Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15078 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 22/06/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 22/06/2010), n.15078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 30375/2008 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTELLO 30,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DI GANGI, rappresentato e

difeso dall’avvocato PELLEGRINO Luciano, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 70/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di PALERMO, depositata il 05/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

udito l’Avvocato Sed Bruno (delega avvocato Pellegrino Luciano),

difensore del ricorrente che segnala la presenza di altro ricorso tra

le parti, per il resto si riporta ai motivi e chiede la P.U.;

è presente il Dott. RAFFAELE CENICCOLA che nulla osserva rispetto

alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. C.S. propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di rettifica Iva relativo al 1996, la C.T.R. Sicilia riformava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso del contribuente) modificando l’avviso opposto entro i limiti in cui l’Ufficio aveva ridimensionato in primo grado le proprie pretese.

2. I quattro motivi di ricorso (con ciascuno dei quali si deduce vizio di motivazione) presentano diversi profili di inammissibilità.

I suddetti motivi risultano infatti innanzitutto carenti in relazione alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008): nella specie il chiaro e sintetico momento riassuntivo richiesto dalla norma citata siccome interpretata dalla citata giurisprudenza manca oppure ha carattere meramente formale ed è privo di specifico contenuto (vedi in proposito la frase che conclude ciascuno dei quattro motivi). I motivi risultano inoltre talora volti, inammissibilmente, a censurare non l’accertamento in fatto bensì la motivazione in diritto della sentenza impugnata e talora indirettamente intesi a censurare le valutazioni operate dai giudici di merito (ad esempio quella in ordine alla congruità dello spazio temporale concesso al contribuente per difendersi e controdedurre).

E’ in ogni caso da aggiungere che manca la specifica ed espressa indicazione degli atti e documenti sui quali il ricorso è fondato (ad es., tra gli altri, p.v.c., avviso opposto, atto d’appello) e che, rispetto, a ciascun motivo, manca sempre il deposito, unitamente al ricorso, dei suddetti atti e documenti, previsto a pena di inammissibilità dall’art. 369 c.p.c., n. 4.

In proposito, è da precisare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, comporta che risultino chiaramente indicati non solo i documenti sui quali il ricorso (ovvero ciascuna censura) si fonda ma anche la sede processuale in cui detti documenti sono stati prodotti, prescrizione che va correlata al requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, prevedente il deposito, unitamente al ricorso, dei documenti sui quali esso è fondato, requisito che non può ritenersi soddisfatto con la mera richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, col deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga), se esso non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c., e se nel ricorso non si specifichi che il fascicolo è stato prodotto, indicando la sede in cui il documento è rinvenibile (v. S.U. n. 28547 del 2008 e tra le altre Cass. n. 24940 del 2009 nonchè n. 303 del 2010 e, da ultimo, SU n. 7161 del 2010), essendo appena il caso di aggiungere che il suddetto onere di deposito si applica anche nel processo tributario, non ostandovi il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 25, comma 2, per il quale “i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo”, in quanto la stessa norma prevede, di seguito, che “le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio”, con la conseguenza che non è ravvisabile alcun impedimento all’assolvimento dell’onere predetto, potendo la parte provvedere al loro deposito anche mediante la produzione in copia, alla quale l’art. 2712 cod. civ., attribuisce lo stesso valore ed efficacia probatoria dell’originale, salvo che la sua conformità non sia contestata dalla parte contro cui è prodotta (v. tra le altre Cass. n. 24940 del 2009). Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 di cui Euro 2.800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

 

 

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