Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15079 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 22/06/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 22/06/2010), n.15079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5162/2009 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato NUZZACI Vittorio, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARRAPESE ENRICO,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di FIRENZE del 6/12/07, depositata il 24/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. F.S., medico, propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione del silenzio rifiuto su istanze di rimborso Irap per gli anni 1999/2000, la C.T.R. Toscana riformava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso del contribuente) rilevando che, dalla stessa documentazione fornita dal contribuente, emergevano elementi per ritenere la sussistenza di autonoma organizzazione (essendo tra l’altro, per ciascun anno, risultate spese anche per compensi a collaboratori e a terzi, ed essendo il professionista risultato titolare di uno studio arredato in conformità alla destinazione e dotato dei necessari supporti informatici, nonchè di un’autovettura utilizzata per la professione).

2. Il primo motivo (col quale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, si censura la sentenza impugnata per avere i giudici affermato la rilevanza in sè ai fini Irap dell’esistenza di un’attività organizzata, non importa di che dimensioni) è innanzitutto inammissibile per assoluta genericità del quesito di diritto proposto, la cui formulazione è del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo ed a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v. tra le altre Cass. n. 7197 del 2009).

Il motivo è in ogni caso infondato, posto che i giudici d’appello hanno nella specie accertato, sulla base della stessa documentazione fornita dal contribuente, la sussistenza di elementi per ritenere la configurabilità nella specie di autonoma organizzazione (essendo tra l’altro, per ciascun anno, risultate spese anche per compensi a collaboratori e a terzi, senza che il contribuente, sul quale incombeva il relativo onere, avesse dimostrato che si trattava di collaborazioni occasionali), e che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene), “il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (v. tra le altre Cass. n. 3678 del 2007).

Il secondo motivo (col quale si deduce vizio di motivazione per avere i giudici d’appello valutato alcuni dati emergenti dalle dichiarazioni fiscali del contribuente – in particolare i compensi a terzi – omettendo di considerare, ai fini in esame, l’assenza di altri elementi quali ad esempio locazioni finanziarie o spese per personale, essendo controverso se alcuni elementi possano essere considerati idonei “a rappresentare la presenza di una struttura autonoma dalla prestazione e centrata su capitali da lavoro altrui”) e il terzo motivo (col quale si deduce omessa motivazione per non avere i giudici d’appello considerato che la particolare attività del contribuente – medico del SSN – ne comporterebbe la non assoggettabilità ad Irap) sono (prima che manifestamente infondati, alla luce della giurisprudenza sopra citata), innanzitutto inammissibili per inidoneità della illustrazione richiesta dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., sia perchè manca nella specie la chiara indicazione del fatto controverso (risultando proposta piuttosto una questione), sia perchè in ogni caso (con particolare riguardo al secondo motivo) il suddetto fatto non sarebbe decisivo, essendo nella specie irrilevante (ai fini dell’accertamento della sussistenza del presupposto di imposta ed alla luce della giurisprudenza sopra citata) accertare la sussistenza di una struttura autonoma dalla prestazione e centrata su capitali da lavoro altrui (ed essendo invece sufficiente l’accertamento della sussistenza degli elementi evidenziati dalla giurisprudenza sopra citata).

E’ poi appena il caso di evidenziare che in entrambi i motivi in esame (ma soprattutto nel terzo) motivo la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, riguarda non l’accertamento in fatto operato dai giudici d’appello ma le conseguenze giuridiche tratte (o meno) da taluni fatti, e perciò attiene, inammissibilmente alla motivazione in diritto (non in fatto) della sentenza impugnata.

Il quarto motivo (col quale si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere i giudici d’appello condannato il contribuente alle spese nonostante la mancanza di apposita richiesta nell’atto d’appello e il mancato deposito di dettagliata nota spese) risulta innanzitutto inammissibile per genericità del quesito di diritto nonchè improcedibile per omesso deposito degli atti sui quali il motivo è fondato – atto d’appello, onere che non può ritenersi osservato con la mera richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, col deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte – che in ipotesi tali atti contenga, se esso non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c., e se nel ricorso non si specifichi che il fascicolo è stato prodotto, indicando la sede in cui il documento è rinvenibile (v. S.U. n. 2 8547 del 2008, tra le altre Cass. n. 24940 del 2009 nonchè n. 303 del 2010, e, da ultimo, SU n. 7161 del 2010).

Prescindendo da quanto precede, il motivo risulta in ogni caso manifestamente infondato, posto che, stante la doverosità della statuizione sulle spese da parte del giudice e l’indicazione dei soggetti a carico dei quali porre le suddette spese posta nel codice di rito (le cui disposizioni in proposito devono ritenersi integrare la scarna disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15), la mancanza di una apposita richiesta della condanna in proposito è irrilevante, mentre il mancato deposito della nota spese può avere il solo effetto di limitare la condanna alle sole spese risultanti dagli atti di causa, avendo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità affermato che la previsione dell’art. 75 disp. att. c.p.c., concernente l’obbligo del difensore di presentare la nota delle spese, non esclude il potere-dovere del giudice di provvedere alla liquidazione delle spese giudiziali sulla base degli atti di causa ai sensi dell’art. 91 c.p.c., il cui disposto conferisce natura accessoria e consequenziale alla condanna della parte soccombente al rimborso, con la conseguenza che il giudice, anche in mancanza di esplicita richiesta della parte vincitrice, deve provvedervi d’ufficio (v. tra le altre Cass. n. 1440 del 2000), ed essendo inoltre da rilevare che il ricorrente non ha, in ricorso, neppure dedotto – tantomeno in maniera autosufficiente – che nella specie la liquidazione era stata superiore alle spese desumibili dagli atti processuali.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.100,00 di cui e Euro 900,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

 

 

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