Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15067 del 19/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/06/2017, (ud. 07/03/2017, dep.19/06/2017),  n. 15067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5323-2014 proposto da:

M.F., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELL’OROLOGIO 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PONTECORVI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO TAMBURINI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

COSTRUZIONI DONDI S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato PIETRO POZZAGLIA,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIANLUCA SPOLVERATO, GIANNI

BARILLARI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1000/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/02/2013 R.G.N. 3746/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del primo e quarto

motivo, e accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso;

udito l’Avvocato PERIN GIULIA per delega verbale Avvocato BARILLARI

GIANNI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 1000/2013, depositata il 21 febbraio 2013, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Latina, respingeva le domande di superiore inquadramento e di risarcimento danni da dequalificazione professionale proposte da M.F. nei confronti della S.p.A. Costruzioni Dondi.

La Corte, esaminate le declaratorie contrattuali, escludeva che le mansioni di addetto al depuratore del Comune di (OMISSIS), svolte dal M. alle dipendenze della società dall’8/3/1994 fino al 7/8/2008, con attribuzione del 1^ livello del CCNL Gas-Acqua, potessero essere ricondotte al superiore profilo di “operaio esperto” e al 4^ livello di tale contratto, come richiesto dal ricorrente, nell’atto introduttivo, in via principale e ritenuto dal giudice di primo grado, risultando le stesse proprie del profilo di “operaio conduzione impianti” e, quindi, del 2^ livello; riteneva peraltro di non poter accogliere la relativa domanda, in quanto non riproposta in grado di appello; respingeva infine la domanda di risarcimento danni per dequalificazione professionale conseguenti all’assegnazione, dal 7/8/1998, a mansioni inferiori, in assenza di allegazione e di prova sulla natura e sull’entità dei pregiudizi subiti.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con quattro motivi; la società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, articolato in plurimi profili, il ricorrente deduce omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5), avendo la Corte di appello completamente trascurato di esaminare e valutare circostanze di rilievo determinante ai fini dell’inquadramento nel 4^ livello contrattuale (e cioè il fatto che il ricorrente riferisse esclusivamente al dirigente degli impianti di depurazione; il fatto che, quale operaio in possesso di esperienza ultradecennale, si consultasse con il personale chimico per la valutazione relativa alla necessità di intervenire sugli impianti; il fatto che detenesse le chiavi di accesso ai medesimi, oltre che espletare tutte le attività dedotte in ricorso); deduce poi violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 36 e segg. CCNL Gas-Acqua e degli artt. 2103 e 2099 c.c. e art. 36 Cost. (art. 360, n. 3), avendo la Corte erroneamente ricondotto l’attività svolta dal ricorrente nell’ambito del 2^ livello contrattuale, anzichè del 4^, e ciò per non avere considerato che le suddette circostanze avrebbero potuto dimostrare quella autonomia operativa nell’esecuzione delle attività assegnate con contenuti margini di discrezionalità che è il tratto distintivo ed esclusivamente proprio del più elevato livello rivendicato; deduce, infine, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), avendo la Corte di appello fornito una motivazione apparente e comunque insufficiente ed erronea e ciò per avere preso in esame unicamente un elemento di fatto (e cioè la circostanza che il ricorrente lavorasse da solo e svolgesse piccoli interventi di manutenzione) e invece tralasciato altri e diversi elementi del caso concreto (le circostanze già evidenziate con riferimento ai precedenti profili), elementi che l’avrebbero condotta a condividere le stesse conclusioni del primo giudice.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c. per omessa pronuncia sulle domande subordinate (art. 360 c.p.c., n. 4), avendo la Corte di appello illegittimamente ritenuto di non potersi pronunciare sul diritto alle differenze retributive in relazione alla ritenuta qualifica intermedia (2^ livello) “in assenza di una espressa sollecitazione in tal senso”, nonostante che l’inquadramento nei livelli intermedi (2^ e, in subordine, 3^) fosse stato oggetto di specifiche conclusioni da parte della società nel suo atto di impugnazione.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce omessa pronuncia sull’appello incidentale (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), volto al pagamento delle differenze retributive maturate in corso di causa e al proporzionale aumento del danno da dequalificazione e che la Corte, sulla premessa di non poter riconoscere differenze retributive, aveva ritenuto assorbito.

Con il quarto motivo, e con riferimento al diniego del danno da dequalificazione professionale, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per insufficiente o comunque erronea ed illogica motivazione, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, ed omessa o comunque erronea valutazione delle prove e degli atti processuali, in relazione all’art. 116 c.p.c. (art. 360, n. 4), nonchè omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio (art. 360, n. 5) e violazione di varie norme (art. 360, n. 3) del Codice civile (artt. 2059, 1218, 1223 e 2087) e della Costituzione (artt. 1, 2, 4 e 35), in particolare osservando come l’onere di un’adeguata allegazione fosse stato assolto sin dall’atto introduttivo del primo grado di giudizio (oltre che con memoria in data 31/10/2008, sulla quale vi era stata accettazione del contraddittorio) mediante l’indicazione di elementi specifici tal da consentire attraverso il ricorso alla prova presuntiva la dimostrazione della sussistenza del danno in questione.

Il primo motivo non può essere accolto.

Con esso, infatti, il ricorrente si duole in sostanza, anche sub specie di violazione e falsa applicazione di varie norme di legge e della contrattazione collettiva di settore, di una motivazione apparente e comunque gravemente insufficiente, che avrebbe preso in considerazione solo taluni elementi fattuali e non altri, già di determinante rilievo nella formazione del convincimento del primo giudice.

In tal modo, tuttavia, il motivo in esame non si conforma al modello legale del nuovo vizio “motivazionale”, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza depositata il 21 febbraio 2013, e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Nella specie, non risultano invece assolti gli oneri di deduzione di cui alla richiamata giurisprudenza di legittimità e, in particolare, non risulta dimostrata la “decisività” dei fatti che si affermano omessi nella ricostruzione operata dalla Corte di merito, non rilevando a tal fine l’incisiva rilevanza che tali fatti possono avere assunto nella formazione del convincimento del primo giudice ma la loro attitudine a determinare una decisione diversa della causa da parte del giudice della sentenza impugnata, e tanto più a fronte di motivazione che, dopo un analitico esame delle declaratorie contrattuali, ha esteso il proprio esame al complesso delle risultanze istruttorie acquisite al giudizio, pervenendo infine a ritenere configurabile nella fattispecie, alla stregua dei tratti distintivi presenti nei livelli dal 1^ al 4^, il profilo professionale (rientrante nel 2^) di “operaio conduzione impianti” (cfr. sentenza impugnata, pp. 7-8).

Nè, per quanto da ultimo rilevato, la motivazione della sentenza può considerarsi come solo “apparente”, tale essendo la sentenza che, pur “graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, sentenza n. 22232/2016).

Analoghi rilievi e considerazioni devono porsi a base del rigetto del quarto motivo. Anche con esso, infatti, il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia reso una motivazione gravemente carente e illogica, per non avere tenuto conto di tutti gli elementi acquisiti al giudizio e delle allegazioni del lavoratore, e peraltro ancora nell’inosservanza degli oneri di deduzione stabiliti dalla citata giurisprudenza di legittimità, così ponendosi al di fuori del perimetro applicativo del nuovo vizio di cui all’art. 360, n. 5.

D’altra parte, la Corte si è uniformata alla consolidata giurisprudenza in tema di allegazione e prova del danno da dequalificazione (Sez. U, sentenza n. 6572/2006 e successive conformi), correttamente rilevando che tale pregiudizio “non può essere riconosciuto, in concreto, se non in presenza di adeguata allegazione” (cfr. ancora sentenza impugnata, p. 10).

L’esistenza di una tale allegazione è stata poi esclusa dalla Corte di appello, la quale ha osservato come nell’atto introduttivo del giudizio il ricorrente si fosse “limitato a denunciare il demansionamento, per essere stato assegnato a mera attività di manovalanza” e come nulla avesse “allegato circa la natura del pregiudizio subito”, avendo solo richiesto nelle conclusioni il risarcimento di tutti i danni derivanti dalla violazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 19 CCNL per dequalificazione professionale (p. 11).

Tale accertamento, avendo ad oggetto l’interpretazione della domanda giudiziale, costituisce operazione riservata al giudice del merito (e non censurabile in sede di legittimità, ove sostenuto da motivazione adeguata e congrua: cfr., fra le molte, Cass. n. 2916/2004) e a cui, nella specie, il ricorrente ha unicamente contrapposto un richiamo sintetico al contenuto del proprio atto introduttivo del giudizio di primo grado (e del tutto generico alle successive note autorizzate).

Nè allegazioni carenti potrebbero essere superate mediante il ricorso, in funzione integrativa, al procedimento per presunzioni, il quale opera sul distinto e successivo piano della prova di fatti che risultino comunque già oggetto di deduzione.

E’ invece fondato, e deve essere accolto, il secondo motivo.

Si deve premettere che il ricorrente ha chiesto, con l’atto introduttivo di primo grado, che fosse accertato, in via principale, il suo diritto all’inquadramento nel 4^ livello CCNL Gas-Acqua e, in subordine, all’inquadramento nel 3^ o quanto meno nel 2^ livello del medesimo contratto, con la condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle conseguenti differenze retributive.

Risultato pienamente vittorioso in esito al giudizio di primo grado, il ricorrente ha poi concluso in appello per il rigetto del gravame della società, mentre questa ha chiesto, in subordine al rigetto integrale delle domande tutte del lavoratore, il riconoscimento del 2^ livello e, in via gradatamente subordinata, del 3^ livello. Come più volte precisato da questa Corte, “la domanda intesa alla superiore qualifica professionale in relazione alle mansioni svolte include implicitamente quella di una qualifica inferiore, nell’ambito del medesimo genere di mansioni, ma pur sempre superiore a quella riconosciuta dal datore di lavoro. Non incorre, pertanto, nel vizio di ultrapetizione il giudice del merito che riconosca il diritto del lavoratore ad essere inquadrato nella qualifica intermedia” (Cass. n. 8862/2013; conforme, fra le altre, Cass. n. 22872/2013).

In sostanza, la domanda diretta ad ottenere un inquadramento superiore, rispetto a quello assegnato dal datore di lavoro, è da ritenersi domanda unica, se pure nel proprio interno articolata in distinti profili in rapporto alle qualifiche intermedie, ove tali profili siano sorretti dall’allegazione di corrispondenti elementi di fatto e dalla indicazione della relativa declaratoria contrattuale.

Ne consegue che il lavoratore, il quale – come nella specie – si veda attribuire in primo grado il livello apicale del superiore inquadramento rivendicato, non è tenuto ex art. 346 c.p.c. a riproporre le richieste aventi ad oggetto i livelli inferiori, che non identificano domande subordinate autonome; ha, pertanto, errato la Corte di merito nell’affermare di non poter riconoscere, con conseguente rigetto della domanda, il diritto alle differenze retributive connesse al 2^ livello, pur ritenuto configurabile in relazione al profilo professionale di “operaio conduzione impianti” concretamente rivestito dal lavoratore.

Il terzo motivo resta assorbito.

La sentenza n. 1000/2013 della Corte di appello di Roma deve conseguentemente essere cassata in relazione al secondo motivo, assorbito il terzo e respinti gli altri, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, che pronuncerà in ordine alla domanda avente ad oggetto le differenze di retribuzione spettanti al lavoratore, anche maturate in corso di causa, dipendenti dall’inquadramento nel 2^ livello del CCNL di settore.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo e rigettati il primo e il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2017

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