Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15075 del 21/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 21/07/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 21/07/2016), n.15075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16944-2012 proposto da:

C.G., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ETTORE SBARRA, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A. C.P. 00471850016, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ENZO

MORRICO, FRANCO RAIMONDO ROCCIA, ROBERTO ROMEI, che la rappresentano

e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3162/2011 della CORTE D’APPELLO di PARI,

depositata il 31/05/2011 r.g.n. 9080/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato ROMEI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per linammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 31.5.11 la Corte d’appello di Bari rigettava il gravame di C.G. contro la sentenza 22.6.09 con cui il Tribunale della stessa sede ne aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni da demansionamento proposta nei confronti di Telecom Italia S.p.A. Statuivano i giudici di merito che all’esito dell’istruttoria di causa non era emersa la prova della fattispecie determinativa di danno, ossia del lamentato demansionamento.

Per la cassazione della sentenza ricorre C.G. affidandosi a cinque motivi.

Telecom Italia S.p.A. resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 23, lett. b) CCNL 28.6.2000 e dell’accordo di armonizzazione Telecom del 19.7.2000, oltre che vizio di motivazione, perchè la sentenza impugnata, pur senza disconoscere che al ricorrente fosse stato attribuito l’inquadramento professionale di capo ufficio, non ha però affrontato la questione della coerenza di tale profilo professionale con le mansioni espletate sia prima che dopo i periodi dei dedotti demansionamenti: in particolare, la Corte territoriale ha asserito che C.G. svolgeva mansioni di assistente tecnico, trascurando – però – che tale non era l’inquadramento spettantegli, essendo questa figura professionale inferiore al profilo di capo ufficio, che richiede l’espletamento di mansioni non tecniche, bensì impiegatizie e di coordinamento.

Il secondo motivo prospetta violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e delle tabelle di conversione del CCNL 19.7.2000, dell’art. 14 CCNL 9.9.96 e del CCNL 1992, nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale valutato i compiti assegnati al ricorrente prendendo come riferimento la figura professionale degli assistenti REM (5 livello), mentre tale non era l’inquadramento di C.G. (capo ufficio, 6 livello).

Il terzo motivo deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e vizio di motivazione nella parte in cui la gravata pronuncia ha ritenuto meramente marginali le inferiori mansioni di qualifica operaia assegnate al ricorrente, in ciò contraddicendo le stesse difese della Telecom.

Doglianza sostanzialmente analoga viene svolta nel quarto motivo sotto forma di denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 27 CCNL 28.6.2000, dell’art. 15 CCNL del 1992 e di vizio di motivazione.

Con il quinto motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione dell’art. 2103 c.c. là dove la sentenza impugnata afferma che il fatto che sino al 1999-2000 il ricorrente fosse stato assegnato al settore Telecom che si occupava di gestione immobiliare e patrimoniale non significasse di per sè che vi espletasse attività prettamente amministrativa, affermazione di per sè manifestamente illogica e comunque contraddetta dalle risultanze testimoniali, in esse comprese anche le deposizioni di due testi ( B. e F.) indicati proprio dalla Telecom.

2- Preliminarmente deve darsi atto della tempestività del ricorso in virtù della sentenza n. 3/15 della Corte cost., che ha dichiarato non fondata, nei termini indicati in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 133 c.p.c., commi 1 e 2, e art. 327 c.p.c., comma 1, nel testo anteriore alla modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17.

Nella motivazione di detta sentenza la Corte cost. ha ritenuto applicabile il rimedio della rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. allorquando la sentenza impugnata, come avvenuto nel caso di specie, rechi in calce due diverse date, una di deposito in cancelleria dell’originale (e non di una mera minuta) per la pubblicazione (quella del 31.5.11) e un’altra di pubblicazione in data successiva (quella del 6.7.2011).

Come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr. Cass. n. 641/16; Cass. n. 10675/15), in ipotesi di doppia data – di deposito e di pubblicazione apposta dal cancelliere sulla sentenza, si intende rimessa in termini e non decaduta la parte che abbia proposto l’impugnazione nel termine lungo decorrente non dalla data indicata come di deposito, ma dalla successiva data indicata come di pubblicazione, qualora emerga dagli atti, anche per implicito (come deve ritenersi nel caso di specie), che dall’attestazione del deposito non sia derivata la conoscenza della sentenza.

3 – Il ricorso è improcedibile nella parte riferita ai summenzionati CCNL perchè denuncia violazioni di clausole di contratto collettivo nazionale senza – però produrne il testo integrale.

Invero, per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. n. 4350/15; Cass. n. 2143/2011; Cass. 15.10.10 n. 21358; Cass. S.U. 23.9.10 n. 20075; Cass. 2 13.5.10 n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. Nè a tal fine basta la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali atti siano stati eventualmente depositati (peraltro, come detto, nella produzione del ricorrente vi sono soltanto articoli estratti dei citati CCNL), essendo altresì necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto processuale (v., ad es., Cass. n. 27228/14).

L’improcedibilità del ricorso sotto tale profilo si riverbera anche sulle denunciate violazioni dell’art. 2103 c.c., perchè non consente di verificare la correttezza dell’argomentazione trifasica che presiede all’accertamento di ogni inquadramento contrattuale.

Il ricorso è, poi, inammissibile là dove denuncia una violazione dell’accordo di armonizzazione Telecom del 19.7.2000, poichè, trattandosi di accordo di carattere pur sempre aziendale anzichè nazionale di categoria, la sua violazione non è deducibile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Infine, quanto ai vizi di motivazione, il ricorso va disatteso perchè, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, in realtà sostanzialmente suggerisce esclusivamente una rivisitazione del materiale istruttorio affinchè se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata, che ha escluso – a monte – il denunciato demansionamento in base alle risultanze testimoniali analiticamente esaminate nel loro contenuto e nella loro significatività.

In altre parole, il ricorso si dilunga nell’opporre al motivato apprezzamento della Corte territoriale proprie difformi valutazioni delle prove, ma tale modus operandi non è idoneo a segnalare un error in iudicando nè un vizio ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134.

4- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.900,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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