidità prevista dal D.P.R. n. 180 del 1950, artt. 38 e 39, è una nullità di protezione che invalida l’intero contratto.

Il P.G. ha depositato le proprie conclusioni nel senso dell’accoglimento del ricorso in ragione della ritenuta natura imperativa delle norme di cui alle menzionate disposizioni la cui osservanza, ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, integra condizione di validità del contratto di finanziamento. In favore di tale interpretazione si porrebbe sia l’inequivocabile tenore letterale della norma sia la ratio della medesima finalizzata ad evitare situazioni di eccessivo indebitamento del consumatore e dunque a tutelare il credito ed il risparmio.

1.1 Il Collegio ritiene di non aderire a tale impostazione e di rigettare il ricorso con conferma dell’impugnata sentenza per le ragioni esposte dalla parte resistente e supportate, oltre che da pronunce di questa Corte, anche da provvedimenti della Banca d’Italia e da pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario. L’orientamento consolidato, sia della giurisprudenza di merito e di legittimità nonchè arbitrale, è nel senso che quella desumibile dal D.P.R. n. 180 del 1950, artt. 38 e 39, non sia una invalidità che abbia riflesso sul contratto ma uno strumento di tutela delle ragioni del lavoratore il quale può provvedere anche alla stipula di nuovi contratti di finanziamento mediante la cessione del quinto purchè siano eliminati i maggiori costi che derivano dalla mancata possibilità, per il lavoratore stesso, di ammortizzare quelli della precedente cessione. Ne consegue che la ratio delle richiamate disposizioni non consiste nella invalidità del contratto di cessione ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, ma nella responsabilità, posta a carico del contraente professionista – intermediario finanziario – di accollarsi i maggiori costi della precedente cessione che non siano stati ammortizzati dal lavoratore per insufficiente decorso del tempo.

La Banca d’Italia, con provvedimenti del 10/11/2009 e 7/4/2011, ha espressamente previsto la possibilità della estinzione anticipata delle cessioni e, per l’ipotesi di rinnovo di operazioni di cessione in violazione del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 39, ha previsto che i clienti siano ristorati anche delle commissioni percepite dalla rete distributiva e delle quote non maturate dei premi assicurativi. Ugualmente nello stesso senso si pongono le pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario che escludono espressamente l’invalidità del secondo contratto di cessione del quinto stipulato prima del termine previsto dalla normativa di settore. Ad opinare diversamente si realizzerebbe una ingiustificata compromissione della libertà negoziale del lavoratore ed una ingiustificata disparità di trattamento tra il consumatore che concluda un prestito con certe garanzie ed il consumatore che concluda un prestito previa cessione del quinto dello stipendio.

Il Collegio, nel rigettare il ricorso, ritiene di dover dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base alla L. n. 1 del 1991, art. 6) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. “contratto quadro”, il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del “contratto quadro”; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418 c.c., comma 1, la nullità del cosiddetto “contratto quadro” o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso” (Cass., U., n. 26724 del 19/12/2007; Cass., 63, n. 25222 del 14/12/2010; Cass., 1, n. 8462 del 10/4/2014; Cass., 3, n. 525 del 15/1/2020).

Conclusivamente il ricorso va rigettato. In ragione cella peculiarietà della materia e della astratta configurabilità di diverse interpretazioni il Collegio ritiene di disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 22 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

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