Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15094 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 15094 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 23545/08) proposto da:
LANDI ANNA MARIA, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avv.to Renato Paparo del foro di Torino ed elettivamente domiciliata presso lo studio
dell’Avv.to Alessandra Flaùti in Roma, via Giuseppe Avezzana n. 31;
– ricorrente –

contro
FRASSA FABRIZIO e BERTARELLI DANIELA, rappresentati e difesi dall’Avv.to Alessandro
Sciolla del foro di Torino e dall’Avv.to Mario Contaldi del foro di Roma, in virtù di procura speciale
apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo
in Roma, via Pier Luigi da Palestrina n. 63;
– controricorrenti –

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Data pubblicazione: 02/07/2014

e contro
BOCCA ELZA, rappresentata e difesa in appello dall’Avv.to Renato Paparo del foro di Torino ed
elettivamente domiciliata presso il suo studio in Torino, via Bertolotti n. 7;
– intimata –

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27 marzo 2014 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Renato Paparo, per parte ricorrente, e Antonio Verrando (con delega
del’Avv.to Alessandro Sciolla), per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario
Giovanni Russo, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo motivo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 4 marzo 1999 Elza BOCCA evocava, dinanzi al Pretore di
Chivasso (ora Tribunale di Chivasso), Fabrizio FRASSA e Daniela BERTAREW esponendo che
suo padre, Giuseppe Bocca, aveva acquistato con i fratelli, Luigi e Michele, di cui al rogito del
5.11.1920, un appezzamento di terreno sito in località Borgo Posta di Chivasso e che con rogito
del 27.10.1939 i fratelli avevano diviso la proprietà con assegnazione del lotto secondo al padre,

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1762 depositata il 19 novembre 2007.

bene quest’ultimo a lei pervenuto, il 22.6.1974, per successione, che comprendeva una striscia di
terreno costituita da manto erboso larga cm. 60 e lunga n. 23,20, confinante con la proprietà dei
convenuti, delimitata da recinzione metallica su muretto largo cm. 20, come descritta nei rogiti,
che da sempre era stata curata dal padre, prima, e dal marito dell’attrice, Alfredo Landi, poi;
aggiungeva che il 23.6.1998 le era pervenuta una lettera da parte dei danti causa dei convenuti
con la quale veniva rivendicata la proprietà della striscia di terreno in questione ed in seguito i

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convenuti ribadivano la volontà di considerarsi proprietari di detta area compiendo anche atti di
molestia, quali lo spargimento di diserbante; chiedeva, pertanto, che si accertasse la sua
proprietà esclusiva dell’area in contestazione, priva di servitù e vincoli in favore dei convenuti, con
conseguente condanna degli stessi a cessare ogni molestia ad essa relativa.

dichiarava la proprietà della BOCCA della zona in questione, che aveva le dimensioni risultanti
dalla relazione del c.t.u.; dichiarava, inoltre, che il terreno era privo di servitù o vincoli in favore dei
convenuti; ordinava ai convenuti l’immediata cessazione di ogni molestia.
In virtù di appello interposto dai FRASSA — BERTARELLI, con il quale oltre a vizi procedurali, nel
merito, lamentavano la mancata indicazione delle ragioni di diritto sulle quali si fondava il
convincimento del giudice di prime cure, la Corte di appello di Torino, nella resistenza della
BOCCA, che peraltro chiedeva di essere estromessa per avere donato il bene alla figlia, Anna
Maria Landi, in data 9.11.2005, la quale interveniva nel giudizio, proposto appello incidentale,
rigettava l’istanza di estromissione dal giudizio della BOCCA; accoglieva il gravame principale,
respinto quello incidentale, e in riforma della sentenza di prime cure, respingeva le domande
proposte dalla BOCCA e dalla LANDI nei confronti degli appellanti; dichiarava inammissibile la
domanda di accertamento proposta in appello dagli appellanti.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale — per quanto qui di interesse premetteva che la domanda proposta dall’attrice doveva essere qualificata di accertamento della
proprietà, che seppure non riconducibile all’azione di rivendicazione, in quanto non finalizzata alla
restituzione del bene, comportava a carico dell’attrice l’assolvimento di un determinato onere
probatorio, non assolto nella specie. Evidenziava, infatti, che ad avviso della BOCCA la prova
della sua proprietà emergeva dai titoli di acquisto prodotti, nonostante il possesso fosse stato
contestato dai convenuti e lei avesse, con la memoria depositata ex art. 180 c.p.c., dedotto
circostanze dalle quali si sarebbe dovuto desumere l’intervenuto acquisto per usucapione della

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Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, il giudice adito, compiuta istruttoria,

proprietà della striscia di terreno, articolando capitoli di prova in tal senso, di cui alla memoria ex
art. 184 c.p.c., ma poi sostanzialmente insistendo per la c.t.u. per chiarire il contenuto degli atti
notarili prodotti. Aggiungeva che i convenuti avevano dichiarato di non accettare il contraddittorio
sulla domanda di usucapione, confusamente avanzata con le memorie, che comunque in seguito

precisate le conclusioni facendo richiamo semplicemente a quelle contenute nell’atto di citazione.
Quanto all’onere della prova, riteneva che nella specie fosse controversa la stessa situazione
possessoria, né potevano essere ammesse in appello le prove articolate con le memorie ex art.
184 c.p.c. in primo grado ovvero con l’atto di citazione per non avere la parte insistito per la loro
ammissione dopo l’espletamento delle consulenze tecniche. Inoltre dall’istruttoria compiuta, in
particolare dalle due consulenze, un unico dato emergeva sicuro, ossia l’impossibilità di accertare
in base ai titoli di acquisto prodotti l’appartenenza della striscia in contestazione, peraltro non
proposta alcuna domanda di regolamento del confine. Concludeva che la BOCCA, chiesto
l’accertamento della proprietà sull’area de qua, affermando di possederla in base ad un titolo
valido, non aveva dato la prova del possesso, né del titolo: i documenti prodotti che valevano a
confermare l’intervenuto acquisto della proprietà sul mappale 404 (di proprietà dell’attrice), non
consentivano in alcun modo, secondo quanto affermato dai consulenti e non efficacemente dalle
parti, di accertare le dimensioni del mappale medesimo e, quindi, della striscia in questione.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione la LANDI,

veniva certamente abbandonata, per non avere l’attrice insistito nel richiedere le prove dedotte,

affidato a due motivi, al quale hanno replicato i FRASSA – BERTARELLI con controricorso, non
svolte difese dalla intimata BOCCA.
Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.

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MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115,
116 c.p.c. e norme correlate, oltre che degli artt. 950 e 1362 e ss. c.c., nonché motivazione
insufficiente e contraddittoria, per avere la corte di merito omesso di considerare che il confine tra

sovrastante cancellata, che delimita la proprietà dei coniugi FRASSA e, nel contempo, delimita la
striscia di terreno per cui è causa. In sintesi, opinando sulla natura dell’azione proposta, il giudice
distrettuale avrebbe errato nell’interpretare la domanda attorea, trascurando del tutto il dichiarato
obiettivo che questa si proponeva ed il vero oggetto del contendere. A conclusione del mezzo
“dica la Corte se, nell’ambito di un’azione di

sono formulati i seguenti quesiti di diritto:

rivendicazione ovvero di accertamento della proprietà, la prova della proprietà possa essere data
con ogni mezzo, e così anche mediante gli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio, le
risultanze dei registri catastali e le presunzioni e se, conseguentemente, l’impugnata sentenza
abbia violato gli artt. 115 e 116 c.p.c. rifiutando di prendere in esame una chiara risultanza
probatoria peraltro da essa stessa ritenuta rilevante ai fini dell’azione di regolamentazione dei
confini fra i due fonsi, anch’essa petitoria”; “dica la Corte se la domanda giudiziale vada
interpretata secondo l’effettiva volontà delle parti quale emergente dall’intero complesso dell’atto,
dalle finalità che la parte intende perseguire, e dalla concreta situazione dedotta in causa da
valutarsi alla luce dei punti effettivamente controversi; e se, conseguentemente, l’impugnata
sentenza non abbia violato le norme che presidiano l’interpretazione della domanda e non sia
caduta in contraddizione laddove ha ritenuto che il vero oggetto del contendere era dato
dall’estensione di quella parte del mappale n. 404 posta a ridosso della proprietà limitrofa e abbia
qualificato la domanda quale domanda di accertamento della proprietà e non di regolamentazione
dei confini”; “dica la Corte se, nell’ambito di un’azione di regolamento dei confini, sia consentito al
giudice autolimitare le prove da prendere in considerazione ai soli titoli di proprietà o se non

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le due proprietà è rappresentato, fin dagli anni venti dello scorso secolo, dal muretto di cinta, con

debba invece, anche alla luce dell’art. 950 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. e norme correlate,
valutare e porre a fondamento della decisione tutti gli elementi di prova acquisiti e acquisibili in
causa, con particolare riferimento alle prove raffiguranti la situazione dei luoghi e all’evidente
delimitazione dei fondi contigui quale riscontrata in loco”; “dica la Corte se il giudice, chiamato a

dell’appezzamento dell’uno, dell’appezzamento dell’altro, sia abilitato a sancire l’impossibilità di
decidere e, in particolare sia abilitato a omettere la valutazione di alcune delle prove ritualmente
acquisite al processo e, in particolare di quelle attinenti alla effettiva e consolidata situazione dei
luoghi e delimitazione dei fondi contigui”.
Il motivo è fondato e deve essere accolto per le seguenti ragioni.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’azione di regolamento dei confini (art.950
c.c.) presuppone che l’incertezza, oggettiva o soggettiva, cada sul confine tra due fondi, non sul
diritto di proprietà degli stessi, anche se oggetto di controversia è la determinazione quantitativa
delle rispettive proprietà; essa, pertanto, non muta natura, trasformandosi in azione di rivendica,
nel caso in cui l’attore sostenga che il confine di fatto non sia quello esatto per essere stato parte
del suo fondo usurpato dal vicino (Cass. n.15304 del 2006; analogamente e fra le altre, Cass. n.
15507 del 2000; Cass. n. 3101 del 2005). Al contrario, è azione di rivendica della proprietà (art.948
c.c.) quella fondata e contrastata in base ai rispettivi titoli di acquisto (Cass. n. 1204 del 1998;
Cass. n. 12139 del 1997; Cass. n. 9900 del 1995; Cass. n. 2857 del 1995). Ne deriva che vi è
conflitto fra titoli quando (a livello di allegazione) un medesimo bene, o una sua porzione, risulti in
due atti traslativi della proprietà attribuito a soggetti diversi, di talché l’un acquisto non possa
coesistere con l’altro perché in rapporto di contraddizione giuridica.
La Corte territoriale, pur procedendo da enunciazioni di diritto corrette (sull’azione di regolamento
dei confini, su quella di rivendica e sulla relativa differenza), non ha operato, però, un’applicazione
dei principi premessi coerente alla fattispecie così come ricostruita e interpretata da essa stessa, lì

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dirimere una controversia fra due proprietari confinanti circa l’estensione, a ridosso

dove, rilevato che i Frassa-Bertarelli avevano assunto di possedere la superficie di terreno in
questione e che l’attrice vi aveva opposto il proprio titolo, pur non avendo il possesso della striscia,
ha tratto da ciò l’erronea deduzione giuridica che il conflitto non era dunque tra fondi ma fra titoli (v.
pag. 12 sentenza impugnata).

dell’art.950 c.c., ché in ogni caso l’incertezza sul confine, ancorché avente per sua natura un rilievo
di tipo ontologicamente quantitativo, produrrebbe sempre per traslato anche un conflitto fra titoli,
non potendosi questi ultimi applicare, nel contrasto fra le parti, come attributivi entrambi della
medesima estensione immobiliare contesa e concretamente identificata. In altri termini, una cosa è
l’incompatibilità fra titoli, perché la coeva attribuzione a soggetti diversi di un medesimo bene rende
incerto il diritto e non già (o solo di riflesso) la delimitazione fisica del suo oggetto; altra è
l’incompatibilità fra contrapposte postulazioni che non scontino altra incertezza se non
l’individuazione pratica del confine sul terreno.
Sequenziali gli ulteriori errori che hanno determinato l’esito della lite in appello, consistiti nel porre
a carico dell’attrice-appellata l’onere della prova di essere proprietaria della parte di terreno
posseduta dai convenuti-appellanti, secondo il criterio rigoroso proprio dell’azione di rivendica; nel
non determinare quale fosse il confine tra i rispettivi fondi di proprietà delle parti, nonostante la
domanda principale dipendesse proprio e solo da ciò.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 184
c.p.c. e norme correlate, oltre a motivazione insufficiente, per avere il giudice di appello negato
l’ammissibilità delle prove orali dedotte da parte appellata — limitatamente alle circostanze dedotte
con l’atto di citazione — non avendo la parte spiegato le ragioni della loro rilevanza, nonostante
detta rilevanza dovesse competere al giudice medesimo. Di seguito alla riproduzione testuale dei
capitoli articolati, viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Code se in forza dell’art.
184 c.p.c. non tocchi al giudice di decidere la rilevanza e l’ammissibilità dei mezzi di prova

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Per contro, è di tutta evidenza che così opinando nessuna azione potrebbe qualificarsi ai sensi

proposti dalle parti, indipendentemente dalle ragioni eventualmente addotte dalle parti a
fondamento delle loro deduzioni”.
Anche il secondo motivo è da accogliere.
La corte di merito pur dando atto che l’appellata ha insistito sull’ammissibilità della prova richiesta

istruttorio’.
Non può, al riguardo, non ribadirsi che al fine dell’ammissione della prova testimoniale, l’indagine
del giudice del merito, sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante,
quali indeclinabili requisiti formali dell’atto di parte, va condotta alla stregua della letterale
formulazione dei capitoli medesimi e del loro contenuto, da porsi in correlazione agli altri atti di
causa ed alle deduzioni dei contendenti, nonché tenendo conto della facoltà di chiedere
chiarimenti e precisazioni ai testi, ai sensi dell’art. 253 c.p.c. (Cass. 10 novembre 1979 n. 5784; v.,
altresì, nel senso che l’esigenza della specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre
deve intendersi soddisfatta ove, ancorché non precisati in tutti i loro minuti dettagli, i fatti stessi
siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllare l’influenza e la
pertinenza della prova offerta e per mettere la parte, contro la quale la prova è diretta, in grado di
formulare una adeguata prova contraria, dal momento che l’indagine sui requisiti di specificità e
rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante va condotta non soltanto alla stregua della
letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in relazione agli
altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti, nonché tenendo conto della facoltà di chiedere
chiarimenti e precisazioni ai testi, ai sensi dell’art. 253 c.p.c., affidata alla diligenza del giudice
istruttore e dei difensori, Cass. 30 maggio 1983 n. 3716).
Nella specie tale indagine non risulta affatto espletata, essendosi la corte limitata ad un laconico
difetto di ‘valido motivo istruttorio’, senza tenere conto che il principio sancito dall’art. 346 c.p.c.
(circa l’onere di riproporre espressamente in appello le domande e le eccezioni non accolte in

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con l’atto di citazione, ha ritenuto di non darvi ingresso ‘perché non sorretta da valido motivo

primo grado o rimaste assorbite, sotto pena di loro esclusione dal tema del giudizio) fa obbligo
all’appellato di costituirsi mediante deposito di memoria contenente esposizione dettagliata di tutte
le sue difese, sicché non è necessario proporre appello incidentale per manifestare in modo chiaro
ed univoco la volontà di sottoporre al giudice dell’appello una domanda o un’eccezione non accolta

c.p.c.. Infatti, al riguardo il Collegio intende ribadire l’orientamento già espresso dalla
giurisprudenza di legittimità, alla stregua del quale, in materia di procedimento civile, in mancanza
di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di
rinuncia ex art. 346 c.p.c., deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado,
queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare in modo specifico la
volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse (v. Cass. 10796 del 2009;
Cass. n. 830 del 2006; Cass. n. 9878 del 2005; Cass. n. 16360 del 2004). Nella specie è la stessa
corte di merito a riconoscere che le difese spiegate in appello dai controricorrenti riguardassero
anche la prova articolata in citazione, per cui la pronuncia risulta affetta dal vizio lamentato.
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Torino, non attenendosi agli esposti
principi è incorsa in violazione di legge per illegittima immutazione della domanda e
consequenziale erronea applicazione dei principi sull’onere della prova, nonché in erronea
applicazione dei criteri relativi all’effetto devolutivo dell’appello (quanto alla riproposizione delle
questioni non accolte in primo grado), violazioni fondatamente contestate con il ricorso in esame
che va, pertanto, accolto.
La causa deve essere, di conseguenza, rinviata per nuova valutazione ad altra Sezione della
Corte di appello di Torino, cui ex art. 385 c.p.c. è rimesso di provvedere anche sulle spese del
giudizio di legittimità.

P.Q.M.

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dal primo giudice al fine di evitare che la stessa si intenda rinunciata a sensi del citato art. 346

La Corte, accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 27 marzo 2014.

Sezione della Corte di appello di Torino.

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