Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1507 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7555/2010 R.G. proposto da:

C.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianfranco Di

Sabato del Foro di Napoli ed elettivamente domiciliato in Roma,

Viale Mazzini, n. 55, presso lo studio dell’Avv. Salvatore Coletta,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, entrambi

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e nei confronti del:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 95/27/2009, depositata il 25/09/2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16

novembre 2016 dal Relatore Cons. Dott. Emilio Iannello;

udito l’Avvocato dello Stato Bruno Dettori per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

DE MASELLIS Mariella, la quale ha concluso per la declaratoria di

estinzione del procedimento per cessazione della materia del

contendere.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 470/11/2007 del 3/10/2007 la C.T.P. di Napoli accoglieva il ricorso proposto da C.A., ingegnere, avverso la cartella di pagamento nei suoi confronti emessa, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis, per il pagamento dell’Irap dovuta per l’anno 2001, ritenendo insussistente il presupposto d’imposta dell’autonoma organizzazione di capitali o di lavoro altrui.

Avverso tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle entrate, sostenendo la legittimità dell’iscrizione a ruolo in quanto scaturita dalla dichiarazione dei redditi presentata dallo stesso contribuente, per cui sarebbe stato necessario pagare prima il tributo e poi chiederne il rimborso con apposita istanza.

Il gravame era accolto dalla C.T.R. della Campania, con sentenza depositata in data 25/9/2009, sulla base del duplice rilievo, sostanzialmente adesivo alla tesi dell’appellante, secondo cui: a) l’iscrizione a ruolo per il mancato saldo dell’Irap, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, “era atto definitivo, in quanto derivante dal controllo automatizzato di dati certi e inesigibili determinati dallo stesso contribuente”; b) quest’ultimo, “con l’intera sua dichiarazione e in particolare con la compilazione del quadro RE, si era reso debitore dell’imposta e doveva quindi provvedere al pagamento del saldo come da lui determinato; solo successivamente, attraverso una specifica domanda di rimborso, avrebbe potuto dare prova dell’insussistenza delle condizioni richieste per l’applicazione dell’Irap e impugnare l’eventuale… rifiuto opposto dall’ufficio”.

2. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso il contribuente, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso.

3. In data 15/11/2016 il difensore del ricorrente ha depositato istanza con la quale – premesso di voler aderire al pagamento dell’importo indicato nella cartella secondo quanto previsto dal D.I. 22 ottobre 2016, n. 193 e di non avere pertanto più interesse alla lite – ha chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Va preliminarmente disattesa l’istanza volta alla declaratoria della cessazione della materia del contendere, non potendosi – in mancanza di alcuna disposizione in tal senso – attribuire tale effetto alla mera dichiarazione dell’intento di voler aderire ai benefici di cui al citato decreto legge e neppure alla rappresentazione del venir meno dell’interesse al ricorso, in quanto non tradottasi in rituale rinuncia allo stesso.

Del resto, la definizione del presente procedimento non precluderà comunque al contribuente di aderire, anche successivamente ad essa, alla c.d. rottamazione dei ruoli.

5. Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione di legge nonchè vizio di motivazione per avere la C.T.R. ritenuto che in sede di opposizione alla cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, sia precluso al contribuente dimostrare di non essere soggetto passivo d’imposta e per aver ritenuto sufficiente l’indicazione in dichiarazione del debito Irap, senza considerare che questa era necessitata dal software ufficiale che non avrebbe altrimenti consentito la presentazione della dichiarazione.

Con il secondo mezzo il ricorrente censura la sentenza impugnata sotto entrambi i profili (violazione di legge e vizio di motivazione) per avere la C.T.R. confermato la legittimità dell’atto impugnato senza esprimere alcuna valutazione sul fatto che il contribuente avesse o meno provato la mancanza del presupposto impositivo, ma fermandosi esclusivamente alla considerazione che egli aveva esposto il debito in dichiarazione.

Rileva che nel ricorso introduttivo egli aveva evidenziato che, dai costi di cui al quadro RE della dichiarazione, non poteva assolutamente desumersi la sussistenza di una struttura autonoma, in particolare precisando che: l’importo di Lire 774.000 si riferiva ad una quota di ammortamento della sua autovettura; quello di Lire 3 milioni riguardava una fattura ricevuta dal gennaio 2001 per una prestazione di consulenza chiesta ad un terzo professionista risalente all’anno prima; le altre voci riguardavano spese ordinarie (consumi, commercialista, spese di trasporto, etc.).

6. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e Finanze che non è stato parte in sede di merito.

Non avendo il Ministero svolto difese nel presente giudizio, non v’è luogo a provvedere sul regolamento delle spese.

7. Le censure, congiuntamente esaminabili, in quanto proposte nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, sono fondate.

Come questa Corte ha chiarito con ferma giurisprudenza, in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante, con conseguente sua impugnabilità, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 19, anche per contestare il merito della pretesa impositiva (v. ex aliis Cass., Sez. 5, n. 12288 del 12/06/2015, non mass.; Sez. 5, n. 1263 del 22/01/2014, Rv. 629155).

Per converso, varrà rammentare che, secondo altrettanto pacifico indirizzo, le dichiarazioni fiscali, in particolare quelle dei redditi, non sono atti negoziali o dispositivi, nè costituiscono titolo dell’obbligazione tributaria, ma sono dichiarazioni di scienza e, quindi, salvi casi particolari, possono essere liberamente modificate dal contribuente, anche in sede processuale; pertanto, la dichiarazione, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico (v. Sez. 5, n. 29738 del 19/12/2008, Rv. 606025; Sez. 5, n. 1708 del 26/01/2007, Rv. 595660), discendendone altresì per logica conseguenza che l’impugnazione della cartella esattoriale, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, non è preclusa dal fatto che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione.

8. La C.T.R., applicando una regola di giudizio evidentemente opposta, ha ritenuto sostanzialmente inammissibile l’impugnazione del contribuente avverso la cartella esattoriale in quanto fondata su contestazioni di merito afferenti alla sussistenza dei presupposti impositivi, secondo la tesi accolta invece precluse.

E’ così incorsa in error in procedendo, per inosservanza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, discendente da una erronea interpretazione dei vizi denunciabili come propri della cartella emessa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis: inosservanza la cui censura, al di là della mancata o erronea indicazione del tipologia di vizio denunciata, può comunque univocamente ricavarsi dal contenuto sostanziale del ricorso proposto (v. Sez. U, n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268).

9. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo il quale dovrà esaminare nel merito le contestazioni svolte dal ricorrente in ordine alla sussistenza, nella fattispecie concreta, dei presupposti d’imposta.

Al giudice di rinvio è altresì demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso in quanto proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie il ricorso, in quanto proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Campania, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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