Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1509 del 24/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 1 Num. 1509 Anno 2014
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: SCALDAFERRI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso 8855-2008 proposto da:
MINEO ANGELA (c.f. MNINGL59M50A546L), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29,
presso

l’avvocato

ALIFANO

NICOLA

MARIA,

Data pubblicazione: 24/01/2014

rappresentata e difesa dagli avvocati CARMINA
MARCELLO, MENALLO FRANCESCO, giusta procura a
2013

margine del ricorso;
– ricorrente –

1722

contro

VISCUSO FRANCESCO (C.F. VSCFNC8T11A546S), VISCUSO
41.

1

FILIPPA

(C.F.

VSCFPP41C65A546S),

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso
l’avvocato MATTINA GIUSEPPE, rappresentati e difesi
dall’avvocato GJOMARKAJ ALESSANDRO, giusta procura
in calce al controricorso;
controricorrenti

avverso la sentenza n. 77/2007 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 30/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/11/2013 dal Consigliere Dott. ANDREA
SCALDAFERRI;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato GJOMARKAJ
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

-

Svolgimento del processo

4

Nel maggio 1997 Angela Mineo, avendo comunicato da oltre
cinque mesi il proprio recesso da una società di fatto
avente ad oggetto il commercio al minuto di materiale

altri due soci Filippa e Francesco Viscuso, per sentirli
condannare al pagamento, a titolo di liquidazione della
propria quota sociale, della somma di lire 200.000.000,
corrispondente al 33% del capitale sociale. I convenuti,
costituitisi in giudizio, contestarono il valore
attribuito da controparte alla sua quota sociale,
affermando che era da determinare in lire 58.530.000.
Espletata consulenza tecnica contabile, il tribunale,
recependone le conclusioni, condannava i convenuti al

pagamento della somma di lire 80.000.000
Il gravame proposto da Filippa e Francesco Viscuso, cui
resisteva Angela Mineo, veniva accolto dalla Corte
d’appello di Palermo, che in parziale riforma della
sentenza di primo grado riduceva la somma per la quale era
stata emessa condanna a C 30.228,22 -cioè entro i limiti
di quanto i convenuti si erano dichiarati sin da principio
disposti a riconoscere all’attrice-, osservando che il
consulente d’ufficio, in difetto della minima
documentazione

necessaria a

ricostruire

realtà

la

3

sanitario, convenne avanti al Tribunale di Palermo gli

economica e patrimoniale dell’impresa sociale, non aveva
potuto che formulare ipotesi meramente congetturali, prive
di sufficienti dati certi di base.
Avverso tale sentenza, resa pubblica il 30 gennaio 2007,

2008, ha proposto ricorso per cassazione, cui resistono
con controricorso Filippa e Francesco Viscuso, che hanno
anche depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
l. Preliminarmente all’esame del merito, deve respingersi
l’eccezione di tardività sollevata dai resistenti:
l’ultimo giorno utile per la notifica del ricorso,
indicato dagli stessi resistenti nel 16 marzo 2008, cadeva
di domenica, sì che la proroga di diritto del termine al
giorno successivo, stabilita dall’art.155 comma 3
cod.proc.civ., rende tempestiva la spedizione per la
notifica effettuata il 17 marzo.
2. Il ricorso si basa su due motivi. Con il primo la
ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione
degli artt.62, 115 e 116 cod.proc.civ., sostenendo che il
giudice del merito non poteva discostarsi dal parere del
consulente d’ufficio senza chiedergli chiarimenti, senza
rinnovare la consulenza e non congruamente motivando il
suo diverso convincimento. La stessa questione viene poi

4

Angela Mineo, con atto spedito per la notifica il 17 marzo

-

riproposta, con il secondo motivo, sotto il profilo del
vizio di motivazione.
3.

Tali motivi -esaminabili congiuntamente stante la

stretta connessione- sono privi di fondamento.
legge,

deve

senz’altro

escludersi che dalle norme indicate dalla ricorrente
derivi l’obbligo del giudice di richiedere chiarimenti al
consulente d’ufficio, o di rinnovare la consulenza stessa,
nel caso -quale quello in esame- in cui lo stesso
consulente ha dato atto di non disporre di elementi
sufficienti per un giudizio ponderato, pur facendo poi
ricorso a mere congetture basate su diversi metodi.
Risulta infatti dalla stessa sentenza impugnata che il

consulente d’ufficio ha puntualmente rilevato la
insufficienza di dati certi di base (sui saldi attivi e
passivi dell’azienda alla data di riferimento, sul valore
delle merci in giacenza, sull’entità dei debiti, su
pagamenti e incassi), tale da non consentirgli -in difetto
di altri elementi che le parti, nonostante la richiesta
del c.t.u., non avevano fornito- di procedere alla
ricostruzione analitica e sistematica delle poste attive e
passive dell’azienda (quindi della sua situazione
patrimoniale) non solo con riferimento alla data di
riferimento (10 novembre 1996) ma a tutto l’esercizio

5

Quanto alla violazione di

contabile e fiscale relativo al 1996. Stante la chiarezza
e inequivocità di tale descrizione della situazione
contabile della società -che non risulta oggetto di
confutazione in ricorso, salvo un riferimento generico ad

sentenza, lo stesso c.t.u. ha definito grossolana, non
firmata da alcuno dei soci e riferita all’agosto 1995-,
non è dato invero ravvisare, né risulta indicato in
ricorso, su quali elementi sarebbe stato necessario
richiedere chiarimenti al consulente, tantomeno a qual
fine

sarebbe

stato

necessario

procedere

ad

una

rinnovazione della consulenza, essendo invece riservato al
giudice statuire sulla domanda alla luce dei dati
disponibili. Né può ritenersi che le conclusioni alle
quali la Corte di merito è pervenuta siano immotivate,
essendo -come già detto- puntualmente trascritti in
sentenza i passi della consulenza tecnica d’ufficio che
evidenziavano la mancanza di dati contabili certi.
4.

Si impone pertanto il rigetto del ricorso, con la

conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle
spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano
come in dispositivo.
P.Q.M.

una situazione patrimoniale che, come si legge in

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità,
in complessivi C 5.200,00 -di cui C 5.000 per compensooltre accessori di legge.

sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il
13 novembre 2013.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA