Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15084 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. III, 31/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 31/05/2021), n.15084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 4830 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

P.D., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Luca Ceriello, (C.F.:

CRLLCU70L09F205X);

– ricorrente –

nei confronti di:

U.A., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al controricorso, dall’avvocato Simona Merisi,

(C.F.: MRSSMN72A54F119B);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Brescia n.

1450/2017, depositata in data 20 novembre 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 19

gennaio 2021 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.D. ha intimato ad U.A. precetto di pagamento dell’importo di Euro 59.663,18, sulla base di una sentenza di condanna del Tribunale di Monza, ed ha poi proceduto al pignoramento di crediti del debitore.

U.A. ha proposto opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, sostenendo di avere estinto il debito prima del pignoramento ed ha chiesto la restituzione di una parte della somma, assumendo di averla versata in eccesso.

L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Bergamo.

La Corte di Appello di Brescia, rigettando il gravame proposto da entrambe le parti, ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre il P., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso l’ U..

E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 51 c.p.c. e segg. – art. 6 CEDU – elusione dell’obbligo di astensione”.

Il ricorrente deduce che il giudice persona fisica che aveva deciso l’opposizione in primo grado avrebbe avuto l’obbligo di astenersi, avendo svolto la funzione di giudice dell’esecuzione e, in tale veste, avendo sospeso l’esecuzione stessa.

Il motivo è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1, dal momento che la decisione impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che il ricorso non offre elementi per rimeditare. Non vi è alcun obbligo di astensione per il giudice dell’esecuzione, con riguardo al giudizio di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.. Tale obbligo sussiste infatti esclusivamente in relazione al giudizio di opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c., in base all’art. 186 bis disp. att. c.p.c..

Nè potrebbe ipotizzarsi la sussistenza un siffatto obbligo di astensione a seguito dell’avvenuta pronunzia del giudice in ordine all’istanza di sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c., trattandosi di un provvedimento di natura cautelare rispetto alla decisione di merito sull’opposizione, il che esclude ogni incompatibilità (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 422 del 12/01/2006, Rv. 586618 – 01: “l’emissione di provvedimenti di urgenza in corso di causa, o la partecipazione al collegio che li riesamina in sede di reclamo, da parte dello stesso giudice che debba decidere il merito della stessa, costituisce una situazione ordinaria del giudizio e non può in nessun modo pregiudicarne l’esito, nè determina un obbligo di astensione o una facoltà della parte di chiedere la ricusazione”; conf.: Sez. 1, Sentenza n. 7308 del 05/08/1994 Rv. 487681 – 01).

In ogni caso, la questione avrebbe dovuto eventualmente essere fatta valere attraverso la ricusazione del giudice e, in mancanza, non si determina alcuna nullità della sentenza e/o del procedimento (Cass., Sez. U., Sentenza n. 1545 del 20/01/2017, Rv. 642004 – 01: “la violazione dell’obbligo di astensione, previsto dall’art. 186 bis disp. att. c.p.c., per il giudice dell’esecuzione che abbia conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione, è deducibile solo con lo strumento della ricusazione ai sensi dell’art. 52 c.p.c. e non in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza emessa dal giudice che avrebbe dovuto astenersi”; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 7121 del 09/04/2015, Rv. 635110 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 22854 del 28/10/2014, Rv. 633286 01; Sez. 3, Sentenza n. 12115 del 17/05/2013, Rv. 626399-01).

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 112 c.p.c.. E in relazione agli artt. 1176 c.c. e segg. (adempimento) Il rigetto della domanda dell’opponente – il rigetto della domanda dell’opposto – sia in primo grado e sia nell’appello incidentale”.

Le censure di cui al motivo di ricorso in esame risultano esposte in modo confuso e non è quindi possibile per la Corte individuare con precisione la relazione logica tra le violazioni dedotte nella rubrica ed il contenuto dello stesso.

Il motivo è comunque inammissibile.

Per quanto è possibile comprendere, il ricorrente sembra intendere dedurre che la domanda proposta in primo grado dall’opponente U., di restituzione dell’importo che assumeva pagato in eccesso, per Euro 1.096,49, non era stata accolta e lo stesso appello incidentale sul punto era stato respinto ma, ciò nondimeno, esso opposto, sebbene non soccombente, sarebbe stato condannato al pagamento delle spese processuali (oltre tutto in misura incongrua).

Non risulta peraltro in tal modo colto in modo adeguato l’oggetto della decisione impugnata.

Il debitore U. non ha proposto esclusivamente una domanda di ripetizione di indebito dell’importo di Euro 1.096,49, che assumeva di aver pagato in eccesso rispetto alle somme oggetto del precetto.

Al contrario, egli ha in primo luogo – ed in via principale proposto opposizione all’esecuzione forzata promossa dal P. nei suoi confronti, sulla base di un atto di precetto per l’importo di Euro 59.663,18, con un pignoramento di crediti fino a concorrenza dell’importo di Euro 89.494,77 (secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata), ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2.

L’opposizione all’esecuzione era fondata sull’allegazione dell’avvenuta integrale estinzione dell’obbligazione posta a base dell’atto di precetto, in data anteriore al pignoramento, in parte per pagamento ed in parte per compensazione, e risulta integralmente accolta; più precisamente, l’opposizione risulta integralmente accolta nel merito in primo grado mentre l’appello proposto dal P., con riguardo alla stessa, è stato ritenuto inammissibile.

La domanda del debitore di ripetizione delle somme pagate in eccesso costituiva solo una domanda ulteriore, consequenziale all’allegazione dell’avvenuto pagamento di un importo leggermente superiore al dovuto, e tale ultima domanda, non accolta in primo grado, è stata rigettata anche in appello.

Va dunque certamente escluso che si sia verificata una situazione di integrale soccombenza del debitore opponente, che ne imponeva la condanna alle spese, sussistendo invece una situazione di reciproca soccombenza delle parti, il che determina l’applicabilità dell’art. 92 c.p.c., comma 2 (in base al quale il giudice può – anche se non è tenuto a farlo – compensare, in tutto in parte, le spese di lite).

Le spese del giudizio di secondo grado sono state d’altronde integralmente compensate tra le parti e il ricorrente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non solo non allega in modo puntuale di avere eventualmente avanzato uno specifico motivo di gravame in relazione alla propria condanna al pagamento integrale delle spese del primo grado di giudizio nonostante sussistesse reciproca soccombenza parziale ma, soprattutto, non indica nel ricorso le ragioni alla base della decisione del giudice di primo grado con riguardo alle spese di lite (come sarebbe stato necessario, considerando che la reciproca soccombenza delle parti, come appena chiarito, consente al giudice la compensazione delle spese, in tutto o in parte, ma non la impone), nè richiama il preciso contenuto del suo eventuale motivo di appello in proposito.

3. Con il terzo motivo si denunzia “Ammissibilità dell’appello e merito Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 115 c.p.c., artt. 1176 c.c. e segg., art. 1182 c.c.”.

Il ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui vengono prese in considerazione ed esaminate le questioni di merito poste a base dell’opposizione del debitore esecutato U..

Anche questo motivo è inammissibile.

L’appello del P. è stato in realtà dichiarato inammissibile, in quanto non sufficientemente specifico, dalla corte territoriale, la quale ha ritenuto che nel gravame non fosse individuato in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata ed ai relativi passaggi argomentativi, non fossero adeguatamente formulate le ragioni del dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice e, in sostanza, l’appellante si fosse limitato ad una mera reiterazione delle sue precedenti difese (cfr. pagg. 9 e 10 della decisione impugnata).

La corte di appello ha poi esaminato anche nel merito il suo gravame.

In proposito, peraltro, è indirizzo costante di questa Corte quello per cui “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 – 01; successivamente, tra molte altre, cfr.: Sez. L, Sentenza n. 13997 del 15/06/2007, Rv. 597672 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15234 del 05/07/2007, Rv. 598305 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 9647 del 02/05/2011, Rv. 616900 – 01; Sez. U., Sentenza n. 15122 del 17/06/2013, Rv. 626812 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 27049 del 19/12/2014, Rv. 633881 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015, Rv. 636624 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30393 del 19/12/2017, Rv. 646988 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 11675 del 16/06/2020, Rv. 657952 – 01).

Con il motivo di ricorso in esame il ricorrente non propone specifiche censure adeguatamente argomentate in relazione alla dichiarazione di inammissibilità del suo gravame, ma si limita a contestare la parte della motivazione della decisione di secondo grado relativa al merito dell’opposizione, cioè la parte della motivazione che deve ritenersi svolta impropriamente, “ad abundantiam”, e in relazione alla quale, per quanto appena chiarito, non può ritenersi sussistere il suo interesse ad impugnare.

4. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione art. 360, nn. 3 e 5 – in relazione al D.M. n. 127 del 2004 e D.M. n. 55 del 2014, liquidazione delle spese in primo grado”.

Secondo il ricorrente, sarebbe stato erroneamente rigettato il proprio motivo di appello relativo alla determinazione della somma liquidata a titolo di spese processuali in primo grado, non avendo la corte territoriale preso in considerazione il corretto scaglione di valore della controversia, dato a suo dire dall’importo della domanda di ripetizione del debitore esecutato (per Euro 1.096,49), ma quello del credito posto in esecuzione.

Il motivo è inammissibile, per le medesime assorbenti ragioni esposte in relazione ai motivi precedenti: basti considerare in proposito che, sebbene l’appello del P., avente certamente ed esclusivamente ad oggetto l’opposizione all’esecuzione proposta dal debitore esecutato, sia stato dichiarato inammissibile, egli fa ancora una volta esclusivo riferimento alla consequenziale domanda ripetizione di indebito.

5. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 1.400,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

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