Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15088 del 08/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/07/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 08/07/2011), n.15088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17605/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Michelangelo

n. 9, presso lo studio Trifirò e Partners, rappresentata e difesa

dall’Avv. CORNA Anna per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.S., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giovanni

Bettolo n. 4, presso lo studio dell’Avv. BROCHIERO MAGRONE Fabrizio,

che la rappresenta e difende per procura rilasciata a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 499/2006 della Corte d’appello di Milano,

pronunziata in causa n. 135/05 r.g., depositata in data 24.06.06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19.05.2011 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito l’Avv. Zucchinali per delega Corna;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rinvio a nuovo ruolo della

discussione del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- F.S. chiedeva al Giudice del lavoro di Lecco che fosse dichiarata la nullità del termine apposto a due contratti di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per i periodi 7- 31.1.99 e 12.10.00-31.1.01.

2.- Accolta la domanda con riferimento al primo contratto, il Tribunale accertava la sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 7.1.99 e condannava Poste Italiane a pagare alla dipendente le retribuzioni dalla costituzione in mora, detratto l’aliunde perceptum.

Proposto appello da Poste Italiane, la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 24.06.06, rigettava l’impugnazione. Nel merito rilevava che il contratto era stipulato – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le OO.SS. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda. Essendo le assunzioni motivate da tale causale ammesse fino al 30.4.98 – data fissata dalle parti collettive con accordo integrativo 16.1.98 – nel caso di specie, ove il contratto a termine era stato stipulato in data successiva, il termine era illegittimamente apposto, non avendo il datore provato l’esistenza di una fattispecie prevista dalla L. n. 230 del 1962.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione. Rispondeva con controricorso F.. Poste Italiane ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.- I motivi dedotti da Poste Italiane possono essere sintetizzati come segue:

4.1.- violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, e carenza di motivazione in quanto il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto (primo motivo);

4.2.- violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 e c.c., e segg., nonchè carenza di motivazione, in quanto detto art. 23, non ha posto alcun vincolo oggettivo alle causali di fonte collettiva e consente di individuare in astratto le condizioni per il ricorso alle assunzioni a termine, senza prefigurazione di alcuna limitazione temporale, atteso che gli accordi successivi a quello del 25.9.97 hanno natura meramente ricognitiva (motivi secondo, terzo, quarto, quinto);

4.3.- violazione di consolidati principi in materia di risarcimento del danno (decorrenza del risarcimento dalla mora credendi, considerazione e modalità di accertamento dell’aliunde perceptum, omessa considerazione per la quantificazione del danno del concorso colposo dell’avente diritto, motivi sesto, settimo, ottavo e nono).

5.- Quanto al primo motivo (risoluzione per mutuo consenso, v. sub 4.1), la giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e molte altre seguenti) ritiene che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono ccnsurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

La Corte d’appello ha rilevato che la società appellante, processualmente a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la prospettata valutazione, non ritenendo sufficiente a rappresentare la disaffezione della lavoratrice le circostanze che la stessa avesse atteso un cospicuo lasso di tempo prima di intraprendere l’azione giudiziaria (essendo l’attesa ammissibile perchè contenuta nei limiti prescrizionali). Trattasi di considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico.

6.- Sono infondati anche i motivi secondo, terzo, quarto e quinto (v.

4.2).

La L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione di nuove ipotesi di apposizione del termine al rapporto di lavoro, configura una delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).

Con tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, tanto che la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con essi le parti abbiano voluto riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate da detto accordo integrativo. Dato che per far fronte a tali esigenze l’impresa poteva procedere ad assunzione di personale con contratto a tempo determinato fino al 30.4.98, i contratti a termine successivamente stipulati mancano di presupposto normativo.

In altee parole, le parti collettive avevano raggiunto un’intesa priva di limite temporale ed avevano poi stipulato accordi attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex lurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378). Conseguentemente i contratti scaduti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo- negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva, che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti, l’irrilevanza dell’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto all’accertamento della nullità si era già perfezionato. Quando anche con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (ormai scaduto in forza degli accordi attuativi), in ogni caso sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi perchè adottati in violazione della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Essendo stato il contratto a termine della F., oggetto della pronunzia impugnata, stipulato per il periodo 7-31.01.01, i motivi sono infondato.

7.- I motivi da sei a otto (v. n. 4.3) sono, invece, inammissibili, in quanto formulati in termini generici, senza riferimento diretto alla fattispecie interessata. Il giudice di merito, ha infatti, pronunziato sul risarcimento del danno nei termini esatti patrocinati dalla ricorrente, affermando che le retribuzioni dovute a titolo di risarcimento decorrono dalla costituzione in mora del datore- creditore e che il risarcimento del danno va quantificato previa deduzione dell’aliunde perceptum. I motivi in questione sono, pertanto, inammissibili in quanto non idonei a colpire la sentenza impugnata.

8.- Quanto al nono motivo (v. ultima parte del n. 4.3), deve osservarsi che dall’esame della sentenza impugnata Poste Italiane, soccombente in primo grado, non risulta aver proposto specifici motivi di appello che imponessero l’esame della complessa problematica del concorso colposo dell’avente diritto, oggi sollevata. Non essendo dedotto il vizio di omesso esame e non essendo, anzi, neppure indicati i termini in cui la questione era stata dedotta in primo grado, deve ritenersi che la stessa sia stata inammissibilmente dedotta per la prima volta in cassazione.

Il motivo deve essere, dunque, anch’esso dichiarato inammissibile.

9.- Infondati e in parte inammissibili i motivi dedotti dalla ricorrente, il ricorso deve essere rigettato.

10.- Poste Italiane s.p.a. con la memoria sopra indicata, preso atto dell’intervento della L. 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro), ha chiesto alla Corte che il risarcimento del danno venga effettuato secondo i criteri ivi previsti.

L’ingresso nel presente giudizio di legittimità della questione dei detti nuovi criteri di quantificazione è, tuttavia, subordinato alla sussistenza delle condizioni processuali per esaminare la richiesta di risarcimento del lavoratore. Tali condizioni si verificherebbero nel caso che, rigettati i motivi di censura contro la dichiarata nullità del termine, dovesse esaminarsi un motivo di impugnazione che affronti anche il punto della liquidazione del risarcimento effettuata dal giudice di merito.

Nel caso di specie, tuttavia, tale impugnazione manca, di modo che non sorge questione circa l’applicabilità dell’invocato ius superveniens e non si pone alcun problema di procedere a nuova liquidazione del risarcimento, che è questione ormai non più sub indice.

11.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 32,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2011

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