Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15079 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15079 Anno 2015
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 10050-2009 proposto da:
BONGHI SALVATORE C. E. BNGSVT43S27L447D, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 2, presso lo
studio

dell’avvocato

FABIO

FESTUCCIA,

che

lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO
BLAGA, giusta delega n atti;
– ricorrente –

2015
1890

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
o

C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante

pro tempore, , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 17/07/2015

CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
ELISABETTA LANZETTA, GUGLIELMO TITA,giusta delega in
atti;
– controricorrente

di MILANO, depositata il 16/09/2008 r.g.n. 450/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/04/2015 dal Consigliere Dott. NICOLA DE
MARIN1S;
udito l’Avvocato FESTUCCIA FABIO;
udito l’Avvocato CIRIELLO CHERUBINA per delega verbale
LANZETTA ELISABETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto.

avverso la sentenza n. 1014/2008 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 16 settembre 2008, la Corte d’Appello di Milano, confermava la
decisione con cui il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda proposta da Salvatore
Bonghi nei confronti del’INPS, alle cui dipendenze prestava servizio in qualità di
impiegato direttivo con inquadramento nel livello dapprima C4 e infine C5, avente ad
oggetto l’accertamento dell’adibizione a mansioni inferiori a quelle proprie della qualifi cl a
dimissioni e la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno patrimoniale quantificato in
euro 25.953,24, oltre rivalutazione e interessi, nonché del danno non patrimoniale,
professionale ed esistenziale, da determinarsi in via equitativa.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non essere stata
raggiunta la prova del demansionamento neppure con riguardo alla preposizione ad un
settore od ufficio, per essere risultata questa una scelta rimessa alla discrezionalità della
dirigenza o all’affidamento dell’incarico di posizione organizzativa conseguente, in base al
contratto integrativo, ad una procedura selettiva interna su base regionale. .
Per la cassazione di tale decisione ricorre salvatore Bonghi, affidando l’impugnazione a
quattro motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i quattro motivi su cui si articola l’impugnazione proposta dal ricorrente, questi
confuta nel suo complesso la conclusione cui perviene la Corte territoriale in ordine alla
non ravvisabilità nella specie del lamentato demansionamento, denunciando l’erroneità
della valutazione dalla stessa Corte operata relativamente alla corrispondenza delle
mansioni assegnate e di fatto espletate dal ricorrente ai contenuti professionali della
qualifica rivestita all’epoca cui fa riferimento la controversia di funzionario di livello C4 e
poi C5; e ciò con riguardo ad ogni singola proposizione su cui la Corte ha fondato il
proprio giudizio negativo.
In effetti, con i primi tre motivi, il ricorrente denuncia il medesimo vizio di “illogicità,
contraddittorietà e carenza della motivazione” riferendolo, nel primo motivo alla
sopravvalutazione dei compiti ulteriori rispetto a quelli di routine che la Corte,
nell’affermare che gli fossero stati affidati ed effettivamente svolti in via esclusiva, ha
ritenuto adeguati alla qualifica rivestita in contrasto con quanto emergerebbe dalle riportate
risultanze istruttorie in ordine al carattere quantitativamente e cronologicamente limitato
dai compiti stessi, nel secondo motivo, all’affermazione secondo cui

“alla nuova

organizzazione del lavoro nelyistituto di Previdenza non avesse ancora fatto seguito la

rivestita per il periodo compreso tra 1.7.1998 ed il 30.6.2004, data delle rassegnate

creazione di funzioni adeguate alle figure professionali” che ritiene scarsamente plausibile
M particolare in relazione all’arco di tempo decorso tale da consentire l’attuazione concreta
del modello, nel terzo motivo, alla ritenuta congruità dell’esclusione del ricorrente dalla
preposizione ad una struttura organizzativa e dal conferimento dell’incarico di posizione
organizzativa, viceversa, a suo dire, tali da connotare, sul piano dei contenuti professionali,
la qualifica posseduta.
Con il quarto motivo, il medesimo rilievo inteso a censurare l’affermata correttezza della

mancata attribuzione al ricorrente della responsabilità di una struttura organizzativa — e ciò
anche con riguardo al periodo di impiego del medesimo con un rapporto di lavoro a tempo
parziale successivo al conseguimento a domanda della pensione di anzianità da parte dello
stesso – è proposto sotto il profilo del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di
legge, dedotto in relazione all’art. 2103 c.c., agli artt. 1, 2 e 52 d.lgs. n. 165/2001, del
CCNL applicato nel periodo dal 1.7.1998 al 30.6.2004, agli arti. 4, 36 e 97 Cost..
I quattro motivi, che, per quanto detto, appare qui opportuno trattare congiuntamente, si
rivelano – se non inammissibili, in quanto intesi a far valere in questa sede di legittimità una
ricostruzione dei fatti e delle risultanze istruttorie diversa da quella delineata dalla Corte
territoriale, così finendo per sollecitare un ulteriore giudizio sul merito della controversia,
viceversa, interdetto a questa Corte — quantomeno infondati, per risolversi le censure mosse
essenzialmente nel rilievo per cui il lamentato demansionamento sarebbe intrinseco alla
mancata preposizione del ricorrente ad una struttura organizzativa ed al mancato
conferimento al medesimo dell’incarico di posizione organizzativa, assunti come
connotazioni tipiche ed indefettibili della qualifica professionale formalmente posseduta,
restando irrilevante e, comunque, inadeguato ogni ulteriore e diverso incarico che gli ffosse
stato effettivamente attribuito.
In effetti, così formulata, la censura non è tale da inficiare il giudizio sussuntivo operato
dalla Corte territoriale, correttamente incentrato sul raffronto tra le mansioni in concreto
svolte dal ricorrente ed i contenuti professionali propri della qualifica attribuita.
Tali contenuti, infatti, da un lato, eccedono il riferimento alla preposizione gerarchica ad
una struttura di “line”, comprendendo altresì l’affidamento di compiti di staff, implicanti
l’esercizio diretto di specifiche competenze professionali, sui quali il ricorrente si limita
alla mera negazione dell’impiego in simili mansioni; dall’altro, non comprendono il
conferimento dell’incarico di posizione organizzativa, che la disciplina collettiva non
configura come mansione propria del funzionario direttivo di livello C4 o C5 in quanto
tale, prevedendone sì l’attribuzione a quanti appartengano alla richiamata qualifica, ma

e

sulla base di una procedura selettiva volta all’individuazione tra essi di quanti fossero
idonei all’esercizio di fizioni di coordinamento di più uffici o competenze nel cui
esercizio quell’incarico di concreta.
In ciò, ovvero nella considerazione del carattere non esaustivo ed eventuale degli specifici
compiti e ruoli rivendicati dal ricorrente, si sostanzia il significato del rilievo della Corte
territoriale, specificamente censurato dal ricorrente, per cui l’attribuzione di essi si pone

contrarietà al disposto dell’art. 2103 c.c. che il ricorrente rileva, assumendo
quell’affermazione in termini assoluti, quasi che la Corte territoriale avesse inteso come
mera facoltà del datore l’assegnazione del lavoratore alle mansioni proprie della qualifica
posseduta.
In effetti, su questa base, tenendo, cioè, conto da un lato, della maggiore ampiezza dei
contenuti professionali della declaratoria di qualifica rispetto all’attribuzione della
responsabilità di un ufficio, dall’altro, dell’irriducibilità a quei contenuti del più
comprensivo incarico di posizione organizzativa, non risulta ravvisabile nella pronunzia
della Corte territoriale, in relazione alla censura mossa,alcuna violazione dell’art. 2103 c.c.,
restando altresì immune dal denunciato vizio l’argomento che, ai fini dell’esclusione del
lamentato demansionamento valorizza l’attribuzione in esclusiva al ricorrente di incarichi
ulteriori rispetto alle incombenze ordinariamente svolte.
L’argomento, per un verso, non risulta affatto contraddetto dall’affermazione della Corte
territoriale per la quale, all’attuazione della nuova organizzazione del lavoro, l’ INPS non
avrebbe fatto seguire il tempestivo adeguamento delle funzioni del personale inserito nelle
nuove figure professionali, affermazione piuttosto tesa ad escludere ogni connotazione di
illiceità e la stessa personalizzazione del comportamento dell’Istituto, per altro verso,
risulta sottratto ad ogni censura sotto il solo profilo rilevante ex art. 2103 c.c, quello della
congruità degli stessi ai contenuti professionali della qualifica.
Parimenti la dedotta violazione di legge non è ravvisabile neppure con riguardo al periodo
di impiego del ricorrente a tempo parziale successivamente al conseguimento a domanda
della pensione di anzianità da parte dello stesso„ esaurendosi ancora una volta la censura
nell’imputare alla Corte territoriale la ritenuta congruità della mancata attribuzione al
z

ricorrente medesimo della responsabilità di un ufficio, mentre neppure risultano dedotte le
mansioni svolte dallo stesso nel periodo in questione da sottoporre al vaglio della Corte
medesima ai fini del giudizio di congruità con la qualifica.

nella disciplina collettiva come mera potenzialità, venendo meno, così, quel profilo di

e

Senza contare la mancata impugnazione da parte del ricorrente dell’ulteriore argomento in
base al quale la Corte ha inteso escludere in radice l’accoglibilità della domanda risarcitoria
avanzata dallo stesso ricorrente relativamente al medesimo periodo di impiego part time,
argomento relativo alla dubbia configurabilità di un danno professionale a carico di un
soggetto già collocato in quiescenza.
Il ricorso va dunque rigettato.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per
compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 aprile 2015
Il Consigliere est.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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