Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15075 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 15075 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 3675-2008 proposto da:
BELLONE TERESA C.F. PCNLEI68D25B602P, PICONE ELIO C.F.
BLLTRS48BB25B429Z, nella qualità di eredi di PICONE
CALOGERO, già elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
MANFREDI 11, presso lo studio dell’avvocato VALENTI
GIULIO, rappresentati e difesi dall’avvocato AVANZATO
2014
1145

VINCENZO, giusta delega in atti e da ultimo
domiciliati presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE;
– ricorrenti contro

Data pubblicazione: 02/07/2014

I.N.P.S.

SOCIALE,

C.F.

ISTITUTO

NAZIONALE

80078750587,

in

DELLA

PREVIDENZA

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.

CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati
MARITATO LELIO, CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO,
giusta delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

PICONE ANTONIETTA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1418/2006 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 04/01/2007 r.g.n. 1585/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/03/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato MATANO GIUSEPPE per delega MARITATO
LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per: in via principale inammissibilità in subordine
rigetto.

05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

Udienza del 28 marzo 2014 — Aula A
n. 11 del ruolo RG n. 3675/08
Presidente: Lamorgese – Relatore; Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 4 gennaio 2007), in accoglimento
dell’appello dell’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento n, 4034/01 e in riforma di
tale sentenza, decidendo nel contraddittorio con Elio Picone, Antonietta Picone e Teresa Bellone,
quali eredi di Calogero Picone, respinge l’opposizione da quest’ultimo proposta avverso il decreto
ingiuntivo emesso nei suoi confronti, su istanza dell’ente previdenziale, per il pagamento della
complessiva somma di lire 420.245.079, a titolo di contributi omessi e sanzioni per il periodo
settembre 1987-luglio 1994 nonché per sgravi indebitamente conguagliati per lavoratori denunziati
con orari di lavoro inferiori a quelli effettuati e retribuiti in misura inferiore a quella prevista dal d.l.
n. 338 del 1989, convertito dalla legge n. 389 del 1989.
La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il decreto ingiuntivo opposto trae origine dalla denunzia di alcuni lavoratori, Carmelo
Bermici e Croce Bellone, all’Ispettorato del lavoro, nella quali gli interessati hanno riferito di avere
svolto lavoro straordinario non retribuito e di aver percepito una retribuzione inferiore a quella
indicata in busta paga, giacché erano tenuti, dopo la negoziazione degli assegni mensilmente emessi
dal datore di lavoro, alla restituzione di una parte del relativo importo (lire 400.000);
b) alla luce delle suddette dichiarazioni effettuate all’Ispettorato del lavoro, da considerare
pienamente attendibili — perché rese spontaneamente nell’immediatezza dei fatti e successivamente
confermate, con dovizia di particolari, nella audizione disposta da questa Corte nel presente
giudizio — appare censurabile l’operato del primo Giudice, la cui decisione risulta fondata
essenzialmente sulla sentenza del Pretore di Canicattì che, senza tenere conto delle suddette
dichiarazioni eventualmente anche per escluderne l’attendibilità, ha respinto — per mancanza di
prove idonee — il ricorso dei suddetti lavoratori volto ad ottenere il pagamento delle differenze
retributive e dello straordinario svolto;
c) comunque, tale sentenza pretorile — nella quale il giudice ha, peraltro, ritenuto che i
lavoratori avessero svolto il lavoro straordinario, anche se non era stata fornita la prova della sua
esatta misura — sicuramente non produce effetti nei confronti dell’INPS — rimasto estraneo a quel
giudizio — e, comunque, è stata parzialmente riformata in appello e, inoltre, gli interessati
riferiscono che su di essa pende ricorso per cassazione (che peraltro non risulta essere attualmente
inserito nella banca-dati dei ricorsi pendenti della Corte di cassazione n.d.r.);
d) dalle predette considerazioni discende che la pretesa contributiva azionata dall’INPS con il
procedimento monitorio e da ritenere fondata, con conseguente rigetto dell’opposizione proposta
avverso il decreto ingiuntivo in oggetto.
2.— Per la cassazione della suddetta sentenza hanno proposto ricorso, per tre motivi, Elio
Picone e Teresa Bellone e l’INPS ha resistito con controricorso.
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Alla suddetta ordinanza si è uniformato il legale dei ricorrenti, notificando ritualmente atto di
integrazione del contraddittorio ad Antonietta Picone, la quale però è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I Sintesi dei motivi di ricorso

1.— Il ricorso è articolato in tre motivi, formulati in conformità con le prescrizioni di cui
all’art. art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis e riguardanti tutti la prospettata
irritualità della testimonianza resa dai lavoratori Carmelo Bennici e Croce Bellone, disposta
d’ufficio dalla Corte d’appello e sulla quale la Corte stessa ha fondato la propria decisione. In
particolare:
1.1.— con il primo motivo si sostiene — sotto il duplice profilo della violazione o falsa
applicazione di norme di diritto di cui all’art.,360, n. 3, cod. proc. civ. e della nullità della sentenza
e del procedimento ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ. — che la Corte palermitana, con il suddetto
provvedimento, avrebbe violato l’art. 246 cod. proc. civ., data la dedotta incapacità a testimoniare
dei suddetti lavoratori nel presente giudizio riguardante la sussistenza dei presupposti per il
pagamento dei contributi richiesti dall’ente previdenziale e la decadenza dal beneficio degli sgravi;
1.2.— con il secondo motivo si sostiene che la Corte territoriale, disponendo, con ordinanza del
28 aprile 2005, l’ammissione d’ufficio della prova testimoniale in contestazione: a) avrebbe violato
gli artt. 437, 134 cod. proc. civ. nonché l’art. 111, primo comma Cost. (ex art. 360, n. 3, cod. proc.
civ.); b) avrebbe giustificato tale scelta con motivazione viziata (ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.).
In particolare si contesta che la Corte palermitana non abbia esaminato e motivato sulle
eccezioni degli attuali ricorrenti di revoca dell’anzidetta ordinanza per la duplice ragione che: 1)
all’INPS era precluso addurre prove, essendosi costituito tardivamente nel giudizio di primo grado,
e comunque non aveva richiesto le suddette testimonianze; 2) in ogni caso, i testi avevano un
proprio interesse alla controversia che non consentiva loro di testimoniare.
Si aggiunge che il Giudice di appello, senza alcuna motivazione, ha assunto tali testimonianze
esercitando i propri poteri istruttori previsti dall’art. 437 cod. proc. civ., ma sulla base di documenti
non acquisiti al processo in modo rituale, data la suddetta tardiva costituzione dell’INPS in primo
grado;
2

La discussione della causa è stata originariamente fissata per l’udienza pubblica del 18 giugno
2013, nella quale, con ordinanza n. 17525 del 2013, preso atto che il ricorso per cassazione risultava
essere stato proposto soltanto da alcuni degli eredi di Calogero Picone e rilevato che, a cagione
della morte della parte nel corso del giudizio, la legittimazione processuale (attiva o passiva) è stata
trasmessa a tutti gli eredi, nella predetta qualità, e tutti rivestono, per l’intera durata del
procedimento, la posizione di litisconsorti necessari per ragioni processuali. indipendentemente,
cioè, dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (ex multis, Cass. 28 novembre 2003, n.
18264 e Cass. 17 settembre 2008, n. 23765), è stata ordinata l’integrazione del contraddittorio nei
confronti di Antonietta Picone, con conseguente rinvio della causa a nuovo ruolo, per
l’effettuazione di tale adempimento entro il termine di giorni sessanta dalla comunicazione del
suindicato provvedimento.

1.3.— con il terzo motivo si prospetta — sotto il profilo della violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ. ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ. — la nullità della sentenza e del procedimento per omessa
pronuncia sulla eccezione di incapacità a testimoniare, di cui si è detto sopra.

II

Esame delle censure

3.- Dal punto di vista della formulazione, non tutte le censure risultano prospettate con il
dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il
ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti
processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. e all’art.
369, n. 4, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre
2011, n. 22726).
4.- Quanto al merito delle restanti doglianze va ricordato che, in base a consolidati e condivisi
orientamenti di questa Corte:
a) è carattere tipico del rito del lavoro il contemperamento del principio dispositivo con le
esigenze della ricerca della verità materiale, di guisa che, allorquando le risultanze di causa offrano
significativi dati di indagine, il giudice ove reputi insufficienti le prove già acquisite non può
limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della
prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale
ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente
dal verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti (vedi, per tutte: Cass. 24 ottobre
2007, n. 22305; Cass. 29 agosto 2003, n. 12666);
b) nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui
all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, secondo
comma, Cost. e in coerenza con l’art. 6 CEDU, comporta l’attribuzione di una maggiore rilevanza
allo scopo del processo – costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito – che
non solo impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte
o, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo, tale da ostacolare il raggiungimento del
suddetto scopo, ma conduce a considerare del tutto residuale l’ipotesi di “assoluta mancanza di
prove” e si traduce in una maggiore pregnanza del dovere del giudice di pronunciare nel merito
della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito con una valutazione non
limitata all’esame isolato dei singoli elementi, ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed
organica (Cass. 1 agosto 2013, n. 18410; Cass. 25 settembre 2013, n. 21909);
c) nel rito del lavoro, il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti non osta
all’ammissione d’ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a vincere i dubbi residuati dalle
risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio di primo grado. Ne consegue che,
essendo la “prova nuova” disposta d’ufficio funzionale al solo indispensabile approfondimento
degli elementi già obbiettivamente presenti nel processo, non si pone una questione di preclusione o
decadenza processale a carico della parte (vedi, fra le altre: Cass. 5 novembre 2012, n. 18924 e arg.
ex Cass. 6 dicembre 2013, n. 28021);
3

2.- I tre motivi di ricorso — da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione —
non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

e) la disciplina di cui all’art. 320 cod. proc. civ. non comporta alcuna deroga al principio della
revocabilità di tutte le ordinanze – salvo quelle espressamente dichiarate non revocabili – da parte
del giudice che le ha emesse; ne consegue che l’ordinanza istruttoria relativa all’ammissione delle
prove non rientra tra le ordinanze non revocabili ai sensi del terzo comma dell’art. 177 cod. proc.
civ. (Cass. 10 dicembre 2009, n. 25825);
f) per i crediti derivanti da omesso versamento dei contributi previdenziali e\o assistenziali,
costituiscono prove idonee ai fini della emissione del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 635,
comma secondo cod. proc. civ., sia l’attestazione del direttore della sede provinciale dell’ente
creditore (in particolare: INPS o INAIL) sia i verbali di accertamento redatti dall’Ispettorato del
lavoro e i verbali di accertamento degli ispettori dello stesso Ente creditore, che possono fornire
utili elementi di valutazione anche nell’eventuale, successivo, giudizio di opposizione pur non
essendo forniti di completa efficacia probatoria, in ordine alle circostanze di fatto che essi segnalino
di aver accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese da terzi (tra le tante: Cass. 19 aprile
2010, n. 9251; Cass. 6 settembre 2012, n. 14965; Cass. 3 luglio 2004, n. 12227; Cass. 27 ottobre
2004, n. 20839; Cass. 6 agosto 2003, n. 11900; Cass. 9 marzo 2001, n. 3527; Cass. 21 aprile 1995,
n. 4512);
g) peraltro i verbali di contravvenzione, redatti dall’Ispettorato del lavoro in tema di omesso
versamento dei contributi per le assicurazioni sociali obbligatorie e i verbali di accertamento degli
ispettori dello stesso Ente creditore possono anche essere considerati dal giudice prova sufficiente
delle circostanze di fatto da essi risultanti, sia nell’ipotesi di assoluta carenza di elementi probatori
contrari – considerata la sussistenza in capo al datore di lavoro, obbligato ai versamenti contributivi,
del relativo onere probatorio – sia qualora il giudice di merito, nel valutare nel suo complesso il
materiale probatorio a sua disposizione, pervenga, con adeguata e rigorosa motivazione di supporto,
al convincimento della effettiva sussistenza degli illeciti denunciati (vedi, per tutte: Cass. 6
settembre 1995, n. 9384; Cass. 27 settembre 1996, n. 8551; Cass. 5 ottobre 2000, n. 13243);
h) nel giudizio tra l’ente previdenziale ed il datore di lavoro, avente ad oggetto il pagamento
di contributi previdenziali che si assumono evasi, non è incapace a testimoniare il lavoratore i cui
contributi non siano stati versati, in assenza di un interesse giuridico attuale e concreto che legittimi
il lavoratore-teste ad intervenire in giudizio, non essendo configurabile l’incapacità a testimoniare
che l’art. 246 cod. proc. civ. (come affermato dalla Corte Cost, nelle sentenze n. 248 del 1974, n. 62
del 1995 e nell’ordinanza n. 143 del 2009) ricollega non solo alla posizione di parte formale o
sostanziale del giudizio, ma anche alla titolarità di situazione giuridica dipendente da quella dedotta
in giudizio da altro soggetto (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3051).
5.- Dai suddetti principi si evince che, nella specie — a parte la mancata idonea dimostrazione
della avvenuta tempestiva proposizione dell’eccezione delle prospettate nullità relative alla
4

d) le ordinanze che provvedono alla istruzione della causa non vincolano la decisione finale
del giudice, il quale (salvo particolari ipotesi legislative) può liberamente modificarle o revocarle
con la successiva sentenza, anche implicitamente, potendo, in particolare, il giudice, nonostante il
verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti, ammettere di ufficio prove dirette a
vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio (Cass.
6 dicembre 2013, n. 28021; Cass. 24 gennaio 2007, n. 1596; Cass. 18 aprile 2006, n. 8932)

’ 1) la Corte d’appello ha adeguatamente motivato in ordine alla scelta di sentire d’ufficio i
lavoratori a conferma delle dichiarazioni rese davanti all’Ispettore del lavoro e poiché in atti vi era
una semiplena probatio, tale soluzione risulta conforme ai principi affermati nella giurisprudenza di
legittimità in ordine alla applicazione dell’art. 437 cod. proc. civ., oltre che sul principio di
acquisizione probatoria;
2) comunque l’ordinanza istruttoria ammissiva della prova testimoniale de qua, è un
provvedimento interinale rispetto alla successiva sentenza, nella quale, così come può essere
modificata o revocata, anche implicitamente, la anzidetta ordinanza, possono essere, altrettanto
implicitamente, respinte le eccezioni delle parti riguardanti l’ordinanza stessa.
Neppure va omesso di sottolineare che . la Corte d’appello ha posto l’accento sul fatto che il
primo Giudice aveva basato la propria decisione sulla sentenza del Pretore di Canicattì —
improduttiva di effetti nei confronti dell’INPS, rimasto estraneo al relativo giudizio — ignorando del
tutto le dichiarazioni rese all’Ispettorato dai lavoratori in sede di denuncia delle scorrettezze del
Oatore di lavoro e neppure considerando che, nella anzidetta sentenza pretorile era stata accertato lo
volgimento del lavoro straordinario da parte degli interessati, pur non essendosene quantificata la
• ,misura. E tale affermazione della Corte palermitana non è contestata dagli attuali ricorrenti.
Ne risulta che la sentenza impugnata non è meritevole di alcuna delle censure formulate nel
ricorso, in quanto la decisione con essa adottata dalla Corte palermitana rappresenta una corretta
applicazione dei riportati indirizzi giurisprudenziali di questa Corte, effettuata sulla base di congrue
valutazioni delle risultanze probatorie adeguatamente motivate, attraverso l’adozione a sostegno
della decisione di un iter logico—argomentativo chiaramente individuabile e che non presenta alcun
profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione
III

Conclusioni

6.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente
• giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 4000,00
(quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 28 marzo 2014.

ammissione e assunzione della prova testimoniale in contestazione (rimanendo altrimenti sanato
qualunque vizio, ove l’atto istruttorio sia stato compiuto senza opposizione della parte che vi ha
assistito, vedi per tutte: Cass. 12 agosto 2011, n. 17272) — comunque non è censurabile, in questa
sede, il mancato esame o la mancata motivazione su una eccezione riguardante l’ordinanza di
ammissione di una prova (nella specie, officiosa), in quanto:

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