Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15075 del 07/07/2011

Cassazione civile sez. VI, 07/07/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 07/07/2011), n.15075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 13313/2010 proposto da:

Z.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati LANA Edoardo, ZAMBELLI FABIO, giusta procura alle liti a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO FACCIOLI COSTRUZIONI SRL in persona del Curatore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VIGLIENA 2, presso lo studio

dell’avvocato FALCONI AMORELLI Alessandro, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale per atto notaio Salvatore Lorenzo di

Verona, in data 21.12.2010, n. rep. 17683, che viene allegata in

atti;

– resistente –

avverso il decreto n. 21/2010 del TRIBUNALE di VERONA del 30.3.2010,

depositato il 14/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RENATO RORDORF;

udito per il resistente l’Avvocato Alessandro Falconi Amorelli che ha

chiesto l’inammissibilità del ricorso e aderisce alla relazione;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS che ha concluso per l’inammissibilità o per la manifesta

infondatezza del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il relatore designato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato una relazione del seguente tenore:

“1. Il Tribunale di Verona, con decreto depositato il 14 aprile 2010, ha rigettato l’opposizione proposta dalle sigg.re Z. F., D.R. e F.S. contro il decreto col quale il giudice delegato, nel dichiarare esecutivo lo stato passivo del fallimento della società Faccioli Costruzioni s.r.l., aveva negato al credito vantato dalle ricorrenti il richiesto carattere privilegiato.

Ha infatti ritenuto il tribunale che non fosse opponibile alla massa l’ipoteca giudiziale iscritta dalle medesime ricorrenti sui beni immobili della società fallita circa due mesi prima della dichiarazione di fallimento, non risultando provato che le creditrici fossero a quel tempo inconsapevoli dello stato d’insolvenza di detta società.

Per la cassazione di tale provvedimento ha proposto ricorso la sola sig.ra Z., che si è doluta di vizi di motivazione.

La curatela del fallimento intimato non ha svolto difese in questa sede.

2. Il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., poichè ne è prospettatile la manifesta infondatezza, se non addirittura:

l’inammissibilità.

La ricorrente, come già accennato, censura l’impugnato decreto unicamente per vizi di motivazione. Ella sostiene di aver fornito indizi sufficienti a dimostrare la propria incolpevole ignoranza dello stato d’insolvenza della società debitrice, a riprova della quale adduce la circostanza che, avendo la stessa odierna ricorrente a suo tempo ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della società poi fallita, il giudice di quel procedimento aveva rigettato l’istanza volta alla provvisoria esecuzione del decreto in considerazione della sufficienza della garanzia offerta dal patrimonio immobiliare dell’ingiunta. Nega poi la ricorrente che l’aver chiesto la provvisoria esecuzione di detto decreto sia indicativo della consapevolezza da pare dell’istante della decozione della debitrice; ed aggiunge che neppure il mancato pagamento ad opera di quest’ultima della prima rata dell’importo dovuto in forza di una precedente transazione, raggiunta con le medesime creditrici, è significativa di una conclamata insolvenza, non potendo questa esser confusa con il mero inadempimento.

Siffatte argomentazioni non paiono tuttavia in grado di innervare adeguatamente un ricorso per cassazione fondato su pretesi vizi di motivazione del provvedimento impugnato.

Non lo è la prima delle dedotte circostanze, che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non è stata ignorata dal tribunale, il quale ha però persuasivamente osservato che l’avere il giudice dell’opposizione negato la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo è significativo solo del convincimento che quel giudice si è potuto fare, in base ai documenti offerti al suo esame, ma non è certo da solo sufficiente a dimostrare quel che la parte (la quale la provvisoria esecuzione l’aveva invece chiesta) sapeva in ordine alle effettive condizioni economico-patrimoniali della debitrice.

Osservazione, questa, cui la ricorrente non replica.

Più in generale, d’altronde, va ricordato come l’impugnato provvedimento non soltanto evidenzi circostanze dalle quali si potrebbe ragionevolmente dedurre che la creditrice, nell’iscrivere le contestata ipoteca, era consapevole dell’insolvenza della società debitrice, ma sottolinei anche che, trattandosi di ipoteca iscritta circa due mesi prima del fallimento, è sulla ricorrente che grava l’onere di provare la propria inscientia decoctionis: prova sicuramente non fornita. Le obiezioni che nel ricorso vengono mosse agli argomenti spesi dal tribunale per evidenziare la scientia decoctionis – argomenti afferenti alla richiesta di provvisoria esecuzione del decreto ed al mancato pagamento già della prima rata di quanto pacificamente dovuto dalla debitrice in base ad una precedente transazione – potrebbero al più valere ad insinuare dubbi in ordine alla sufficienza di dette circostanze a fornire la prova positiva del fatto che la creditrice era consapevole dell’insolvenza della debitrice, ma non bastano di certo ad offrire la prova negativa della mancata consapevolezza.

La valutazione circa, la concludenza degli elementi vagliati dal giudice veronese, d’altronde, si risolve in un tipico giudizio di merito, ed il diverso convincimento manifestato al riguardo dalla ricorrente non è sufficiente ad evidenziare vizi logici nella motivazione da cui quel giudizio è sorretto, risolvendosi viceversa in una non ammissibile pretesa di ottenere dal giudice di legittimità un riesame del merito che in questa sede non è consentito”.

La corte condivide tali considerazioni, per contrastare le quali nessuna memoria è stata depositata.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2011

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