Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1508 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 23/01/2020), n.1508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9581-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.P. E FIGLI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIA

CONDOTTI 91, presso lo studio dell’avvocato PANNUNZIO VALENTINA,

rappresentata e difesa dagli avvocati FRATTAROLI MARIA ANGELINA,

MOZZETTI MARIA ROSARIA;

– controricorrente –

e da

A.P. E FIGLI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIA

CONDOTTI 91,” presso lo studio dell’avvocato PANNUNZIO VALENTINA,

rappresentata e difesa dagli avvocati FRATTAROLI MARIA ANGELINA,

MOZZETTI MARIA ROSARIA;

– ricorrente successivo –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE

– intimata –

avverso la sentenza n. 1356/2014 della

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di LATINA, depositata il 03/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/11/2019 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’STEFANO che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale e del 1 motivo del ricorso

incidentale, accoglimento del 2 motivo del ricorso incidentale.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza n. 1356/40/14, depositata il 3 marzo 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio – sezione staccata di Latina – accolse parzialmente l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della società A. e Figli S.r.l., avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina, che aveva invece accolto integralmente nel merito il ricorso proposto dalla società avverso avviso di accertamento ai fini IRES, IVA ed IRAP per l’anno d’imposta 2006.

L’accertamento, col quale era rettificato il reddito d’impresa rispetto a quello dichiarato per l’anno di riferimento, con la ripresa a tassazione delle succitate maggiori imposte ritenute dovute, traeva origine da verifica della Guardia di Finanza di Latina, venendo ad essere quindi contestata alla contribuente, sulla base dei rilievi di cui al relativo processo verbale di constatazione: a) l’indebita deduzione di costi contabilizzati come spese per il personale, escluse dall’imponibile IRPEF e contributivo, prive di documentazione a supporto, recanti causali diverse quali “liberalità”, “premio una tantum”, “premio di prod.”, “rimborso spese”, “inventario premio” e “indennità varie” per complessivi C 70.268,69; b) l’indebita deduzione di costi vari; c) l’indebito ammortamento dei costi derivanti da “ampliamento straordinario dell’attività di impresa”, dichiarati in favore della società Latina Fiori S.r.l., con ripresa a tassazione della quota annuale (Euro 20.000,00) sul costo di Euro 120.000,00.

La CTR, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che confermò nel resto, accolse l’appello dell’Ufficio soltanto in relazione alla non deducibilità dei costi contabilizzati come spese per il personale.

Avverso la pronuncia della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso limitatamente alla statuizione rispetto alla quale è rimasta soccombente, notificato il 10 aprile 2015, affidato a due motivi, cui la contribuente resiste con controricorso.

La società ha a sua volta impugnato separatamente la stessa sentenza, nella parte relativa alla statuizione ad essa sfavorevole, con ricorso notificato il 17 aprile 2015, che assume quindi natura di ricorso incidentale, affidato a tre motivi.

Il Pubblico Ministero ha depositato proprie conclusioni ai sensi dell’art. 380-bis1 c.p.c., chiedendo l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, erroneamente definito incidentale, in relazione al secondo motivo, rigettato il primo ed il rigetto del ricorso della contribuente.

La contribuente ha altresì depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso principale l’Amministrazione finanziaria denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento al non essere ricompreso nel contratto di affitto di ramo di azienda intercorso tra la società ricorrente principale e la Latina Fiori S.r.l. il costo di Euro 120.000,00 in relazione al quale, per l’anno di riferimento, la prima ha portato in deduzione la quota di Euro 20.000,00.

2. Con il secondo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 88 T.U.I.R. e art. 109 T.U.I.R., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado annullando il recupero a tassazione, quale sopravvenienza attiva, dell’importo di Euro 45.591,90 per saldo – avere del conto crediti (OMISSIS).

La CTP, in proposito, aveva accolto il ricorso della società, che aveva qualificato la citata posta come frutto di errate registrazioni contabili effettuate nei periodi d’imposta precedenti, ritenendo che tale modus operandi si risolvesse in un mero giroconto, neutro ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imponibile, laddove la CTR, invece, oltre che in contrasto tanto con i principi contabili OIC quanto con i principi di diritto affermati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, aveva, pur sull’assunto dell’incidenza dell’errore di contabilizzazione sulla determinazione della base imponibile, invece poi concluso, in modo del tutto contraddittorio, escludendo la soggezione a tassazione della predetta maggiore base imponibile.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale la società denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 111 Cost., comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo che la decisione impugnata, laddove ha accolto l’appello principale dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, debba ritenersi viziata da motivazione apparente, inidonea, anche in presenza di espressioni contraddittorie, a consentire il controllo sul percorso logico – giuridico attraverso il quale il giudice tributario d’appello è pervenuto alla propria decisione.

4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la società lamenta violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 95 e 109 (TUIR), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che il riconoscimento della legittimità dell’operato dell’Ufficio in relazione al disconoscimento dei costi contabilizzati dalla società come spese per il personale dipendente sia viziato dal riferimento, contenuto nella decisione impugnata, all’insussistenza dei requisiti di cui all’art. 109, trovando la deducibilità di detti costi fonte nell’art. 95 T.U.I.R. citato, a norma del quale “le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori, salvo il disposto dell’art. 100, comma 1”.

5. Con il terzo motivo di ricorso incidentale la contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia in ordine all’applicabilità alla fattispecie sottoposta al suo vaglio dell’art. 95 T.U.I.R..

6. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile, sebbene per ragione diversa da quella prospettata nel controricorso della società, non essendovi, infatti, preclusione nella proposizione del motivo in ordine alla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, da c.d. doppia conforme, essendo stato il giudizio di appello introdotto con ricorso depositato il 24 marzo 2011.

L’inammissibilità del motivo va comunque affermata, dovendo escludersi, infatti, che vi sia stato, da parte della sentenza impugnata, omesso esame del fatto riferito all’insussistenza, nel contratto di affitto di ramo d’azienda tra l’odierna ricorrente principale e la Latina Fiori S.r.l., di clausola che comportasse l’assunzione da parte della prima dei costi rilevanti per la messa a disposizione degli immobili da parte della concedente dei locali.

La decisione assunta dalla CTR, in parte qua favorevole alla contribuente, ha dato espressamente atto che “la spesa non è prevista nel contratto di affitto”, ma poggia sulla differente considerazione che le opere in questione, rifacimento della porta d’ingresso ed adeguamento dell’impianto elettrico, pur espressamente qualificate dal giudice tributario d’appello come implicanti “spese straordinarie avvenute a seguito dell’ampliamento della attività della società A.”, fossero attinenti a normale funzionamento del bene.

Detta statuizione non è stata peraltro censurata nel presente giudizio dall’Amministrazione ricorrente per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (109 ed 88 TUIR, 2697 c.c. in ordine al riparto dell’onere probatorio sulla certezza ed inerenza dei costi in ordine alla loro deducibilità).

7. Deve invece ritenersi fondato il secondo motivo di ricorso principale.

7.1. La correzione di errori non determinanti, secondo quanto stabilito dal principio contabile OIC n. 29, quale applicabile al tempo della chiusura del bilancio relativo all’anno 2004, deve avvenire nell’esercizio stesso in cui essi vengono scoperti, attraverso la rettifica della posta patrimoniale che a suo tempo fu interessata dall’errore, con contropartita alla voce “proventi ed oneri straordinari componenti di reddito relativi ad esercizi precedenti (cfr. par. C. IV. a).

Tra questi debbono comprendersi, per quanto qui rileva, le sopravvenienze attive determinate (art. 88 T.U.I.R., comma 1, seconda parte) dalla sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.

7.2. In proposito questa Corte ha affermato (cfr. Cass. sez. 5, 8 giungo 2011, n. 12436; cfr., in termini, con riferimento all’analoga disposizione dell’art. 55 T.U.I.R., comma 1, ante 2004, Cass. sez. 5, 22 settembre 2006, n. 20543) che “In tema di redditi d’impresa, la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva” ai sensi della succitata norma del TUIR, “si realizza in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, e dunque indipendentemente dal sopraggiungere di eventi gestionali straordinari o comunque imprevedibili, una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata, ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, come liberazione di riserve, con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all’esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza”.

7.3. La sentenza impugnata, che nella parte in esame ha escluso l’assoggettamento a tassazione di detta sopravvenienza attiva, generata dall’insussistenza di passività esposta per errore in precedente esercizio, si è posta dunque in contrasto con il principio di diritto affermato in materia da questa Corte come sopra trascritto e va pertanto cassata.

8. Venendo all’esame del ricorso incidentale della contribuente, il primo motivo è infondato e va rigettato.

Questa Corte ha chiarito che ricorre la nullità della sentenza per motivazione apparente, quando la motivazione, pur graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, in quanto recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, senza che possa essere lasciato all’interprete il compito d’integrarla, in virtù di ipotetiche congetture (cfr. Cass. SU 3 novembre 2016, n. 22232; si vedano anche Cass. SU 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053).

Ciò è da escludersi nella fattispecie in esame, nella quale – pur incorrendo talvolta in qualche improprietà terminologica – la CTR ha esplicitato le ragioni di fatto e di diritto che l’hanno portata all’accoglimento parziale dell’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, nei termini espressi appunto dalla motivazione, rendendo quindi possibile il controllo sulla ratio decidendi della pronuncia impugnata.

9. Il secondo motivo è inammissibile, e in ogni caso infondato.

Premesso che l’affermata specialità della disposizione di cui all’art. 95 T.U.I.R., quanto alla tipologia dei costi ivi presi in considerazione dalla norma, rispetto all’art. 109 T.U.I.R. medesimo, non esclude che ai fini della loro deducibilità debbano pur sempre sussistere i requisiti di certezza ed obiettiva determinabilità, nel resto la censura tende, sub specie della deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ad investire la Corte della rivalutazione delle risultanze istruttorie come operata dal giudice di merito, relativamente all’affermata, da parte della CTR, non sufficienza delle buste paga e delle scritture contabili per concludere che tali erogazioni, variamente denominate, non avessero natura sostanzialmente retributiva e non dovessero essere quindi assoggettate ad IRPEF ed a contribuzione previdenziale; ciò che, come è noto, risulta inammissibile in questa sede.

10. Ugualmente è inammissibile, e comunque infondato, il terzo motivo, che ripropone analoga questione, questa volta adducendo la sussistenza del vizio di omessa pronuncia sulla questione dell’applicabilità dell’art. 95 T.U.I.R. così come prospettata dalla ricorrente. Di là, infatti, dall’evidente carenza di autosufficienza del motivo, che non chiarisce se la questione sia stata riproposta in sede di appello nelle controdeduzioni della società vittoriosa in primo grado, nella fattispecie deve ritenersi che la questione sia stata quanto meno oggetto di rigetto implicito in relazione alla (con essa incompatibile) pronuncia di accoglimento, in parte qua, dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado.

11. In virtù delle considerazioni che precedono, il ricorso incidentale della contribuente va pertanto rigettato.

12. La sentenza impugnata va pertanto cassata limitatamente all’accoglimento del secondo motivo di ricorso principale e la causa rinviata alla Commissione tributaria regionale del Lazio – sezione staccata di Latina – in diversa composizione per nuovo esame, che provvederà anche in ordine alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso principale in relazione al secondo motivo, dichiarato inammissibile il primo e rigetta il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata limitatamente all’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio – sezione staccata di Latina – cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 novembre 2019

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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