Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15081 del 19/06/2017

Cassazione civile, sez. VI, 19/06/2017, (ud. 07/04/2017, dep.19/06/2017),  n. 15081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 912-2015 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso

lo studio del Dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato NAZZARENA ZORZELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1229/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 14/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/04/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

RAGIONI DELLE DECISIONE

Con sentenza del 21/03/2014 la Corte d’Appello di Bologna, riformando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta dal cittadino nigeriano M.M. di riconoscimento della protezione sussidiaria.

A sostegno della decisione ha affermato: l’appello proposto da Ministero dell’Interno è ammissibile dal momento che il difetto di specificità censurato è diretta conseguenza delle ragioni della decisione di primo grado, non potendosi richiedere all’appellante un grado di concretezza specificità superiore a quello sul quale si è fondata la pronuncia impugnata; nel merito l’appello è fondato dal momento che il richiedente non ha allegato alcuna relazione tra la descritta situazione di generale violenza in Nigeria e la condizione di vita personale narrata. Il richiedente ha dichiarato di essere originario di (OMISSIS), di essersi trasferito nel 2004 a (OMISSIS) a seguito di una contesa scoppiata tra la propria comunità e un altro villaggio in ordine alla proprietà di un terreno, di essersi allontanato dalla Nigeria per la Libia nel 2008 a causa di uno scontro tra cristiani e musulmani nel quale avevano perso la vita la moglie ed il figlio, di essersi trasferito in Libia e, infine, di aver raggiunto l’Italia il 29 giugno 2011 a seguito della guerra civile.

Le dichiarazioni in oggetto sono da ritenere inattendibili sia in ordine al matrimonio, rispetto al quale non è stata fornita alcuna prova, sia in ordine alle incongruenze sul trasferimento a (OMISSIS) dal proprio villaggio. Non applicabili nella specie i principi elaborati in materia dalla Corte di Giustizia, in quanto l’inattendibilità del richiedente non attiene al profilo dell’onere (attenuato) della prova, ma al profilo dell’allegazione dei fatti: non risulta, invero, alcun collegamento tra la sua condizione personale e la situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino nigeriano, sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Nel primo motivo di ricorso, sotto il profilo del vizio ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, viene reiterata la censura d’inammissibilità per genericità dei motivi dell’atto di appello, previa riproduzione della comparsa di risposta del ricorrente in secondo grado e dell’atto di appello del Ministero dell’Interno, sottolineando come tale atto sia del tutto identico a tutti gli altri relativi a fattispecie analoghe e la Corte d’Appello abbia fornito una motivazione sul punto meramente apparente.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 14; del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 12 e 27 per avere la Corte d’Appello di Bologna violato la disciplina legale della protezione sussidiaria in quanto, pur non negando che la situazione sociale della Nigeria sia quella descritta dal Tribunale, fonda la propria decisione sul difetto di credibilità del richiedente, aggiungendo che il trasferimento a (OMISSIS) avrebbe avuto carattere meramente privato senza però verificare se la situazione attuale del paese di provenienza presenti le caratteristiche di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. A tale riguardo il giudice era tenuto a verificare il rischio attuale in caso di rientro nello Stato di Enugu dal quale il ricorrente era fuggito nel 2004 o nello stato di Plateau ove ha vissuto dal 2004. Tale accertamento risulta anche alla base dei principi esposti dalla Corte di Giustizia.

In primo luogo devono essere disattese le eccezioni preliminari dedotte dalla parte resistente.

L’applicazione del termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso per cassazioni avverso provvedimenti della Corte d’Appello relativi al diritto alla protezione internazionale è stata esclusa dalla giurisprudenza di questa sezione già in diverse pronunce. Se ne segnala una delle più recenti oggetto di massimazione ufficiale (Cass. 18704 del 2015): “In tema di tempestività del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di protezione internazionale, a seguito dell’abrogazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 33, comma 14, deve applicarsi il termine ordinario di cui all’art. 327 c.p.c. e non già il termine di trenta giorni di cui all’art. 702 quater c.p.c., relativo al rito sommario di cognizione, applicabile ai giudizi di merito in virtù del D.Lgs. n. 130 del 2011, art. 19. Invero, il comma 10 di tale disposizione deve essere interpretato nel suo reale significato di attribuire priorità nella trattazione delle controversie in materia di protezione internazionale, non anche nel senso di rendere applicabili al giudizio di legittimità disposizioni abrogate o riguardanti i giudizi di merito, con interpretazione, peraltro, palesemente in contrasto con il diritto delle parti ad un giusto processo ed all’effittività del diritto di difesa”.

Il ricorso risulta tempestivo dal momento che il termine semestrale deve essere calcolato ex nominatione dierum ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 2, trattandosi di temine da computare a mesi od anni. Il dies a quo è la data di deposito della sentenza ed il termine finale è quello identico a quello iniziale che cada nel sesto mese successivo (14/11/2014) Ad esso vanno aggiunti 45 giorni di sospensione feriale per pervenire come termine ultimo di notifica del ricorso al 29/12/2014.

Il primo motivo di ricorso è infondato. Secondo quanto prospettato dalla stessa parte ricorrente nell’illustrazione del motivo, ed in ossequio al principio di autosufficienza, risulta che il primo motivo d’appello contiene una critica specifica alla sentenza di primo grado nel suo incipit: “si evidenzia l’erroneità dell’ordinanza che in motivazione riporta fatti persino risalenti al 2004 relativi a vicende personali ed economiche (rivendica della proprietà di un terreno, limitandosi poi a descrivere genericamente la Nigeria)”. La parte successiva dell’appello spiega perchè alla luce della giurisprudenza e delle norme citate la conclusione del giudice di primo grado sia da disattendere. Inoltre la parte di sentenza di primo grado riportata nel primo motivo di ricorso (pag. 12) rappresenta una situazione di carattere generale senza specificazione alcuna della tipologia di violenza o di conflitti presenti in Nigeria nè delle aree coinvolte con riferimento ai luoghi di origine e trasferimento indicati dal richiedente. Ne consegue la sussistenza delle condizioni di specificità richieste dall’art. 342 c.p.c. anche alla luce dei principi esposti in una recente sentenza di questa Corte (18704 del 2015): “Affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamente impregnato, non è sidente che nell’atto di appello sia mande stata una volontà in tal senso, ma è necessario che vi sia una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con censura chiara e motivata, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico, sicchè deve ritenersi passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado in merito al quale l’atto di appello si limiti a manifestare generiche perplessità, serra svolgere alcuna argomentazione idonea a confutarne il fondamento”, dal momento che, come evidenziato, il riferimento alla situazione personale del richiedente e il richiamo alla giurisprudenza relativa ai requisiti della protezione sussidiaria da riconoscersi D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) costituiscono non una motivazione perplessa, nella specie, ma una critica precisa chiaramente estrapolabile, come consentito secondo l’orientamento di questa Corte (Cass. 20124 del 2015), dalla lettura dell’atto.

Il secondo motivo di ricorso non può essere accolto dal momento che si fonda prevalentemente, se non esclusivamente, sul mancato vaglio attuale della situazione in Nigeria, non rivolgendosi puntualmente contro la ratio decidendi del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, indicato dalla Corte territoriale nella inattendibilità delle dichiarazioni e nella loro non riconducibilità ad alcuna condizione personale di sottoposizione a rischio e, dunque, ad un difetto di allegazione della condizione soggettiva originaria ed attuale dalla quale far discendere l’onere di integrare officiosamente il quadro probatorio sull’esistenza ed il grado di violenza indiscriminata e di conflitto armato.

Peraltro nessuna precisa allegazione risulta, dall’esame degli atti I consentito a questa Corte, in ordine alla pericolosità specifica delle due aree, quella di origine e quella di trasferimento, nè un’indagine di tale natura risulta essere stata eseguita dal giudice di primo grado. Pertanto la censura relativa al mancato accertamento della condizione attuale deve ritenersi generica.

Ne consegue il rigetto del ricorso con compensazione delle spese del presente giudizio attesa la particolarità della vicenda.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2017

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