Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15082 del 02/07/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 15082 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 28380-2008 proposto da:
NUOVA SACELIT

S.R.L.,

in persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA G.B. VICO l, presso lo studio
dell’avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
2014

LUCCHINI BRUNO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1872
contro

GHISLENI

GIUSEPPE

c.f.

GHSGPP32TO5B434M,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 59,

Data pubblicazione: 02/07/2014

\

r

presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ONGARO
LUCIANO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/05/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO;
udito l’Avvocato AMOS ANDREONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per:
in via principale, inammissibilità; in subordine
rigetto.

di BRESCIA, depositata il 08/08/2008 R.G.N. 446/2007;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 8 agosto 2008, la Corte d’appello di Brescia rigettava l’appello proposto da
Nuova Sacelit s.r.l. avverso la sentenza di primo grado, che l’aveva condannata al pagamento,
in favore di Giuseppe Ghisleni, della somma di € 28.784,00 (oltre interessi legali,

resto), a titolo di risarcimento del danno biologico e morale sofferto per fibrosi polmonare
diffusa conseguente ad inalazione di fibre di amianto, cui attribuiva un’invalidità pari al 15%,
dipendente dall’omissione colposa di misure di sicurezza idonee alla prevenzione e
diminuzione delle polveri di amianto, presenti sul luogo di lavoro in ragione dell’attività
produttiva della società datrice, alle cui dipendenze egli aveva lavorato dal 1955 al 1987.
In esito ad illustrazione dell’evoluzione storica della conoscenza degli effetti dell’esposizione
ad amianto, nonché a critico ed argomentato esame delle risultanze istruttorie e della C.t.u.
medico — legale, diffusamente richiamata, la Corte territoriale riteneva la prova:
dell’eziopatogenesi professionale della fibrosi polmonare contratta da Giuseppe Ghisleni; del
nesso causale tra sua insorgenza e durata e quantità di esposizione alle polveri di amianto del
lavoratore (per trentadue anni addetto a mansioni varie, tra le quali: miscelazione, produzione
di lastre, carico e scarico di tubi sul piazzale); dell’omissione dalla società datrice delle misure
di sicurezza all’epoca adottabili in base allo stato delle conoscenze tecniche (segregazione
degli ambienti polverosi, installazione di impianti di aspirazione adeguati, abbattimento delle
polveri con l’umidificazione), in violazione degli artt. 2087 c.c. e 21 d.p.r. 303/56.
Nuova Sacelit s.r.l. ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste con controricorso
Giuseppe Ghisleni; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente deduce omessa motivazione sul fatto decisivo e
controverso della impossibilità di prevenzione dell’asbestosi (nella fase iniziale definita
fibrosi polmonare diffusa) negli anni anteriori al 1978 (e pertanto all’epoca di esposizione di
Giuseppe Ghisleni all’amianto), sulla base di documentati studi in ordine ai valori limite di
soglia per la concentrazione delle fibre di amianto negli ambienti lavorativi per protezione dei
lavoratori, via via sempre più bassi e progressivamente recepiti nella normativa interna fino al

rivalutazione, spese di C.t.u. e processuali: queste ultime in misura di metà, compensate nel

definitivo divieto, con legge 257/1992, di estrazione, importazione, esportazione,
commercializzazione e produzione dell’amianto (e di suoi prodotti o nei quali contenuto),
oggetto di specifica allegazione nel giudizio di appello non considerata dalla Corte bresciana.
Con il secondo, la società ricorrente deduce omessa motivazione sul fatto decisivo e
controverso dell’impossibilità di prevenzione delle placche pleuriche all’epoca di esposizione

Chiappino (secondo cui, in particolare, il mesotelioma e dette placche causati non da tutte le
fibre inalate, come l’asbestosi, ma soltanto da quelle ultrafini, né visibili né eliminabili con le
misure disponibili fino alla seconda metà degli anni ottanta) prospettato nel proprio atto di
appello, non puntualmente disatteso dalla sentenza impugnata, sulla scorta delle conclusioni
della C.t.u. (secondo cui tutte le fibre di asbesto, di qualunque tipo e lunghezza, in grado di
determinare le placche pleuriche), senza debita confutazione argomentativa.
Entrambi i motivi, relativi ad omessa motivazione sull’impossibilità di prevenzione
rispettivamente dell’asbestosi negli anni anteriori al 1978, epoca di esposizione di Giuseppe
Ghisleni all’amianto (il primo) e delle placche pleuriche nella stessa epoca, tra gli anni 1955 e
1987 (il secondo), sono inammissibili.
Ed infatti, con essi la società ricorrente muove censure che intendono contrapporre la
ricostruzione dei fatti operata dal giudice al proprio convincimento soggettivo, in particolare
prospettante una diversa rilevanza dello stato delle conoscenze tecniche e scientifiche in
materia di effetti patologici dell’esposizione alle polveri di amianto e della conseguente utile
adottabilità di rimedi preventivi all’insorgere della malattia accertata.
Ma si tratta di circostanze che la Corte bresciana ha ben considerato, in riferimento tanto alla
censura del primo motivo (“Si contesta che, alla luce degli studi scientifici più recenti,
possano avere un senso le modificazioni legislative delle quantità massime di polveri
“consentite” sia per la prevenzione dell’asbestosi, sia successivamente per la prevenzione del
carcinoma e del mesotelioma, introdotte dalla legislazione fino al divieto di produzioni con
impiego di amianto”: così a pg. 4 della sentenza impugnata), quanto alla censura del secondo
(“Si contesta … Quindi, anche se l’art. 21 dpr n. 303156 imponeva di adottare tutti i
provvedimenti idonei a impedire o a ridurre lo sviluppo e la dispersione delle polveri
nell’ambiente di lavoro … ciò non avrebbe alcun significato in relazione a fibre non visibili
neppure al microscopio. … In ogni caso, le misure di sicurezza disponibili all’epoca non

(anni 1955 — 1987) di Giuseppe Ghisleni all’amianto, sulla base di autorevole studio del prof.

sarebbero mai state tali da eliminare il pericolo di inalazione delle polveri di amianto,
ragione per la quale il lavoratore avrebbe ugualmente contratto la stessa patologia”:così a
pgg. 4 e 5 della sentenza impugnata). E tali censure essa ha valutato negativamente (“Queste
affermazioni non sono condivisibili e appaiono sotto alcuni aspetti anche intrinsecamente
contraddittorie”: così all’ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza impugnata), dandone

Quanto all’impossibilità di prevenzione dell’asbestosi negli anni anteriori al 1978, la Corte ha
ritenuto l’ adottabilità di misure specifiche già dal 1956 sicuramente non assunte da Nuova
Sacelit s.r.l. (a pgg. da 12 a 14 della sentenza), tenuto conto dell’accertata esposizione alle
polveri di Giuseppe Ghisleni per la sua condizione lavorativa e dell’assenza di alcuna
precauzione né protezione nell’ambiente di lavoro, in cui, come riferito in particolare dal teste
Zonca “Nella Sacelit c’era polvere dappertutto” (così a pgg. dal0 a 12 della sentenza).
In proposito, giova anche sottolineare come dal dovere di prevenzione imposto al datore di
lavoro dall’art. 2087 cod. civ. (che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva) non
possa desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e
innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità
del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece
che l’evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento
imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati (Cass.
1 giugno 2004, n. 10510). Ed i rispettivi oneri probatori vanno diversamente modulati nel
contenuto, a seconda che le misure di sicurezza omesse siano espressamente e specificamente
definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una valutazione
preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 cod. civ.,
che impone l’osservanza del generico obbligo di sicurezza: nel primo caso, riferibile alle
misure di sicurezza cosiddette “nominate”, la prova liberatoria incombente sul datore di
lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro
dell’insussistenza dell’inadempimento e del nesso eziologico tra quest’ultimo e il danno; nel
secondo caso, relativo a misure di sicurezza cosiddette “innominate”, la prova liberatoria a
carico del datore di lavoro è invece generalmente correlata alla quantificazione della misura di
diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza,
imponendosi, di norma, al datore di lavoro l’onere di provare l’adozione di comportamenti

congrua motivazione, esente da vizi logici e giuridici.

specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o da altra fonte equiparata), siano
suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente
osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. 25 maggio 2006, n. 12445).
Nel caso di specie, pure in assenza di norme specifiche per il trattamento dei materiali
contenenti amianto (introdotte con d.p.r. 10 febbraio 1982, n. 15), era tuttavia imposta

virtù dell’art. 21 d.p.r. 303/1956: facente obbligo al datore, nei lavori normalmente fonte di
polveri di qualunque specie, di adottare provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne la
diffusione nell’ambiente di lavoro (primo comma) e, in caso di impossibilità di sostituzione
del materiale di lavoro polveroso, di adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi o
muniti di sistemi di aspirazione e raccolta delle polveri per impedirne la dispersione (terzo
comma); ed ancora, quando inattuabili tali misure tecniche di prevenzione e possibile per la
natura del materiale polveroso, di provvedere all’inumidimento del materiale (quarto comma);
ed infine, qualunque sistema adottato per la raccolta e l’eliminazione delle polveri, di
impedire che esse possano rientrare nell’ambiente di lavoro (quinto comma). Ed è stato
appunto accertato che nessuna di tali misure sia stata adottata da Nuova Sacelit s.r.l.
Quanto all’impossibilità di prevenzione delle placche pleuriche all’epoca di esposizione di
Giuseppe Ghisleni all’amianto, tra gli anni 1955 e 1987, per la dipendenza causale delle
placche pleuriche soltanto dalle fibre ultrafini, la Corte territoriale ha operato una puntuale ed
argomentata disamina epidemiologica sulla scorta delle condivise risultanze della C.t.u.,
diffusamente illustrate, ben giustificandone la conclusione della loro imputabilità “a qualsiasi
fibra d’amianto” (così a pgg. da 8 a 10 della sentenza).
Si comprende allora come le censure, alla luce del quadro argomentativo illustrato, attingano
aspetti del giudizio, interni alla discrezionalità valutativa degli elementi di prova e
all’apprezzamento dei fatti, riguardanti il libero convincimento del giudice e non i possibili
vizi del suo percorso formativo rilevanti ai fini in oggetto. E come pertanto esse si risolvano
in un’istanza inammissibile di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di
merito e quindi nella richiesta di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle
finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n.
6064). 11 ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare
il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della

l’adozione di misure idonee a ridurre il rischio di esposizione dei lavoratori alle polveri, in

correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice
di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei

2013, n. 24679; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).
Ed in particolare, l’accertamento dell’invalidità derivante da malattia professionale (se
sorretto, come nel caso di specie, da motivazione immune da vizi logici e giuridici, tale da
consentire di identificare 1′ iter argomentativo fondante la decisione) è incensurabile in sede di
legittimità, quando il giudice accolga le conclusioni del C.t.u. facendole proprie, per
assoluzione dell’obbligo di motivazione con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento
espresso, senza necessità di confutazione dettagliata delle contrarie argomentazioni della
parte, da ritenersi implicitamente disattese (Cass. 29 agosto 2005, n. 17420). In caso di
sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del C.t.u., il difetto di motivazione
denunciabile in cassazione deve perciò consistere nell’indicazione delle carenze e deficienze
diagnostiche riscontrabili nella perizia, o nella precisazione delle affermazioni illogiche o
scientificamente errate in essa contenute, o nella individuazione di omissione degli
accertamenti strumentali imprescindibili per la formulazione di una corretta diagnosi: non
essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del
consulente e della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico. Al di fuori di tale
ambìto, infatti, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico,
non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di
revisione nel merito del convincimento del giudice (Cass. 21 agosto 2007, n. 17779; Cass. 17
aprile 2004 n. 7341; Cass. 28 ottobre 2003 n. 16223)
Dalle superiori argomentazioni discende coerente la reiezione del ricorso, con la condanna di
Nuova Sacelit s.r.l. alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo, a Giuseppe
Ghísleni, secondo il regime di soccombenza.

P.Q.M.

mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre

La Corte
rigetta il ricorso e condanna Nuova Sacelit s.r.l. alla rifusione, in favore del resistente, delle
spese del presente giudizio, liquidate in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per compenso
professionale, oltre accessori di legge.

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA