Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15071 del 19/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/06/2017, (ud. 23/03/2017, dep.19/06/2017),  n. 15071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11624-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, V. TUSCOLANA 1312, presso lo studio dell’avvocato CATIA

TAMAGNINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CINZIA TAMAGNINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 106/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/04/2010 R.G.N. 10362/2007;

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 29/4/2010, confermava la pronuncia del locale Tribunale con cui era stata accolta la domanda proposta da P.P., diretta alla declaratoria di nullità, per genericità della causale, del contratto di lavoro a tempo determinato da lui stipulato con la società Poste Italiane, D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 il 4.10.02 e con scadenza al 31.12.02 (motivato con l’esigenza di “sostenere il livello di servizio di sportelleria durante la fase di realizzazione dei processi di mobilità, tuttora in fase di completamento, di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio, 17 aprile, 30 luglio e 18 settembre 2002, che prevedono al riguardo il riposizionamento su tutto il territorio degli organici della società”), e dichiarato sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato dalla data di assunzione, con condanna della società Poste al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni dal momento della costituzione in mora (25.3.03) sino alla data di effettivo ripristino, detratto l’aliunde perceptum;

per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Poste, affidato a cinque motivi;

resiste la P. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con i cinque motivi la società denuncia la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2; art. 12 preleggi, degli artt. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 1325 c.c.e segg., anche con riferimento alla interpretazione dei citati accordi sindacali del 2001-2; omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; la violazione ancora degli artt. 115 e 116, 244, 253 e 421 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c.; la violazione infine degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 c.c., lamentando che la corte territoriale escluse erroneamente la legittimità della clausola appositiva del termine, che risultava invece sufficientemente motivata dalle plurime e concorrenti ragioni ivi indicate, che comunque la società aveva tempestivamente chiesto di provare senza che la corte di merito, erroneamente, desse ingresso alle richieste istruttorie;

denuncia altresì omessa ed insufficiente motivazione su di un fatto decisivo per il giudizio, circa l’effettiva sussistenza delle ragioni tecnico produttive quali evincibili dai menzionati accordi sindacali del 2001/2, nonchè la mancata ammissione dei relativi capitoli di prova richiesti e l’omesso esercizio dei poteri ufficiosi da parte del giudice di merito sul punto;

lamenta l’erroneo riconoscimento, ai fini risarcitori, delle retribuzioni precedentemente percepite dalla lavoratrice, eventualmente spettanti solo dalla effettiva riammissione in servizio nonchè l’erroneità della sentenza in ordine alle conseguenze ripristinatorie e risarcitorie derivanti dalla presunta illegittimità dell’assunzione, invocando allo scopo lo ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

2. i primi quattro motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati;

l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa (per tutte, Cass. 27 aprile 2010 n. 10033);

tale specificazione, di cui è onerato il datore di lavoro, può risultare anche indirettamente dal contratto di lavoro e da esso “per relationem” da altri testi scritti accessibili alle parti (ex multis, Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279, Cass. 27 aprile 2010 n. 10033);

3. fermo restando l’onere della prova a carico della datrice di lavoro (Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279), nel caso in esame la sentenza impugnata ha esaminato il contenuto degli accordi invocati, escludendo che essi contenessero utili indicazioni circa le effettive esigenze tecniche, organizzative e produttive indicate nel contratto di assunzione;

tale accertamento non risulta adeguatamente censurato dalla attuale ricorrente, la quale si limita ad evidenziare che negli accordi 2001 e 2002, era stato concordato che “la società potrà continuare a ricorrere all’attivazione di contratti a tempo determinato per sostenere il livello di recapito durante la fase dei processi di mobilità”;

4. risulta poi irrilevante la censura di Poste in ordine alla legittimità di più causali contenute nel contratto di assunzione, non essendo questa la ratio decidendi della sentenza impugnata, nè può condividersi, per le ragioni sopra dette, la tesi della ricorrente secondo cui la prova circa la sussistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive di cui al citato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 graverebbe sulla società datrice di lavoro solo con riferimento alla proroga del contratto, ex art. 4 D.Lgs. citato;

5. quanto alla mancata ammissione dei capitoli di prova, la ricorrente non censura quanto accertato al riguardo dalla sentenza impugnata, e cioè la genericità dei capitoli stessi. A ciò va aggiunto che la società non trascrive interamente i capitoli di prova richiesti (ad eccezione del cap. 11) nè in quale atto processuale, quando ed in qual modo essi sarebbero stati sottoposti al giudice del gravame (cfr. Cass. ord. 16.3.12 n. 4220; Cass. 9.4.13 n. 8569); deve infatti rimarcarsi che la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto, e nella specie insussistenti – non alleghi e indichi, inoltre, la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire “ex actis” alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione, (ex aliis, cfr. Cass. 23.4.2010 n. 9748. Ne consegue che anche l’invocato esercizio dei poteri ufficiosi non avrebbe potuto trovare ingresso in giudizio, stante la sua natura, a questo punto, meramente esplorativa (cfr. Cass. n. 4412/2015, Cass. n. 11864/2004);

6. con riferimento alla quinta censura, ritenuta assorbita ogni doglianza attinente all’aliunde perceptum, accolta l’istanza di applicazione dello jus superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, in base al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (vedi Cass. S.U. 27/10/2016 n. 21691);

7. pertanto, il ricorso va accolto entro i limiti descritti con la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello designata in dispositivo.

PQM

 

rigetta i primi quattro motivi del ricorso, accoglie il quinto nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2017

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