Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15082 del 21/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 21/07/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 21/07/2016), n.15082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21326/2013 proposto da:

OP.PE.F.S. ORGANIZZAZIONE PRODUTTORI PESCA FANO MAROTTA SENIGALLIA

SOCIETA’ CONSORTILE A R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del

presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B (studio PESSI E ASSOCIATI), presso

lo studio dell’avvocato LORENZO CONFESSORE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANCARLO MOROSINI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

G.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 305/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 05/04/2013 R.G.N. 341/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato MARIANI DANIELE per delega Avvocato CONFESSORE

LORENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 4.4.13 la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza emessa in prime cure dal Tribunale di Pesaro, accertata l’esistenza d’un rapporto di lavoro subordinato fra G.G. e la O.P.P.E.F.S. – Organizzazione Produttori Pesca di Fano, Marotta e Senigallia Societa’ Consortile a r.l., dichiarava l’illegittimita’ del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato con lettera del 31.1.08 alla lavoratrice, in favore della quale disponeva L. n. 604 del 1966, ex art. 8, la reintegrazione (rectius: riassunzione) o, in mancanza, il pagamento d’un indennizzo pari a cinque mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Per la cassazione della sentenza ricorre O.P.P.E.F.S. – Organizzazione Produttori Pesca di Fano, Marotta e Senigallia Societa’ Consortile a r.l. affidandosi ad un solo articolato motivo.

L’intimata non ha svolto attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con unico articolato motivo si denuncia violazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, vizio di motivazione e omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio per avere i giudici di merito negato la sussistenza d’un giustificato motivo oggettivo di licenziamento per soppressione del posto di lavoro di G.G. in quanto la societa’ non versava in una situazione di crisi non transeunte e non altrimenti rimediabile, pur avendo riconosciuto che, a monte del recesso, vi era stata un’effettiva necessita’ di contenimento dei costi del personale dovuta all’accertato decremento del numero di associati alla societa’ consortile oggi ricorrente.

2- Il ricorso e’ fondato.

Il controllo giurisdizionale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per non sconfinare in valutazioni di merito che si sovrappongano a quelle dell’imprenditore (la cui autonomia e’ garantita ex art. 41 Cost., comma 1), deve limitarsi a verificare che il recesso sia dipeso da genuine scelte organizzative di natura tecnico-produttiva e non da non pretestuose ragioni atte a nasconderne altre concernenti esclusivamente la persona del lavoratore licenziato.

In breve, cio’ che conta e’ che vi sia un genuino ed effettivo mutamento nell’organizzazione tecnico-produttiva (non contingente e transeunte, ma destinato a protrarsi stabilmente nel tempo) all’esito del quale risulti in esubero una data posizione lavorativa.

Secondo la giurisprudenza di questa S.C. (cfr., ex aliis, Cass. 4.11.04 n. 21121, seguita da altre conformi), nel concetto di giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attivita’ produttiva rientra la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, senza che sia necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere anche solo diversamente ripartite.

Si tratta di una scelta insindacabile nei suoi profili di opportunita’ ed efficacia.

La giurisprudenza di questa S.C. e’ altresi’ chiara nello statuire che spetta al giudice il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, nel senso che ne risulti l’effettivita’ e la non pretestuosita’ (cfr., ancora, Cass. n. 21121/04 cit. e successive conformi).

In linea di massima (e in estrema sintesi) la soppressione d’una data posizione lavorativa puo’ conseguire:

a) o ad una diversa organizzazione tecnico-produttiva che abbia reso determinate mansioni obsolete o comunque non piu’ necessarie o, ad ogni modo, da abbandonarsi in virtu’ di pura e semplice insindacabile scelta aziendale;

b) oppure all’esternalizzazione di determinate mansioni (che, pur reputate ancora necessarie, vengano pero’ lasciate a personale di imprese esterne);

c) o alla soppressione d’un intero reparto o alla riduzione del numero dei suoi addetti, rivelatosi sovrabbondante per l’impegno richiesto;

d) o – ancora – ad una diversa ripartizione di date mansioni fra il personale in servizio attuata a fini di piu’ economica ed efficiente gestione aziendale, nel senso che, invece di essere assegnate ad un solo dipendente, esse possono suddividersi fra piu’ lavoratori, ognuno dei quali se le vedra’ aggiungere a quelle gia’ espletate: il risultato finale puo’ legittimamente far emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto in modo esclusivo o prevalente.

In tale ultima evenienza – e’ appena il caso di ricordare – il diritto del datore di lavoro di ripartire diversamente determinate mansioni fra piu’ dipendenti non deve far perdere di vista la necessita’ di verificare il rapporto di congruita’ causale fra la scelta imprenditoriale e il licenziamento, nel senso che non basta che i compiti un tempo espletati dal lavoratore licenziato risultino essere stati poi distribuiti ad altri, ma e’ necessario che tale riassetto sia realmente all’origine del licenziamento anziche’ costituirne mero effetto di risulta (cfr. in tal senso Cass. n. 24502/11).

Se tale redistribuzione fosse un mero effetto di risulta (e non la causale del licenziamento) si dovrebbe concludere che la vera ragione del licenziamento risiede altrove e non in un’esigenza di piu’ efficiente organizzazione produttiva.

Ora, la costante in tutte le ipotesi sopra enucleate (all’esito delle quali risulti sovrabbondante una data posizione lavorativa, quella del dipendente poi licenziato), e’ data dal fine, che in ultima analisi e’ sempre lo stesso: migliorare la produttivita’.

Quest’ultima e’ un rapporto fra due quantita’: la quantita’ di prodotto (o di servizi) ottenuta in un certo periodo di tempo e quella dei fattori impiegati nello specifico processo produttivo e in quel medesimo arco temporale.

In tale rapporto il numeratore e’ dato dalla quantita’ di prodotto e il denominatore dalla quantita’ di fattori produttivi (che per l’azienda, ovviamente, sono costi).

Come ogni rapporto, il suo valore puo’ crescere se aumenta il numeratore oppure se diminuisce il denominatore, di guisa che in ogni incremento di produttivita’ vi e’ sempre un risparmio inteso come contrazione dei costi, che puo’ esprimersi in termini assoluti o percentuali.

E’ in termini assoluti quando la stessa quantita’ di prodotti o di servizi venga realizzata con un minor impiego di fattori produttivi (e/o con fattori produttivi a piu’ basso costo).

E’ in termini percentuali quando, fermi restando in cifra assoluta i costi di produzione, si riesca pero’ ad ottenere una maggior quantita’ di prodotti o servizi rispetto al passato (ad esempio portando a pieno regime il processo produttivo e/o eliminandone passaggi non essenziali).

Ancora la contrazione dei costi e’ in termini percentuali quando aumentino sia il numeratore che il denominatore del rapporto, ma il primo in misura maggiore del secondo.

Dunque – ed e’ un punto su cui va richiamata l’attenzione – ogni incremento di produttivita’ si traduce sempre anche in un risparmio o contrazione dei costi, in termini assoluti o percentuali.

A questo punto poco importa che tale risparmio o contrazione dei costi serva solo a prevenire o contenere perdite di esercizio oppure sia destinato a procurare un incremento di profitto: l’importante e’ che tale finalita’ si traduca in un mutamento nell’organizzazione tecnico-produttiva genuino e non strumentalmente piegato ad espellere personale (a vario titolo) non gradito.

Non e’ vero – invece – che qualsiasi ricerca di incremento di produttivita’ passi necessariamente attraverso un mutamento nell’organizzazione tecnico-produttiva (su cio’ v. meglio infra).

Rebus sic stantibus, solo un’incompleta lettura della giurisprudenza potrebbe far apparire la soluzione qui accolta come dissonante rispetto ai precedenti di questa Corte Suprema secondo cui il giustificato motivo oggettivo non potrebbe consistere nella semplice ricerca di un incremento di profitto, nel senso di giustificare tale tipo di licenziamento solo ove si debba fare fronte a sfavorevoli situazioni – non meramente contingenti – influenti in modo decisivo sulla normale attivita’ produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario.

In realta’ tali precedenti, se letti nella loro interezza e con riferimento ai casi concreti su cui si pronunciavano, confermano che basta che il riassetto organizzativo dell’azienda sia attuato al fine di una sua piu’ economica gestione.

Ad esempio, Cass. n. 5173/15 conferma l’illegittimita’ del recesso perche’ i due motivi addotti erano contraddittori (oltre che l’uno insussistente e l’altro ininfluente), mentre Cass. n. 2874/12 e Cass. n. 7750/03 asseriscono che un licenziamento per giustificato motivo oggettivo ben puo’ conseguire ad una riorganizzazione tecnico-produttiva mirante a contenere i costi; Cass. n. 17069/02 dichiara giustificato il licenziamento dovuto all’informatizzazione dell’organizzazione aziendale per la quale il lavoratore non aveva adeguata professionalita’; Cass. n. 12421/02 dichiara ingiustificato il licenziamento per mancanza di prova dell’impossibilita’ del repechage; Cass. n. 8396/02 riconosce legittimo il licenziamento per avvenuta soppressione delle mansioni di centralinista; Cass. n. 14210/01 e Cass. n. 4670/01ammettono la legittimita’ del recesso conseguente ad una diversa ripartizione, fra altri lavoratori, delle mansioni un tempo affidate a quello licenziato; Cass. n. 13021/01 consente il licenziamento in un caso di esternalizzazione di mansioni di vigilanza; Cass. n. 8135/2000 conferma la legittimita’ d’un licenziamento intimato per soppressione d’un posto di ispettore d’una societa’ di assicurazioni.

In nessuno di tali precedenti giurisprudenziali si afferma che l’imprenditore possa riorganizzare la propria azienda (e conseguentemente licenziare un lavoratore) solo per evitare perdite e non anche per mantenere od incrementare i profitti.

In altre parole, quel che e’ vietato non e’ la ricerca del profitto mediante riduzione del costo del lavoro o di altri fattori produttivi (nell’ottica dell’art. 41 Cost., comma 1, la liberta’ di iniziativa economica e’ finalizzata alla ricerca del profitto, sia pure nel rispetto del comma 2), ma il perseguire il profitto soltanto mediante un abbattimento del costo del lavoro realizzato con il puro e semplice licenziamento d’un dipendente che, a sua volta, non sia dovuto ad un effettivo mutamento dell’organizzazione tecnico-produttiva, ma esclusivamente al bisogno di sostituirlo con un altro da retribuire di meno, malgrado l’identita’ (o la sostanziale equivalenza) delle mansioni.

Ad esempio, il licenziamento d’un lavoratore anziano, che abbia un elevato livello di inquadramento contrattuale e che abbia maturato tutti gli scatti di anzianita’ non e’ giustificabile ove la sua posizione lavorativa permanga immutata in azienda e sia semplicemente attribuita ad un nuovo assunto, magari piu’ giovane e/o piu’ disponibile ad accettare peggiori condizioni retributive e di inquadramento contrattuale.

In tal caso, infatti, la ricerca d’un incremento di produttivita’ in termini di contrazione del costo del lavoro non si accompagna ad un mutamento nell’organizzazione tecnico-produttiva, solo in presenza del quale ricorre il giustificato motivo oggettivo cosi’ come descritto dalla L. n. 604 del 1966, art. 3 (che lo individua in “ragioni inerenti all’attivita’ produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”).

Nel caso di specie l’impugnata sentenza ha evidenziato che G.G. era adibita, nel nucleo amministrativo-contabile della societa’, a mansioni di carico e scarico fiscale della merce e registrazione delle fatture relative alle imprese di pesca conferenti, mansioni poi ripartite fra altre due dipendenti, B.S. e M.T..

Queste essendo le premesse, deve concludersi che la sentenza impugnata non si e’ attenuta ai principi sopra riassunti, per aver ritenuto che non costituisca giustificato motivo oggettivo la ripartizione delle mansioni del lavoratore licenziato fra altri dipendenti gia’ in servizio e per aver affermato che la situazione di insostenibilita’ dei costi del personale, dovuta al pur accertato decremento del numero di associati alla societa’ consortile oggi ricorrente, non giustificasse il licenziamento e che non ne fosse provata la possibilita’ di rimediare altrimenti.

A quest’ultimo proposito e’ appena il caso di ribadire che il datore di lavoro deve provare l’impossibilita’ del repechage, ma non anche l’impossibilita’ di rimedi alternativi alla prescelta riorganizzazione del lavoro, poiche’ diversamente opinando si reintrodurrebbe surrettiziamente un non consentito controllo giurisdizionale sul merito delle scelte dell’imprenditore relative all’organizzazione tecnico-produttiva della sua azienda.

4- In conclusione, il ricorso va accolto. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio – anche per le spese – alla Corte d’appello di Bologna, che dovra’ attenersi ai seguenti principi di diritto:

a) “Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento L. n. 604 del 1966, ex art. 3, puo’ consistere anche soltanto in una diversa ripartizione di date mansioni fra il personale in servizio attuata a fini di piu’ economica ed efficiente gestione aziendale, nel senso che, invece di essere assegnate ad un solo dipendente, esse possono suddividersi fra piu’ lavoratori, ognuno dei quali se le vedra’ aggiungere a quelle gia’ espletate: il risultato finale puo’ legittimamente far emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto in modo esclusivo o prevalente, sempre che tale riassetto sia realmente all’origine del licenziamento anziche’ costituirne mero effetto di risulta”;

b) “In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo L. n. 604 del 1966, ex art. 3, il datore di lavoro deve provare l’impossibilita’ del c.d. repechage, ma non anche l’impossibilita’ di rimedi alternativi alla prescelta riorganizzazione del lavoro, poiche’ diversamente opinando si reintrodurrebbe surrettiziamente un non consentito controllo giurisdizionale sul merito delle scelte dell’imprenditore relative all’organizzazione tecnico-produttiva della sua azienda”.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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