Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15070 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 15070 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 20431-2013 proposto da:
IELO

ANTONIO

SALVATORE

C.F.

LIENNS48L04H224V,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI
191, presso lo studio dell’avvocato SALMERI
FERDINANDO, che lo rappresenta e difende giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2014
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contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A. P.I. 09339391006 in
e

persona del legale rappresentante pro tempore,
4.

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 25-B, presso

Data pubblicazione: 02/07/2014

lo studio degli avvocati PESSI ROBERTO e GIAMMARIA
FRANCESCO, che la rappresentano e difendono giusta
procura speciale notarile in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 259/2013 della CORTE D’APPELLO

1220/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/03/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI per delega PESSI
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine rigetto.

di REGGIO CALABRIA, depositata il 01/03/2013 r.g.n.

Udienza del 13 marzo 2014 — Aula B
n. 12 del ruolo—RG n. 20431/13
Presidente: Lamorgese – Relatore: Tria

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il giorno I marzo 2013) dichiara
improcedibile l’appello proposto, con ricorso depositato il 4 dicembre 2012, da Antonio Salvatore
Ielo avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria n. 1604/2012 del 6 giugno 2012, di rigetto
della domanda dello Ielo avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per giusta causa
intimatogli dalla BANCA NAZIONALE del LAVORO s.p.a. (d’ora in poi: BNL).
La Corte d’appello di Reggio Calabria, per quel che qui interessa, precisa che:
a) all’udienza di prima comparizione — fissata con decreto regolarmente comunicato al
procuratore della parte appellante a mezzo del sistema di posta elettronica certificata (PEC),
secondo le indicazioni fornite dallo stesso procuratore nell’atto di appello e in base all’art. 136,
secondo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 25 della legge n. 183 del 2011 — è
comparso il suddetto procuratore dell’appellante che ha fatto presente di non avere ricevuto alcuna
comunicazione ed ha, pertanto, chiesto un nuovo termine per provvedere alla prescritta notifica;
b) premesso che l’assunto relativo all’omessa comunicazione è destituito di fondamento,
l’appellante, pur avendo ricevuto notizia del decreto di fissazione della prima udienza di
comparizione (dell’8 febbraio 2013) in data 4 dicembre 2012, non ha provveduto ad effettuare la
notifica alla controparte dell’atto di appello e del pedissequo decreto di comparizione entro il
termine minimo di venticinque giorni prima della data della predetta udienza di cui all’art. 435,
terzo comma, cod. proc. civ.;
c) ne consegue che in applicazione al recente orientamento espresso dalle Sezioni unite della
Corte di cassazione nella sentenza n. 20606 del 30 luglio 2008, l’appello, anche se proposto
tempestivamente, è da considerare improcedibile perché la notificazione del ricorso depositato e del
decreto di fissazione dell’udienza non è stata effettuata e — alla stregua di un’interpretazione
costituzionalmente orientata imposta dal principio della ragionevole durata del processo , di cui
all’art. 111, secondo comma, Cost. — non è consentito al giudice di assegnare, ex art. 421 cod. proc.
civ., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291
cod. proc. civ., tranne che nell’ipotesi in cui venga presentata un’istanza di proroga prima della
scadenza del termine per la notifica in oggetto;
d) tale ultima ipotesi non ricorre nella specie, in quanto la parte appellante ha presentato la
suddetta istanza nel corso della stessa udienza di prima comparizione.
2.— Il ricorso di Antonio Salvatore Ielo domanda la cassazione della sentenza per un unico
motivo; resiste, con controricorso, illustrato da memoria, la BANCA NAZIONALE del LAVORO
s.p.a., la quale, fra l’altro, eccepisce la invalidità della notifica del ricorso per cassazione,
1

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soprattutto perché avvenuta (il 6 settembre 2013) dopo la scadenza del termine semestrale previsto
dall’art. 327 cod. proc. civ., nel testo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 46, comma 17,
della legge 18 giugno 2009, n. 69, applicabile nella specie ratione temporis, ai sensi dell’art. 58
della stessa legge n. 69 del 2009.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I Profili preliminari
invalidità della notifica della
1.— Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione di
notifica del presente ricorso proposta dalla controricorrente, sull’assunto della pretesa tardività della
stessa perché effettuata il 6 settembre e quindi dopo la scadenza del termine di sei mesi dal deposito
della sentenza (avvenuto il giorno 1 marzo 2013), previsto dall’art. 327 cod. proc. civ.
Tale eccezione è infondata in quanto, sull’originale del ricorso risulta apposto un timbro
leggibile dell’ufficiale giudiziario che attesta che la relativa consegna dell’atto per la notifica è stata
effettuata in data 27 agosto 2013, sicché, la notifica stessa si deve considerare tempestiva, in
applicazione del noto principio della scissione soggettiva del momento di perfezionamento delle
notificazioni.

Sintesi delle censure

1.— Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 136,
152, 159, 291, 421, 435 cod. proc. civ. e dell’art. 111 della Costituzione.
Il ricorrente sottolinea che:
1) il procuratore dell’appellante, presente all’udienza del giorno 8 febbraio 2013 per trattare
altre cause, ha chiesto la concessione di un termine per le notifiche dichiarando che non era a
conoscenza dell’emissione del decreto di fissazione dell’udienza, comunicatagli esclusivamente
tramite PEC;
2) infatti il procuratore stesso non era ancora in possesso della password di accesso alla PEC,
benché quest’ultima gli fosse stata rilasciata qualche giorno prima del deposito in cancelleria
dell’atto di appello (ove era stata indicata);
3) pertanto la comunicazione effettuata dalla Corte d’appello per mezzo della PEC non
sarebbe valida, in quanto esclusiva e non accompagnata da comunicazione cartacea a mezzo di
ufficiale giudiziario ovvero a mezzo fax.
Comunque, la concessione del termine richiesto ad avviso del ricorrente era compatibile con
l’art. 111 Cost. e, in ogni caso, l’appello non’avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile, visto
che era stato correttamente depositato.
Infine, al caso di mancata notifica in oggetto avrebbe dovuto applicarsi estensivamente la
norma di cui all’art. 291 cod. proc. civ.

III — Esame delle censure
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2.- Il ricorso non è da accogliere per le ragioni di seguito esposte.

Il successivo art. 136, secondo comma, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 25 della legge
12 novembre 2011, n. 183, abilita i cancellieri ad effettuare le comunicazioni alle parti che sono
prescritte dalla legge e a dare notizia di quei provvedimenti per i quali è disposta dalla legge una
forma abbreviata di comunicazione, trasmettendo le comunicazioni stesse” a mezzo posta
elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la
sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.
Mentre il terzo comma dello stesso art. 136 stabilisce che “salvo che la legge disponga
diversamente”, si può utilizzare la trasmissione a mezzo telefax ovvero la notifica a mezzo
dell’ufficiale giudiziario solo “se non è possibile procedere ai sensi del comma che precede”.
Le modalità attuative di tale disposizione si rinvengono nel decreto del Ministro della
Giustizia 21 febbraio 2011, n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel
processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in
attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive
modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193,
convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24), vigente dal 18 maggio 2011 e poi modificato dal
d.m. n. 209 del 2012 (vedi, al riguardo: Cass. 7 maggio 2014, n. 9876).
4.- Dal complesso di tale disciplina si desume, per quel che riguarda la presente fattispecie,
che una volta ottenuta da parte dell’ufficio giudiziario interessato la prescritta abilitazione, ogni
avvocato, dopo la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia
attraverso il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria
PEC, nel senso che se non la apre ne risente le conseguenze.
La Corte d’appello di Reggio Calabria è stata abilitata all’utilizzazione di tale sistema
dall’inizio del 2012 e di conseguenza da quel momento le cancellerie hanno potuto trasmettere le
prescritte comunicazioni ai difensori per mezzo della PEC da essi indicata.
Ciò è avvenuto, nella specie, con riguardo alla comunicazione del decreto di fissazione
dell’udienza di prima comparizione del giudizio di appello.
D’altra parte, come risulta dalla sentenza impugnata, e non viene contestato dal ricorrente, la
suddetta trasmissione è risultata effettuata regolarmente — in data 4 dicembre 2012, alle ore
12:27:57 — al procuratore della parte appellante a mezzo del sistema di posta elettronica certificata
(PEC), secondo le indicazioni fornite dallo stesso procuratore nell’atto di appello e in base all’art.
136, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 25 della legge n. 183 del 2011.
Ne consegue che del tutto correttamente la Corte d’appello ha considerato valida a tutti gli
effetti tale comunicazione e, conseguentemente, improcedibile l’appello non avendo l’appellante
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3.- Deve essere, in primo luogo, precisato che l’art. 125, primo comma, cod. proc. civ. nel
testo attuale, vigente dal giorno 1 dicembre. 2011, stabilisce che tra le indicazioni che devono
obbligatoriamente essere presenti nella citazione, nel ricorso, nella comparsa, nel controricorso e
– nel precetto vi deve essere quella dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore
“comunicato al proprio ordine” nonché del proprio numero di fax.

5.- Nella descritta situazione, non solo non poteva trovare applicazione l’art. 291 cod. proc.
civ. che riguarda tutt’altra situazione, ma neppure si sarebbe potuta lamentare la mancata
utilizzazione della trasmissione a mezzo telefax ovvero della notifica a mezzo dell’ufficiale
giudiziario, perché, come si è detto, in base all’art. 136, terzo comma, cod. proc. civ., a tali forme di
trasmissione può ricorrersi soltanto quando non è possibile procedere a mezzo PEC, mentre, nella
specie, non solo è stato possibile utilizzare la PEC ma la relativa trasmissione è andata a buon fine
(come certificato), sicché l’inconveniente lamentato è dipeso esclusivamente da problemi di
gestione della PEC da parte del relativo titolare (destinatario della comunicazione), come tali del
tutto ininfluenti sulla validità della comunicazione stessa.

IV Conclusioni

6.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto, per le suindicate ragioni. Le spese del presente
giudizio di cassazione — liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza,
dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115
del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3000,00 (tremila/00)
per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 13 marzo 2014.

provveduto ad effettuare la notifica alla controparte dell’atto di appello e del pedissequo decreto di
comparizione entro il termine minimo di venticinque giorni prima della data della predetta udienza
di cui all’art. 435, terzo comma, cod. proc. civ.

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