Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15078 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 15078 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 4825-2008 proposto da:
INFOCAMERE – SOCIETA’ CONSORTILE DI INFORMATICA DELLE
CAMERE DI COMMERCIO ITALIANE

C.F.

in pormona del ingnlp rappruentantr

02313821007,
prn

tumpQrú,

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE N.
130, presso lo studio dell’avvocato ENRICO MARIA
2014
1525

TERENZIO, che la rappresenta e difende, giusta procura
speciale notarile in atti;
– ricorrente contro

ARTESE ROBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 02/07/2014

SAN DOMENICO 20, presso lo studio dell’avvocato FORTI
ROBERTO, che lo rappresenta e difende, giusta delega
in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 3799/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 30/04/2014 dal Consigliere

Dott. VITTORIO

NOBILE;
udito l’Avvocato TERENZIO ENRICO MARIA;
udito l’Avvocato PICCIOLI CARLO per delega FORTI
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di ROMA, depositata il 29/11/2007 R.G.N. 856/2005;

R.G. 4825/2008
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Me

Con ricorso depositato il 15-1-2002 Roberto Artese, premesso di essere
stato dipendente della Infocamere s.p.a. dal 19-3-1990 al 19-9-2000 (data del

proponendo due distinte domande: la prima di impugnazione del licenziamento
e la seconda di risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale per aver
subito dequalificazione e mobbing, nel periodo settembre 1998/luglio 1999.
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma con sentenza depositata il 22-2004 respingeva integralmente il ricorso e compensava le spese.
L’Artese proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con l’accoglimento delle domande.
La società appellata si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 29-11-2007, in
parziale accoglimento dell’appello, dichiarava illegittimo il licenziamento,
ordinava l’immediata reintegrazione nel posto di lavoro e condannava la
società al risarcimento del danno quantificato in misura pari alle retribuzioni
globali di fatto dal licenziamento alla reintegra, oltre al versamento dei
contributi assistenziali e previdenziali per lo stesso periodo, confermando nel
resto la pronuncia di primo grado e compensando anche le spese di appello.
In sintesi la Corte territoriale affermava che il licenziamento motivato
esclusivamente con la ritenuta arbitrarietà dell’assenza del dipendente, al quale
era stato negato il congedo parentale richiesto, senza risposta alcuna alla
immediata successiva richiesta da parte dell’ Artese di un “riferimento motivato
in ordine alla limitazione del diritto in questione”, si fondava su un
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suo licenziamento per giusta causa), conveniva in giudizio la detta società

”presupposto inesistente e contra legem, ossia la possibilità, per il datore di
lavoro, di interloquire sul diritto del dipendente di usufruire del congedo in

kg

argomento, conseguenza d’altronde espressamente sancita dall’art. 18 1. n.
53/2000 che prevede la nullità del licenziamento causato dalla domanda o dalla

Inoltre, “per ragioni di completezza”, la Corte di merito rilevava altresì la
infondatezza della contestazione della società (peraltro avanzata soltanto in
corso di giudizio) relativa alla mancata produzione da parte dell’Artese della
circolare INPS n. 109 del 2000, la quale comunque non poteva mettere in
discussione il diritto al congedo, ma solo le conseguenze, meramente
retributivo-previdenziali, eventualmente derivanti dall’omissione degli
adempimenti richiesti, in ogni caso per nulla previsti dalla legge per la
fruizione del congedo.
Peraltro, nella fattispecie, mentre l’Artese aveva tempestivamente
richiesto alla società una spiegazione del diniego oppostogli, la società neppure
aveva risposto a tale richiesta così violando i principi di buona fede e
correttezza.
La Corte territoriale aggiungeva, poi, che anche la censura di tardività
della contestazione era fondata, avendo la società atteso “fino all’8 settembre
per verificare se il ricorrente avesse deciso di coprire l’assenza per i periodi 1025 agosto e 28 agosto-1 settembre con certificati medici, visto che ben
conosceva, fin dal luglio precedente, la motivazione dell’assenza del
lavoratore”.
Infine la Corte di merito confermava il rigetto della domanda di
risarcimento per la prospettata dequalificazione e per l’asserita azione di
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fruizione del congedo parentale”.

mobbing nei suoi confronti, rilevando che non era emersa prova alcuna della
sussistenza di situazioni di vessazioni o soprusi nei confronti dell’Artese
mentre era risultato che il temporaneo demansionamento del medesimo, dovuto
alla ristrutturazione della azienda, non era espressione né di prevaricazione né

Per la cassazione di tale sentenza la Infocamere ha proposto ricorso con tre
motivi.
L’ Artese ha resistito con controricorso.
La Infocamere ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 3 e 18 della legge n. 53/2000, dell’art. 12 delle Preleggi, in relazione
alla circolare INPS n. 109 del 2000, dell’art. 2119 c.c., nonché vizio di
motivazione.
In particolare, premesso che il congedo parentale richiede la sussistenza di
alcuni presupposti, oltre che determinate modalità per il suo esercizio, fissate
nella citata circolare INPS, la società deduce che le domande presentate
dall’Artese il 24 e il 31-7-2000 (peraltro al solo datore di lavoro) erano prive di
qualsiasi allegazione, per cui correttamente essa società aveva ritenuto che
l’Artese non avesse alcun diritto a beneficiare dell’astensione facoltativa e che
lo stesso si fosse assentato arbitrariamente dal 10/8 al 1/9/2000, limitandosi
semplicemente a preavvertire la sua assenza per permesso parentale e
pretendendo di essere esonerato dal dare la dimostrazione di poter
effettivamente usufruire del diritto in questione.

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di comportamento illegittimo da parte della società.

La ricorrente deduce inoltre che l’Artese, a fronte del diniego dell’azienda,
si è limitato, con lettera del 4-8-2000, a chiedere “un riferimento motivato in
ordine alla limitazione del diritto in questione”, assentandosi dal lavoro senza
aver ricevuto alcun riscontro, per cui legittimamente gli era stata contestata

Peraltro, neppure nelle giustificazioni alla contestazione disciplinare
l’Artese aveva sentito l’esigenza di allegare la documentazione attestante i
requisiti di legge per la sussistenza del diritto alla astensione facoltativa, di
guisa che in definitiva, secondo la ricorrente, legittimamente era stato adottato
il licenziamento per l’assenza ingiustificata e non già a causa della fruizione
del congedo parentale, del quale non sussistevano i presupposti di legge.
Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 1175, 1176,
1375, 2104, 2086, 2697 c.c., nonché vizio di motivazione, lamenta che la Corte
di merito non ha tenuto conto della condotta complessiva dell’Artese, che in
precedenza non aveva esitato a porre in essere comportamenti ostruzionistici e
strumentali (peraltro già censurati in sede cautelare dal Pretore di Roma, con
ordinanza confermata in sede di reclamo), attraverso una serie di periodi di
malattia e di ferie (poi culminati nella richiesta di congedo parentale), il tutto
per evitare un legittimo trasferimento presso la Sede di Padova, adottato da
Infocamere nei confronti di 25 dipendenti.
Entrambi i motivi, risultano in parte inammissibili e in parte infondati.
In primo luogo, a parte la assoluta genericità dei quesiti di diritto
formulati e la evidente mancanza del necessario momento di sintesi relativo ai
vizi di motivazione denunciati, osserva il Collegio che la Corte di merito ha
ritenuto la illegittimità del licenziamento “in quanto fondato su un presupposto
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l’assenza ingiustificata per il citato periodo.

inesistente e contra legem, ossia la possibilità, per il datore di lavoro, di
interloquire sul diritto del dipendente di usufruire del congedo in argomento”
ed ha affermato espressamente di esaminare “gli altri profili di doglianza” “per
mere ragioni di completezza”.

risultano innanzitutto inammissibili (v. Cass. 22-11-2010 n. 23635, Cass. 2311-2005 n. 24591, Cass. 17-2-2004 n. 3002).
Per quanto riguarda, poi, in particolare la inosservanza delle prescrizioni
di cui alla citata circolare, la Corte di merito ha affermato che la società “senza
mai averlo prima comunicato all’Artese e senza essersene mai prima d’allora
doluta, solo in corso di giudizio ha contestato che il dipendente non avrebbe
prodotto, a suffragio della sua richiesta di congedo parentale, la
documentazione prevista” dalla citata circolare.
Tale affermazione concernente la sostanziale tardività della contestazione
da parte della società non è stata specificamente censurata da quest’ultima, la
quale si è limitata a ribadire la propria tesi in diritto e a contestare
l’accertamento di fatto operato dai giudici di appello, in merito alla violazione
dei principi di buona fede e correttezza, a suo dire avvenuta non da parte sua,
bensì dell’Artese.
Orbene, in diritto, osserva il Collegio che legittimamente la Corte
territoriale affermato che la circolare dell’INPS non può certamente mettere in
discussione il diritto al congedo, come previsto per legge, ma solo le
conseguenze (eventualmente negative anche per il lavoratore, sotto un profilo
meramente retributivo) derivanti dall’omissione degli adempimenti richiesti.

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Le censure, quindi, rivolte nei confronti di tali ulteriori argomentazioni

Peraltro è indubbio che neppure potrebbe ritenersi ammissibile in questa
sede di legittimità una censura concernente, in sostanza, la violazione di una
circolare (v. fra le altre Cass. 10-3-2004 n. 4942, Cass. 10-4-2006 n. 8296,
Cass. 19-6-2008 n. 16612).

rilevato che l’Artese, con la raccomandata del 4-8-2000 “ha mostrato di non
voler assumere un contegno di contrapposizione frontale o di chiusura
preconcetta”, rendendosi “disponibile al dialogo, semplicemente chiedendo di
essere messo al corrente delle ragioni del diniego”, di guisa che “il mancato
riscontro a tale missiva” ha rivelato, invece, in capo alla società, “un
atteggiamento di malcelata insofferenza nei confronti di un dipendente con il
quale era in corso un contenzioso, anche giudiziario e che, a torto o a ragione,
si riteneva ponesse in essere comportamenti ostruzionistici e dilatori per evitare
o ritardare il suo trasferimento a Padova, ma che, con riferimento al diritto al
congedo parentale che egli intendeva in quel momento esercitare, aveva pieno
diritto ai chiarimenti richiesti”.
La Corte di merito ha altresì precisato che “il non averlo fatto costituisce,
in capo alla convenuta, una evidente violazione dei propri doveri di buona fede
e correttezza nell’esecuzione del contratto, tanto più laddove si pretendeva il
rispetto di una normativa INPS che, oltreché articolata e di una certa
complessità, era stata da poco emanata (sostanzialmente un mese prima dei
fatti di causa) e ben poteva quindi non essere nota al lavoratore e rende, anche
per questo verso, del tutto pretestuosa e arbitraria la motivazione del
licenziamento del medesimo”.

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Per quanto riguarda, poi, l’accertamento di fatto la Corte territoriale ha

Tale accertamento di fatto, conforme a diritto e congruamente motivato,
anche con riguardo al comportamento pregresso, controverso, del lavoratore,
resiste alle censure della società ricorrente, rivolte, in sostanza, a sollecitare
una revisione del “ragionamento decisorio” e un riesame del merito,

3-2006 n. 4766).
Con il terzo motivo, poi, la società censura l’impugnata sentenza nella
parte in cui ha ritenuto la tardività della contestazione (argomento, anch’esso,
svolto dalla Corte territoriale “per mere ragioni di completezza”).
In particolare la ricorrente ribadisce l’assunto secondo cui in sostanza
essa, alla luce del comportamento pregresso del lavoratore, “ha dovuto
attendere l’invio dell’ultimo certificato inviato (datato 4 settembre) per poter
valutare, in base alle certificazioni mediche in suo possesso, se dal 10 agosto al
1 settembre 2000, fosse intervenuta una continuità dello stato di malattia”.
Sennonché tale assunto è stato attentamente esaminato dalla Corte
territoriale, la quale ha ritenuto non plausibile la spiegazione della società
“visto che ben conosceva, fin dal luglio precedente, la motivazione
dell’assenza del lavoratore, quale dal medesimo già apertis verbis dichiarata”.
Anche tale motivo si risolve, quindi, nella riproposizione della propria
lettura delle risultanze istruttorie e nella richiesta di revisione del
“ragionamento decisorio”, entrambe inammissibili.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della
soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore dell’Artese.
P.Q.M.

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inammissibili in questa sede (v., fra le altre, Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6-

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare all’Artese le
spese liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 4.000,00 per compensi oltre
accessori di legge.
Roma 30 aprile 2014

PRESIWz (m~…4-r< Il Funzionario Dott.ssa ... IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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