Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15089 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 15089 Anno 2014
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: FALASCHI MILENA

Acquisto per
usucapione
SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14314/08) proposto da:
FEROLDI UGO, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avv.to Augusto Mosconi del foro di Brescia e dall’Avv.to Gianfranco Parisi del foro di Roma
ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Federico Confalonieri n.
2;

Data pubblicazione: 02/07/2014

– ricorrente contro
FEROLDI RENATO, rappresentato e difeso dall’Avv.to Giovanni Pigolotti del foro di Brescia e
dall’Avv.to Giuseppe Ramadori del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta in calce al
controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Marcello
Prestinari n. 13;

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(v1

- controricorrente e contro
MANUINI IGNAZIO, rappresentato e difeso dall’Avv.to Alberto Luppi del foro di Brescia e
dall’Avv.to Guido Romanelli del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del

n. 34;
– controricorrente •

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 416 depositata il 13 giugno 2007.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 21 marzo 2014 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Gianfranco Parisi, per parte ricorrente, e Guido Romanelli, per una delle
parti resistenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pierfelice
Pratis, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 28 maggio 1997, dinanzi alla Pretura di Brescia, Ugo FEROLDI,
premesso di essere nel possesso dal 1986 del cortile comune sito in Ghedi, identificato nel
N.C.E.U. dal mappale 1592, comunicante con la via pubblica e frapposto tra gli edifici, con
relative aree cortilizie, adibiti ad abitazione, rispettivamente, sua e di Ignazio MANUINI, esponeva
che il giorno 24 maggio 1997 quest’ultimo aveva realizzato la recinzione del cortile nel lato nord,
con delimitazione dei confini rispetto al proprio compendio immobiliare, installando una fila di
paletti collegati da catene, che impediva al ricorrente l’accesso carraio alla sua area cortilizia con
l’autorimessa situata sul lato opposto del cortile, essendo venuto meno a causa della recinzione
Io spazio necessario per le manovre, per cui lo evocava in giudizio, chiedendo la reintegrazione o,

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controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Pacuvio

in subordine, la manutenzione nel possesso del cortile, con ordine al MANUINI di rimozione dei
paletti e riduzione in pristino dei luoghi.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il quale negava che l’apposizione di
recinzione sul confine dell’area al mappale 1592 costituisse spoglio o molestia del possesso del

Tribunale adito (già Pretore), espletata istruttoria, dichiarava cessata la materia del contendere e
poneva le spese del giudizio a carico del ricorrente, dichiarandole compensate fra le restanti parti.
In virtù di rituale appello interposto da Ugo FEROLDI, con il quale continuava a lamentare la
illegittimità della recinzione apposta e rimossa nel corso del giudizio, la Corte di appello di
Brescia, nella resistenza degli appellati, rigettava il gravame.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che il potere di fatto
rappresentato in un’attività corrispondente all’esercizio di un diritto imprecisato (proprietà o servitù
di passaggio), caratterizzato per l’utilizzazione momentanea e saltuaria dell’area interessata dallo
sconfinamento, in assenza di opere funzionali a tale esercizio, non poteva essere ricondotto ad
uno jus possessionis tutelabile con le azioni a difesa del possesso. Infatti le manovre compiute
dall’appellante con l’autovettura si giustificavano con la permissio dei familiari, traendo la loro
origine nell’ambito di stretti rapporti parentali, donato dalla madre, proprietaria originaria di tutto il
complesso edilizio, a ciascun figlio un edificio con area cortilizia, delimitato negli atti notarili il
cortile comune — provvisto di identità catastale — intermedio tra i fondi.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione
Ugo FEROLDI, sulla base di due motivi, al quale hanno resistito sia il MANUINI sia Renato
FEROLDI con separati controricorsi.

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cortile, ed intervenuto volontariamente Renato FEROLDI per sostenere le ragioni del MANUINI, il

MOTIVI DELLA DECISIONE
Va premessa la reiezione dell’eccezione di inammissibilità del ricorso nel suo insieme prospettata
dal controricorrente Manuini risultando, contrariamente a quanto dedotto con essa, il ricorso
autosufficiente, essendo chiaramente indicate nei motivi le ragioni della decisione impugnata che

Ciò posto, con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’ad.
1140 c.c. per avere la corte di merito escluso una situazione di tutela possessoria nonostante
fosse incontestato che egli costantemente e quotidianamente transitava su detta area per poter
accedere alla propria autorimessa e ciò per oltre un trentennio. L’illustrazione del mezzo è
conclusa con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se ai sensi
dell’art. 1140 c. c. il potere di fatto che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del
diritto di una servitù di passaggio può efficacemente concretarsi mediante il passaggio carraio
anche se lo spazio del terreno interessato da tale passaggio è di limitate dimensioni (nel caso di
specie l mt.)”.
Il secondo motivo — con cui è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’ad. 1144
c.c. per avere assimilato la presunzione della sussistenza della tolleranza nei rapporti di familiarità
tra le parti — pone il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se, ai fini di una corretta e
puntuale applicazione dell’art. 1144 c.c., nonostante sussistano rapporti di familiarità tra le parti e
qualora l’esercizio del possesso sia prolungato molto a lungo nel tempo (nel caso di specie già da
oltre un trentennio al momento della proposizione del ricorso possessorio), debba escludersi che
detto esercizio possa presumersi sic et simpliciter compiuto con l’altrui tolleranza solo in ragione
della familiarità dei rapporti, a maggior ragione quando in un punto di fatto, pur essendo stata
negata la circostanza stessa dell’esercizio del possesso, il passaggio risulti invece essere stato
effettivamente e ripetutamente effettuato, così da dover essere gravata del relativo onere

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s’intendono censurare ed i necessari riferimenti agli atti del processo.

probatorio la parte che in subordine abbia dedotto che il passaggio veniva effettuato per mera
tolleranza”.
Si deve, preliminarmente, considerare che tutti i motivi afferiscono alla decisione del
provvedimento impugnato esclusivamente in ordine alla statuizione con culla Corte di Brescia ha

disposizioni di legge in materia di possesso e di atti di tolleranza”, nonostante l’intervenuta
declaratoria da parte del giudice di prime cure della cessazione della materia del contendere, sulla
quale non è stata svolta alcuna censura, pronunciata la condanna alle spese giudiziali sulla base
dell’apprezzamento della c.d. soccombenza virtuale, anch’essa non censurata. Tale statuizione è
impugnata, per come espressamente dice lo stesso ricorso, perché sarebbe stata erroneamente
ricostruita la vicenda possessoria.
Posta tale direzione dei motivi del ricorso, si deve rilevare che la pronunciata cessazione della
materia del contendere, verificatasi per effetto della sopravvenuta carenza d’interesse della parte
alla definizione del giudizio e, quindi, ad una pronuncia sul merito, postulando che siano accaduti
nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e,
con ciò, dell’interesse all’azione per composizione in tal modo della controversia, giustifica
l’impugnazione in appello o del ricorso per cassazione della sola pronuncia finale sulle spese,
secondo una valutazione di soccombenza virtuale (si vedano Cass. 13 settembre 2007 n. 19160,
ed altre conformi). È bensì vero che, in talune pronunce di questa corte, si rinviene l’affermazione

negato la fondatezza del gravame che lamentava “mal governo delle risultanze di causa e delle

secondo cui una siffatta situazione si avvera solo quando tutti i contendenti si diano
reciprocamente atto della mutata situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi (così,
ad esempio, Cass. 13 giugno 2008 n. 16017). Ma ciò non può essere inteso nel senso che debba
sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive
posizioni originarie nel giudizio, essendo invece sufficiente che sia incontestato l’effettivo venir
meno dell’interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito. Se così non fosse, se cioè

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l’accordo delle parti perché si possa dichiarare cessata al materia del contendere dovesse
necessariamente investire anche le ragioni che storicamente hanno provocato il loro contrasto,
non vi sarebbero mai neppure i presupposti per procedere all’accertamento della soccombenza
virtuale, che invece costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, quando non

Nella fattispecie, il giudice di primo grado con pronuncia n. 1150 del 9.4.2003 ha dichiarato
cessata la domanda possessoria e regolato le spese. Il giudice del gravame, investito
dall’appellante delle sole questioni attinenti al merito della controversia (involgenti l’accertamento
della illegittimità della apposizione della recinzione rimossa nel corso del giudizio di primo grado),
pur non dolendosi della declaratoria di cessazione della materia del contendere, non ha rilevato
l’errore e soprattutto non ne ha tratto le conseguenze del caso, e invece di pronunciarsi con una
declaratoria d’inammissibilità, ha esaminato nel merito l’impugnazione, rigettandola e provvedendo
sulle spese relative.
Pacifico che la sentenza che dichiara cessata la materia del contendere è di carattere meramente
processuale (cfr., tra le tantissime, Cass. 28 novembre 2001 n. 15062), si osserva che una tale
pronuncia costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario, privo, al riguardo, di qualsivoglia
espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario, una
fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una
sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venire meno
dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso tutte le volte in cui non risulti
possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale (Cass., sez. un.,
28 settembre 2000 n. 1048). Alla emanazione di una sentenza di cessazione della materia del
contendere, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunzie emanate nei
precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, dall’altro, la sua assoluta inidoneità a
acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di

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siano le parti stesse a richiedere congiuntamente la compensazione di dette spese.

giudicato al solo aspetto del venire meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (Cass., sez.
un., 28 settembre 2000 n. 1048, cit.).
Sempre al riguardo, si osserva, inoltre, che quando nel corso del giudizio la pretesa in esso
dedotta viene spontaneamente soddisfatta dall’obbligato e su tale circostanza non vi è

meno il dovere di pronunziare sul merito della stessa, essendo cessato per le parti l’interesse a
tale pronunzia, e sorge quello di chiudere il giudizio con una pronunzia di rito quale quella
dichiarativa della cessazione della materia del contendere. Contro tale pronunzia la parte può
dolersi in sede di impugnazione solo contestando l’esistenza del presupposto per emetterla,
risultandole invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura (in termini, ad
esempio, Cass., sez. un., 9 luglio 1997 n. 6226).
Pertanto, in forza del principio di diritto premesso, non avendo la Corte di appello fatto corretta
applicazione dello stesso, la decisione deve essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382
c.p.c., comma 3, in quanto, per l’inammissibilità del rimedio esperito, il procedimento non poteva
essere proseguito.
Consegue un nuovo regolamento delle spese del giudizio di appello;.

al pari di quelle del

giudizio di legittimità, in considerazione della peculiarità della fattispecie, si ritiene sussistere giusti
motivi per dichiararle interamente compensate fra le parti.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e dichiara
interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di appello e di quello di Cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 21 marzo 2014.

controversia fra le parti, per il giudice investito della domanda, sia esso ordinario o speciale, viene

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