Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15078 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15078 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 2875-2014 proposto da:
TOSTI MARIO C.F.

TSTMRA42H21D786J,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio
dell’avvocato CARLA RIZZO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FABRIZIO DOMENICO
sMASTRANGELI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
1770
e

contro

REGIONE DELL’UMBRIA C.F. 8000130544, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA F. SIACCI 2/B, presso lo

Data pubblicazione: 17/07/2015

^
,-.

z:
e

studio dell’avvocato DANIELE GUIDONI, rappresentata e
difesa dall’avvocato PAOLA MANUALI, giusta delega in
atti;

.,

controricorrente

avverso la sentenza n. 191/2013 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 21/09/2013 R.G.N. 193/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/04/2015 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato RUSSO ANNA per delega RIZZO CARLA;
udito l’Avvocato MANUALI PAOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO 2 che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

e

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Perugia Tosti Mario esponeva di aver ricevuto
l’incarico di direttore generale dell’Azienda r:ospedaliera di Perugia con
contratto del 14 febbraio 1995, con il quale era stabilito un compenso
annuo di £ 200.000.000. In esso era inoltre previsto che la Giunta regionale

del compenso, a titolo d’incentivo, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs n. 502/1992.
Con sentenza del 2 aprile 1996, il TAR dell’Umbria aveva annullato il
procedimento attuato dalla Regione per la nomina dei direttori generali,
nonché i conseguenti atti amministrativi. La Regione dell’Umbria, senza
dare rilievo al fatto che il TAR aveva annullato anche i provvedimenti di
nomina del Tosti, nonostante non figurassero tra quelli impugnati, aveva
disposto l’immediata cessazione del ricorrente dall’incarico di direttore
generale, e la conseguente interruzione dell’erogazione del compenso
previsto dal contratto. Il Tosti aveva impugnato la pronuncia del TAR
dinanzi al Consiglio di Stato che, con ordinanza n. 1303 del 27 settembre
1996, aveva sospeso l’efficacia della sentenza impugnata. In ottemperanza a
quel provvedimento, la Regione aveva reintegrato il Tosti nel posto
precedentemente occupato, senza tuttavia corrispondergli gli emolumenti
maturati nel periodo d’interruzione del rapporto. Il Consiglio di Stato, con
sentenza dell’8 aprile 1999, aveva riformato la sentenza del TAR e

stabilisse annualmente gli obiettivi aziendali e la percentuale d’incremento

dichiarato la legittimità dei provvedimenti di nomina. Nel frattempo, era
stata emanata la legge regionale 20 gennaio 1998. n. 3. In attuazione
dell’art. 34 di tale legge, il Presidente della Giunta regionale aveva risolto
di diritto il contratto con il Tosti per l’incarico quinquennale di direttore
generale dell’Azienda Ospedaliera di Perugia. Il comportamento della
Giunta regionale era illegittimo sotto diversi profili. Pertanto il Tosti
chiedeva che il giudice del lavoro condannasse la Regione dell’Umbria al
risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza dell’inadempimento
)

/..-

contrattuale messo in atto nei suoi confronti, e derivati, in particolare: a)
dalla mancata corresponsione degli emolumenti nel periodo compreso fra la
prima cessazione del rapporto e la reintegrazione disposta in ottemperanza
al provvedimento d’urgenza del Consiglio di Stato; b) dalla mancata
corresponsione degl’incentivi, conseguente all’omessa individuazione degli

via pregiudiziale, chiedeva dichiararsi rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 della legge
regionale n. 3/98.
Con sentenza del 10 febbraio 2011 il Tribunale di Perugia ha condannato
la convenuta al pagamento in favore del Tosti della somma di C 12.394,97,
oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali, a titolo di risarcimento del
danno per l’omessa determinazione degli obiettivi, ed ha respinto, per il
resto, il ricorso.
Con sentenza del 21 settembre 2013 la Corte d’appello di Perugia, in
parziale riforma di detta pronuncia di primo grado, ha rigettato
integralmente le domande avanzate dal Tosti nei confronti della Regione
Umbria.
La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia confermando l’esclusione
del diritto del Tosti al risarcimento per la prima cessazione del rapporto,
considerando che l’annullamento dell’atto di nomina del 4irettore enerale
da parte del TAR, con la sentenza in seguito riformata dal Consiglio di

obiettivi aziendali; e) dall’illegittima anticipata risoluzione del contratto. In

Stato, aveva privato di qualsiasi effetto il contratto stipulato tra le parti.
La stessa Corte d’appello ha poi escluso il diritto del Tosti al risarcimento
dei danni cagionati dalla risoluzione anticipata del rapporto disposta dalla
Regione in applicazione della legge regionale 20 gennaio 1998, n.3 che
dettava una nuova disciplina del sistema sanitario prevedendo
espressamente, all’art. 34, che gli organi delle 4ziende sanitarie regionali
in carica alla data di entrata in vigore della stessa legge, decadono a far data

ig,

dei provvedimenti di nomina dei loro successori, ed i relativi rapporti e
contratti di lavoro sono risolti di diritto alla stessa data. La stessa Corte
umbra ha pure confermato la dichiarazione di manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale di detta legge regionale sul rilievo
che il potere legislativo in materia di organizzazione delle strutture

di riorganizzare il sistema sanitario anche attraverso una nuova selezione
dei direttori generali delle singole aziende, costituisce un interesse pubblico
che comunque prevale sull’interesse del singolo, ed è insindacabile
dall’autorità giudiziaria. In ordine alla domanda di risarcimento per la
mancata determinazione degli obiettivi da raggiungere per l’anno 1997, che
il giudice di primo grado aveva accolto, la Corte territoriale ha invece
ritenuto che il Tosti non ha fornito, nel ricorso introduttivo, elementi da cui
potersi desumere che egli avrebbe raggiunto gli obiettivi aziendali se questi
fossero stati fissati dalla Regione, ed ha conseguentemente rigettato tale
domanda.
Il Tosti ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato
su tre motivi illustrati da memoria.
Resiste la Regione Umbria con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si assume violazione degli artt. 1372 cod. civ., 3
comma 6 d.lgs. n. 502 del 1992, nonché violazione e falsa applicazione
degli artt. 1256 e 1463 cod. civ. ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc.
civ. In particolare si deduce che la revoca unilaterale, da parte della
Regione, dell’incarico di ‘direttore gkenerale sarebbe stato illegittimo e la
norma sopravvenuta in merito al potere organizzativo della Regione non
configurerebbe un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione
da parte della Regione. D’altra parte la Corte costituzionale ha sempre
dichiarato costituzionalmente illegittime le norme che prevedevano, come

sanitarie è devoluto alle Regioni dall’art. 117 della Costituzione, e il potere

nel caso in esame, risoluzioni automatiche dei rapporti con i direttori
generali o con altri dirigenti.
Con il secondo motivo si lamenta omesso esame circa un fatto decisivo
•••

per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360, n.
5 cod. proc. civ., violazione dell’art. 336 cod. proc. civ. ex art. 360, comma

del Consiglio di Stato della sentenza del TAR Umbria, era stato
riconosciuto il diritto del ricorrente alla restituito in
integrum con il
conseguente diritto a tutte le retribuzioni maturate dalla data dell’illegittima
cessazione del rapporto, né il provvedimento amministrativo di
annullamento della nomina poteva porre nel nulla l’atto negoziale
intervenuto fra le parti. Inoltre il giudice dell’appello non avrebbe
considerato il fatto decisivo per cui i provvedimenti di nomina del Tosti
non erano stati neppure impugnati per cui non rientravano nel disposto
della pronuncia del TAR poi riformata.
Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 1218 e 2697 cod. civ. e
dell’art. 116 cod. proc. civ., e la mancata applicazione dell’art. 1372 cod.
civ. ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. con riferimento al rigetto
della domanda di risarcimento per la mancata determinazione degli
obiettivi da raggiungere. In particolare si assume che la Regione Umbria
sarebbe stata comunque inadempiente nel non prevedere gli obiettivi
aziendali e le modalità di verifica del loro raggiungimento, e da tale
inadempienza contrattuale derivava comunque il corrispondente danno per
la controparte.
Il primo motivo non è fondato.
Come esposto in narrativa, il prestatore di lavoro autonomo (si trattò
pacificamente di contratto di prestazione d’opera intellettuale) ha chiesto al
giudice una tutela non reintegratoria ma soltanto risarcitoria ex art. 1218
cod. civ.

1 n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che, dopo la riforma da parte

Esattamente la Corte d’appello ha escluso una responsabilità della
committente per inadempimento, cioè per illecito contrattuale, il quale, ‘
appunto, ai sensi dell’art. 1218 citato, richiede l’imputabilità della causa al
debitore. Non può essere imputato un non inadempimento derivato
dall’esecuzione di una legge.

legittimità costituzionale dell’art. 34 della legge regionale n. 3 del 1998;
quand’anche la Corte Costituzionale dichiarasse l’illegittimità di questa
disposizione, la naturale retroattività della pronuncia non basterebbe a
rendere illecito un comportamento che, a suo tempo, fu attuato in
esecuzione di una legge vigente.
Neppure potrebbe configurarsi a carico della Regione una responsabilità
da atto lecito, cioè un obbligo di indennizzo da recesso anticipato dal
contratto d’opera ai sensi dell’art. 2227, ultima ipotesi, cod. civ., estensibile
al rapporto d’opera intellettuale (Cass. 29 novembre 2006, n. 25238; Cass.
21 dicembre 2006, n. 27293). Tali disposizioni codicistiche non sono
applicabili al diverso istituto della interruzione ex lege di un rapporto
dirigenziale in corso con un soggetto pubblico, né potrebbero applicarsi,
senza violare il divieto di extrapetizione di cui all’art. 112 cod. proc. civ.,
norme concernenti un fatto lecito, quale l’esercizio del potere di recesso
ante tempus, di fronte ad una domanda di risarcimento da illecito
contrattuale (Corte Cost. n. 224 del 2010). Senza dire del

vulnus

all’interesse collettivo, che deriverebbe dalla somma della retribuzione
dovuta al dirigente nuovamente nominato e del ristoro economico dovuto a
quello automaticamente decaduto (Corte Cost. n. 228 del 2011).
Il secondo motivo è fondato.
Gli effetti pregiudizievoli di una sentenza errata

e

riformata in grado

superiore non possono essere posti a carico della parte vittoriosa, onde deve

E’ perciò manifestamente inammissibile per irrilevanza la questione di

t

essere indennizzato il lavoratore provvisoriamente ed

illegittimamente

privato della retribuzione.
Il provvedimento giudiziale ancora assoggettato ad impugnazione (ed (
anche la sentenza del giudice amministrativo sospeso), è, a differenza della
legge eventualmente impugnabile per incostituzionalità, caratterizzato da
una provvisorietà che dura fino alla definizione della controversia ossia al
momento in cui la decisione del giudice fa stato ad ogni effetto.
Non si tratta, in questo caso, di colpa, cioè di imputabilità
dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., bensì di rischio legato .
alle vicende processuali, che deve essere sopportato dalla parte
definitivamente soccombente, cioè da colui che ha agito oppure ha resistito ;
all’altrui pretesa ed è poi risultato soccombente; rischio che, ad esempio,
sta a fondamento dell’art. 91 cod. proc. civ. Si tratta, in altri termini, del
principio di retrodatazione degli effetti della sentenza fino al momento I
p
e
della domanda,i cioè, per quanto riguarda il caso di specie, ricostituzione p
del rapporto di lavoro per effetto della sentenza definitiva.
Il precedente costituito da Cass. 10 aprile 2004. n. 64505richiamato dalla
controricorrente, non è pertinente. Con esso si negò al direttore generale di
un’azienda sanitaria locale una somma corrispondente al compenso
asseritamente spettante per il periodo successivo ad una sentenza del
TAR,di annullamento dell’atto di nomina, poi riformata dal Consiglio di
Stato. In quel caso, però, la Regione, in esecuzione della sentenza del
giudice amministrativo di primo grado, aveva risolto e non più rinnovato il
contratto di lavoro successivamente cessato per volontà del lavoratore. Nel
caso in esame, invece, sospesa la sentenza del TAR, la Regione aveva
ripristinato il rapporto, che era proseguito in tal modo integro, salva la
breve soluzione di continuità (il caso della sospensiva da parte del
Consiglio di Stato è espressamente fatto salvo in Cass. n. 6450 del 2004).
Anche il terzo motivo è fondato.

6

i

..

Le parti non controvertono circa la sussistenza di quest’obbligo assunto
dalla Regione per contratto, né la sentenza impugnata ne afferma
l’adempimento cioè l’effettiva fissazione degli obiettivi aziendali da parte
della debitrice. Essa giustifica, tuttavia, il rigetto della domanda proposta
dal creditore con la mancata deduzione, da parte di questo, della misura

amministrazione nonché della probabilità del raggiungimento di essi.
Analoghe considerazioni svolge l’attuale controricorrente, che parla di
impossibilità di graduazione del raggiungimento degli obiettivi o di
“pesatura” degli stessi, e di eventualità di conseguimento soltanto parziale.
Queste considerazioni non possono essere condivise poiché in esse viene
confuso l’inadempimento dell’obbligazione, del quale la debitrice ha
mancato di provare la causa a lei non imputabile (art. 1218 cod. civ.), con
l’impossibilità per il creditore di provare il preciso ammontare del danno,
alla quale il giudice può sopperire attraverso la liquidazione equitativa (art.
1226 cod. civ.).
Anche questo errore della Corte d’appello comporta la cassazione della
sentenza, con rinvio ad altro giudice, indicato in dispositivo, che procederà
a detta liquidazione, oltre a provvedere in ordine alle spese di questo
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il primo motivo di ricorso;
Accoglie il secondo ed il terzo;
Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia, anche
per le spese, alla Corte d’appello di Ancona.
Così deciso in Roma il 22 aprile 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

degli obiettivi che verosimilmente sarebbero stati fissati dalla pubblica

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