Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15074 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. III, 31/05/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 31/05/2021), n.15074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2341/2019 R.G. proposto da:

P.A., rappresentato e difeso dall’Avv. ROSITA DI LORENZO,

e dall’Avv. CRISTINA PROIETTI, elettivamente domiciliato in Roma

presso lo Studio di quest’ultima, via Pisino 155;

– ricorrente –

contro

B.U.C., rappresentato e difeso dall’Avv. LUIGI DI

BONIFACIO, domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1135-2018 della Corte d’Appello di L’Aquila,

resa pubblica il 13 giugno 2018

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 gennaio

2021 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

 

Fatto

RILEVATO

che:

P.A. ricorre per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di L’Aquila, n. 1135-2018, depositata il 13 giugno 2018, deducendo due vizi di legittimità.

Resiste con controricorso B.U.C..

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., n. 1 e non sono state depositate conclusioni scritte da parte del PM.

P.A. citava in giudizio B.U.C., perchè venisse condannato al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 20.000,00 o nella somma risultante nel corso del procedimento, derivanti dal non aver depositato le comparse conclusionali e le repliche, oltre al fascicolo di parte, nel non avergli comunicato la sentenza n. 823/2003 del Tribunale di Avezzano che, a conclusione del procedimento che A.A. aveva intrapreso nei suoi confronti, asserendo l’avvenuto ampliamento della servitù di passaggio costituita a seguito della sentenza n. 693/1994 e il taglio di 25 piante appartenenti a specie protette, lo aveva condannato a ridurre la larghezza del percorso attraverso cui la servitù era esercitata, ed a pagamento delle spese processuali e di CTU, rigettando tanto la domanda di impianto di nuovi alberi in sostituzione di quelli tagliati quanto quella di risarcimento dei danni.

B.U.C., costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda attorea.

Il Tribunale di Avezzano, con sentenza n. 626/2012, accoglieva parzialmente la domanda, condannando B.U.C. al risarcimento dei danni nella misura di Euro 3.500,00 ed al pagamento delle spese processuali.

La decisione veniva impugnata, in via principale, da B.U.C. e, in via incidentale, dall’odierno ricorrente, dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila, che, con la sentenza n. 1135-2018, oggetto dell’odierno ricorso, accoglieva l’appello principale, ritenendo: a) che la memoria conclusionale, certamente non redatta e depositata in giudizio, non avrebbe potuto aggiungere nulla rispetto alla CTU espletata che aveva accertato che la servitù, concessa con sentenza n. 693/1994, era stata estesa dall’appellato; b) che l’eventuale proposizione dell’appello avrebbe potuto portare a risultati sfavorevoli sia nel merito sia quanto alla condanna alle spese di lite; c) che l’appellato non aveva fornito la prova che il deposito della memoria conclusionale avrebbe portato ad un esito diverso del giudizio e che la possibile decisione di impugnare la sentenza avrebbe determinato una riforma in melius della stessa. Rigettava l’appello incidentale e condannava l’odierno ricorrente al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente rimprovera alla Corte territoriale la violazione e falsa applicazione degli artt. 2230 e segg., sul mandato professionale e degli artt. 1176,1218 e 2236 c.c., in tema di responsabilità professionale, per avere escluso la responsabilità del professionista, nonostante fosse risultato provato il suo inadempimento, affermando che il deposito della memoria conclusionale non avrebbe determinato un diverso esito della controversia. Tale conclusione, ad avviso del ricorrente, sarebbe stata assunta senza considerare che, sebbene non sia un mezzo di prova, la CTU è suscettibile di valutazione da parte del giudice, che nel fascicolo di parte, non depositato dall’appellante, vi era documentazione che avrebbe scongiurato l’esito della controversia e che il Tribunale aveva dovuto fondare la propria decisione solo sulla CTU per causa del mancato deposito, da parte del professionista, del fascicolo di parte.

2. Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente censura la sentenza gravata per error in procedendo, consistente nella violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e nella mancata valutazione della prova.

Il ricorrente sostiene che dalla documentazione prodotta nel fascicolo di parte nel giudizio di primo grado, nell’ambito della comparsa di costituzione e risposta, si rinviene l’indice dei documenti atti ad indicare che il tracciato della servitù era stato realizzato in accordo con il marito di A.A.. Perciò, la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto che il mancato deposito del fascicolo di parte aveva determinato un esito sfavorevole e avrebbe dovuto prestare le dovute attenzioni anche alle prove testimoniali espletate che evidenziavano il nesso di causa tra la condotta di B.U.C. e il peggioramento delle sue condizioni di salute.

3. Va, innanzitutto, stigmatizzata la tecnica utilizzata per la redazione del presente atto quanto all’esposizione del fatto, avendo il ricorrente all’uopo redatto questa parte del ricorso in quaranta pagine con sostanziali ed anche formali (in particolare, quanto al contenuto della sentenza di primo e di secondo grado) riproduzioni degli atti di causa, rendendo disagevole la lettura della stessa ed onerando questo Collegio della scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi dedotti.

Quanto ai limiti contenutistici del ricorso per cassazione fissati dall’art. 366 c.p.c., la giurisprudenza di questa Corte concorda in merito ai seguenti principi:

(a) l’atto di impugnazione, per potere essere riconosciuto come un ricorso per vizi di legittimità, deve soddisfare alcuni requisiti minimi, il che non accade – con riferimento alla c.d. narrativa del ricorso medesimo – quando l’alternanza di pagine, nelle quali vengono evocati atti processuali pregressi, si risolve in una mera compilazione, un’attività materiale di farcitura nella quale non si ritrova l’opera di rappresentazione ed interpretazione dei fatti giuridici, attraverso la quale normalmente emerge e viene prospettato il “caso” giuridico sul quale si richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema, che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito;

(b) l’art. 366 c.p.c., impone di redigere il ricorso dinanzi al giudice di legittimità sintetizzando (rectius: esponendo sommariamente) i fatti della causa; la sommarietà dell’esposizione implica un lavoro di sintesi e di selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice in un’ottica di economia processuale, funzionale ad evidenziare i profili sostanziali e processuali rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso, i quali altrimenti si risolvono in censure astratte e prive di supporto storico, restando semmai eventuali riproduzioni dirette od indirette di atti e documenti del processo affidati all’esposizione dei motivi per quanto – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, su di essi si fonda.

3.1. Ebbene, il ricorso inizia con la Sezione I che si apre con un paragrafo intitolato “Conclusioni” che si riferisce alle conclusioni formulate dal ricorrente nel giudizio di prime cure, svoltosi dinanzi al Tribunale di Avezzano; segue una Sezione Ha, dedicata all'”Esame dell’atto di citazione”, e all’Esame della comparsa di costituzione e risposta”, seguiti ciascuno da “Considerazioni in fatto e in diritto”; la Sezione Ma si occupa della valutazione delle prove; la Sezione IV riproduce per intero la decisione di prime cure. La stessa tecnica è utilizzata per descrivere la fase di appello (Sezione V-X).

Una siffatta esposizione è inidonea, sotto il profilo della idoneità al raggiungimento dello scopo, ad assolvere all’onere di cui dell’art. 366 c.p.c., n. 3, che il legislatore ha indicato come da assolversi in modo sommario e non certo tramite una tecnica come quella descritta, che, come s’è detto, consta di mere riproduzioni sostanziali e formali degli atti dello svolgimento processuale.

4. Ad ogni modo, il Collegio ritiene che entrambi i motivi di ricorso, se fossero scrutinabili senza dare rilievo alla causa di inammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, si dovrebbero considerare – per cause intrinseche alla loro esposizione e pur procedendo al loro esame dopo l’integrale lettura dell’indicata esposizione del fatto – inammissibili, con conseguente inammissibilità del ricorso.

4.1. Quanto al primo motivo, si rileva che esso si fonda, come emerge dalle ultime due pagine che succedono all’esposizione di argomenti generali in iure, su atti, riguardo ai quali non solo non si fornisce l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto ci si astiene dal riprodurre il loro contenuto diretto od indiretto, con precisazione, in questo secondo caso, della parte corrispondente all’indiretta riproduzione, ma, inoltre, nemmeno si indica se e dove essi sarebbero stati introdotti nel giudizio di merito e se e dove siano presenti in questo giudizio di legittimità.

In particolare, si fa riferimento con queste lacune alla CTU espletata nel giudizio in cui l’opera vene prestata ed alla sentenza in esso resa. Per la verità, nella pagina 7, nell’àmbito della segnata eccedentaria esposizione del fatto, si riproduce un breve passo della sentenza, ma – in disparte che non è dato sapere alcunchè sulla localizzazione di essa in questo grado- nemmeno detto passo ha valore decisivo, nel senso che non appare tale da rivelare che la decisione sia stata influenzata dal mancato deposito del fascicolo, cui si allude.

La rilevanza e la decisività di quanto contenuto nel fascicolo di parte non sarebbe stato esaminato dal giudice a quo non sono supportate in alcun modo; infatti, si basano su affermazioni assertorie di parte ricorrente.

5. E’ del pari inammissibile il secondo motivo, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, innanzitutto là dove si fonda sul rilievo che non sarebbero stati considerati documenti: essi si dicono prodotti nel fascicolo di parte del giudizio di primo grado “nell’ambito della comparsa di costituzione e risposta relativa al procedimento rgn. 1961/1997”, cioè quello in cui venne effettuata la prestazione d’opera.

Essi se esaminati, avrebbero dato luogo, secondo il ricorrente, con ragionevole probabilità, ad un diverso esito della controversia: ora, tali documenti sono elencati, ma non ne è stato individuato neppure per sintesi il contenuto, non è stato fornito alcun elemento utile alla loro individuazione nel fascicolo di parte e nemmeno si dice se e dove esso (con essi) era stato prodotto nel giudizio di merito e se ve ne è stata produzione in questo giudizio di legittimità.

Palese è nuovamente la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè questo Collegio non è stato messo nella condizione di esprimere un giudizio circa la decisività dei documenti richiamati e nemmeno di valutare se la Corte territoriale era stata messa in grado di esaminarli.

Nella seconda parte il motivo – intendendo lamentare la violazione dell’art. 116 c.p.c. – mira in tutta evidenza ad ottenere una diversa valutazione delle prove testimoniali; il che colloca la censura al di fuori del modo in cui la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10/06/2016, n. 11892, seguita da numerosa giurisprudenza ed approvata, in motivazione non massimata, da Cass., Sez. Un., 10/08/2016, n. 16598 ed ora da Cass., Sez. Un., 30/09/2020,

n. 20867) ha collocato la deducibilità della violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c..

6. In definitiva, il ricorso è inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

8. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

 

 

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