Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15075 del 19/06/2017

Cassazione civile, sez. lav., 19/06/2017, (ud. 30/03/2017, dep.19/06/2017),  n. 15075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17179/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI, 27, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

TRIFIRO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

C.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1089/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/12/2010, R. G. N. 911/2007.

Fatto

RILEVATO

che, con la sentenza n. 1089/2010, la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa il 29.5.2006 dal Tribunale della stessa città con la quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto, intercorso tra Poste Italiane spa e C.S., dall’1.7.2005 al 20.9.2005, per “ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito presso il Polo Corrispondenza Lombardia, assente nel periodo dal 20.6.2005 al 20.9.2005”, con inquadramento nel livello 6^, mansioni di smistamento e trasporto e luogo di lavoro sito nella città di Milano; con la medesima pronuncia era stata disposta la riammissione in servizio ed il risarcimento dei danni;

che avverso tale sentenza Poste Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, chiedendo comunque la applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, medio tempore sopravvenuta;

che il C. non ha svolto attività difensiva;

che il P.G. non ha formulato richieste;

che sono state depositate memorie nell’interesse di Poste Italiane spa.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, si censura: 1) la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la gravata sentenza affermato, da un lato, che le esigenze sostitutive che, per loro natura presuppongono un evento oggettivo e determinato, cioè l’assenza del lavoratore, sono intrinsecamente temporanee e, dall’altro, che ogni giorno Poste Italiane spa registrava un rilevante numero di assenze dei dipendenti, come è fisiologico in una azienda di grandi dimensioni, con la conseguenza che la società, adducendo il gran numero di assenze avrebbe potuto in qualsiasi momento assumere a termine, senza consentire il controllo dell’esistenza di una esigenza temporanea; 2) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1(art. 360 c.p.c., n. 3) perchè, a fronte della previsione legislativa di cui al citato articolo, non era possibile -come invece aveva ritenuto la Corte territoriale – che si potesse distinguere nell’ambito delle esigenze sostitutive tra “esigenze temporanee” che avrebbero legittimato l’assunzione a termine ed “esigenze durevoli e continuative” che, invece, non l’avrebbero legittimata; 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per non avere i giudici di seconde cure ritenuto che la società non avesse dimostrato il nesso causale tra le ragioni sostitutive indicate nel contratto e la singola assunzione del sig. C.; 4) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, nonchè degli artt. 1418, 1419 e 1457 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la gravata sentenza erroneamente valutato che l’illegittimità della clausola appositiva del termine non si estendesse all’intero contratto, determinandone la conversione e non invece l’intera nullità; 5) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2697, 2094 e 2099 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) perchè le retribuzioni, ai fini della quantificazione del risarcimento dei danni, avrebbero potuto decorrere solo dal momento dell’effettiva ripresa de servizio e non dalla messa in mora; la ricorrente chiede, poi, in caso di rigetto delle suindicate censure, l’applicazione della sopravvenuta disciplina in tema di risarcimento introdotta dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che i primi tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati: invero, come affermato da questa Corte (cfr., tra le altre Cass. 26.1.2010 n. 1577; Cass. 26.1.2010 n. 1576), in tema di assunzione a termine di lavoratori per esigenze sostitutive, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 214/2009, l’onere di specificazione delle ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa di apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa; in un quadro caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico, che si riflette poi sulla relatività della verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto, per la legittimità dell’apposizione del termine è sufficiente, quindi, l’indicazione di elementi ulteriori che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente (cfr. Cass. 4267/2011; Cass. n. 27052/2011; Cass. 8966/2012; Cass. n. 13239/2012; Cass. n. 1928/2014);

che, nel caso in esame, con apprezzamento in fatto condivisibile, è stata ritenuta dai giudici di seconde cure l’assenza di specificità della clausola apposta al contratto di lavoro a termine stipulato tra le parti odierne in quanto detta clausola non distingueva, circa il numero totale delle assenze, tra i settori di smistamento e recapito e gli altri servizi del CMP di (OMISSIS), non erano precisati i motivi delle assenze e non risultava alcuna coincidenza tra il periodo di lavoro del sig. C. e i giorni di assenza che avrebbero potuto essersi verificati nel suddetto periodo;

che la contestazione della ricorrente, circa la ritenuta impossibilità della prova testimoniale articolata, va, altresì, disattesa in quanto la valutazione della Corte distrettuale risulta giustificata da congrua e logica motivazione in considerazione del fatto che è stato ritenuto non possibile controllare in concreto l’effettività delle esigenze sostitutive sulla base delle allegazioni della società e dei capitoli formulati in primo grado;

che il quarto motivo è destituito di fondamento alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. tra le altre Cass. 27.2.2015 n. 3994; Cass. n. 17619/2014), da ribadirsi anche in questa sede, secondo cui il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria del sistema per cui, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza di dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità del contratto e di etero-integrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dello stesso art. 1 citato nel quadro della direttiva comunitaria 1999/70/CE, alla illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che è, invece, fondato l’ultimo motivo limitatamente alla richiesta di applicazione dello ius supervemens atteso che, come da ultimo chiarito da Cass. Sez. Un. 27.10.2016 n. 21691, la censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive, e quindi applicabili al rapporto dedotto, in considerazione che non si richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico è che sul capo della sentenza, con il quale erano state regolate le conseguenze economiche, non si era formato alcun giudicato;

che, pertanto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte intimata ex art. 32 cit., per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr. per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr tra le altre Cass. n. 3062/2016).

PQM

 

La Corte accoglie l’ultimo motivo nei sensi di cui in motivazione; rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2017

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