Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15090 del 19/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/06/2017, (ud. 10/05/2017, dep.19/06/2017),  n. 15090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7473-2016 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VALDINIEVOLE, 11, presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI

MORANDI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati MAURO RICCI, EMANUELA

CAPANNOLO e CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8021/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

23/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/05/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza 23.9.2015, il Tribunale di Roma, in sede di giudizio instaurato all’esito di ATP, in sede di opposizione a tale accertamento, e in dichiarata adesione alle conclusioni della cm espletata nel corso del procedimento, respingeva il ricorso proposto da M.M.; che, di tale decisione chiede la cassazione il M., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui ha opposto difese, con controricorso, l’INPS;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale è stata depositata memoria da parte della ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

1.1 che, attraverso il primo motivo il ricorrente tenta di porre in discussione l’esito a lui sfavorevole della perizia d’ufficio che ha accertato il permanere di una sua residua capacità lavorativa confacente alle sue attitudini lavorative in misura non inferiore ad un terzo, col richiamo alla considerazione che il M. era in grado di svolgere l’attività normalmente espletata senza usura e danno, a conferma di quanto emerso dalla obiettività clinica e dalla documentazione esaminata;

1.2. che al riguardo deve osservarsi che la capacità di lavoro dell’assicurato, alla quale fa riferimento la L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, ai fini della valutazione della sussistenza del requisito sanitario richiesto per l’attribuzione della prestazione previdenziale dell’assegno di invalidità, consiste nella idoneità a svolgere, in primo luogo, il lavoro di fatto esplicato (capacitàspecifica), ed inoltre tutti i lavori che l’assicurato per condizioni fisiche, preparazione culturale ed esperienze professionali sia in grado di svolgere (capacità generica), i quali vengono in considerazione soltanto in caso di accertata inidoneità dell’assicurato allo svolgimento del lavoro proprio;

che la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, va, dunque, verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentano una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente, in quanto costituiscono una naturale estrinsecazione delle attitudini dell’assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l’adattabilità professionale al nuovo lavoro, senza esporre l’assicurato ad ulteriore danno per la salute. In tal senso si è già espressa in precedenza questa Corte (Cass. sez. lav. n. 3519 del 9/3/2001, Cass. 14.6.2002 n. 8596, Cass. 6.7.2007 n. 15265, Cass. 14.3.2011 n. 5964) che, tra l’altro, ha anche avuto modo di aggiungere che, ove la capacità dell’assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l’obbligo – prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali – di accertare anche l’incapacità dell’assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini;

che, in ogni caso, è costante l’orientamento della Corte in base al quale, ove nel giudizio in materia di invalidità pensionabile il giudice del merito si basi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è necessario che siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche, o affermazioni illogiche o scientificamente errate, e non già semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e quella della parte;

che, pertanto, quando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese. Nella specie, peraltro, la parte non trascrive il contenuto della ctu nei suoi esatti termini con ciò non rispettando 1′ onere in tal senso imposto al ricorrente, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame del fascicolo d’ufficio (v. da ultimo, Cass., 8.9.2015 n. 17769, Cass. 12 dicembre 2014, n. 26174, Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966);

2.1. che il secondo motivo enuncia in rubrica un vizio che non rientra nel paradigma di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come sostituito dal cit. D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 cit., il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.2. che non può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito, a meno che l’omissione della sua valutazione non si sia tradotta nell’omesso esame di una circostanza impeditiva di un diverso risultato decisorio. (cfr. Cass., s. u., 17 aprile 2014 n. 8053). Nel caso che ne occupa nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori;

3.1. che le questioni da esaminare con riguardo al terzo motivo concernono l’individuazione delle condizioni formali richieste per potere beneficiare dell’esonero dal pagamento delle spese processuali per il caso di soccombenza in base all’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo attualmente vigente;

3.2. che al riguardo vanno ribaditi i seguenti principi di diritto: “L’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003, laddove onera la parte ricorrente che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell’esonero dagli oneri processuali, in caso di soccombenza, di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione, va interpretato nel senso che tale dichiarazione deve essere formulata con il ricorso introduttivo di primo grado ed esplica la sua efficacia, senza necessità di ulteriore reiterazione, anche nei gradi successivi, come si evince dagli espressi riferimenti legislativi “all’anno precedente a quello di instaurazione del giudizio” e alle “conclusioni dell’atto introduttivo”, nonchè dalla previsione del richiesto impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti “fino a che il processo non sia definito” (cfr. Cass. 4.4.2012 n. 5363). L’evoluzione di tali condizioni reddituali non è tuttavia indifferente, cosicchè, salvo sempre l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni dichiarate in ipotesi di contestazione, l’interessato deve dichiarare quelle variazioni che facciano venir meno le condizioni di esonero e, per converso, ove tali condizioni originariamente insussistenti si siano concretizzate nel prosieguo del giudizio, può rendere, se del caso anche nei gradi successivi, apposita dichiarazione nel senso richiesto dal succitato art. 152 disp. att. c.p.c.; che l’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003, laddove onera la parte ricorrente che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell’esonero dagli oneri processuali in caso di soccombenza di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione “nelle conclusioni dell’atto introduttivo” va interpretato nel senso che della ricorrenza delle condizioni di esonero deve essere dato conto nell’atto introduttivo del giudizio, cosicchè deve ritenersi l’efficacia della dichiarazione sostitutiva che, ancorchè materialmente redatta su foglio separato, sia espressamente richiamata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e ritualmente prodotta con il medesimo (Cass. 26.7.2011 n. 16284). Quanto all’impegno a comunicare le successive variazioni reddituali deve richiamarsi quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 13367/2011;

che nella specie, il Tribunale, a sostegno della decisione, ha affermato che la dichiarazione in atti (nella quale era affermato lo stato civile di celibe e la sussistenza delle condizioni previste dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11) non è conforme al modello normativo, con ciò disattendo, nell’interpretazione della normativa, i principi richiamati;

4. che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, va accolto il terzo motivo e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al capo che dispone sulle spese processuali e su quelle di CTU; che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, va adottata decisione nel merito nel senso dell’esonero dell’appellante dal pagamento delle spese del giudizio e da quelle di CTU, spese, queste ultime, che vanno poste a carico dell’INPS in via definitiva;

che, invero, per costante giurisprudenza, tra le spese al pagamento delle quali, nei predetti giudizi, l’assicurato soccombente non è assoggettato, a meno che la sua pretesa non risulti manifestamente infondata e temeraria, vanno ricomprese quelle relative alla consulenza tecnica di ufficio (cfr. Cass. 2.5.2000 n. 5489);

che le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza.

PQM

 

dichiara l’inammissibilità dei primi due motivi, accoglie il terzo, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara non dovute dal M. le spese del giudizio di opposizione. Pone le spese di CTU a definitivo carico dell’INPS. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2017

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