Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15066 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15066 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 14558-2014 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00471850016, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio degli avvocati

MARESCA ARTURO, MORRICO

ENZO,

BOCCIA FRANCO RAIMONDO, ROMEI ROBERTO, che la
2015

rappresentano e difendono, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1766

contro
MENONI FABRIZIO C.F. MNNFRZ66T12D969Z,

domiciliato

in

elettivamente

ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo

Data pubblicazione: 17/07/2015

studio

dell’avvocato

rappresenta

e

difende

SERGIO

VACIRCA,

unitamente

che

lo

all’avvocato

AGOSTINO CALIFANO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 195/2014 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/04/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega MARESCA
ARTURO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO / che ha concluso
per il rigetto.

di GENOVA, depositata il 24/04/2014 R.G.N. 17/2014;

R.G. n. 14558/14
Ud. 22 apr. 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Genova confermava la decisione, emessa dal Tribunale,
dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento inflitto a Fabrizio
Menoni dalla datrice di lavoro s.p.a. Telecom Italia, con le
conseguenti condanne, rientegratoria e risarcitor -ia.
In via preliminare la Corte dichiarava inammissibile il
motivo di gravame concernente la mancata astensione, ai sensi
dell’art. 51, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., del giudice che
aveva pronunciato la sentenza di primo grado dopo avere emesso
l’ordinanza di cui all’art. 1, comnaa 48, L. 28 giugno 2012 n. 92:
la parte appellante non aveva infatti presentato istanza di
ricusazione.
Quanto al merito, la s.p.a. Telecom Italia aveva contestato
al Menoni di aver concorso nella costituzione di un sistema
commerciale illecito, consistente nella vendita di una
“piattaforma informatica» da parte di Bora s.r.l. alla società Net
Team/Kelyan e poi da tale società a Telecom. Questa a sua volta
aveva rivenduto la medesima piattaforma a Bora s.r.1., con
rischio di insolvenza ad esclusivo carico della Telecom. Rischio
poi trasformatosi in danno, a causa dell’inadempimento della
società Bora.
La Corte d’appello negava la responsabilità disciplinare,
addebitata al Menoni sulla base dell’art. 48, parte A, comma 2,
lett. c), c.c.n.l., che sanzionava con il licenziamento senza
preavviso le negligenze gravi, produttive di danni rilevanti al
patrimonio dell’azienda. La datrice di lavoro non aveva infatti
provato la conoscenza, da parte del Menoni, della società Bora,
ben nota per contro solo agli organi della società Net

Con sentenza del 24 aprile 2014 la Corte d’appello di

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Team/Kelyan, e quindi non aveva provato l’intenzione
fraudolenta del suo dipendente, ossia l’obiettivo di conseguire un
premio aziendale connesso a certi obiettivi di vendita.
L’amministratore delegato della società Net Team/Kelian aveva
dichiarato che l’operazione era stata proposta dalla “rete vendita
della Telecom”, senza nulla chiarire circa la posizione del
In definitiva rimaneva priva di riscontri obiettivi
l’incolpazione disciplinare, secondo cui il Menoni era
vero similmente a conoscenza delle dette pratiche commerciali
illecite, le quali erano state compiute da suoi superiori
gerarchici, avendo egli sottoscritto i contratti di acquisto e di
vendita quale capo area, ma non aveva svolto le trattative né
l’accertamento della solvibilità della società Bora.
Dichiarato illegittimo il licenziamento, doveva applicarsi la
tutela reale di cui all’art. 18 L. 20 maggio 1970 n. 300.
Nella retribuzione globale di fatto, che la Telecom doveva
pagare a titolo di risarcimento del danno al lavoratore licenziato
ai sensi dello stesso art. 18, doveva essere inclusa la voce
“incentivo venditori”, sempre corrisposta nel periodo precedente
il licenziamento.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione la s.p.a.
Telecom Italiana sulla base di tre motivi, mentre il Mennoni
resiste con controricorso, illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli
artt. 111 Cost. e 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per
avere la Corte d’appello ritenuto la valida costituzione del giudice
di primo grado, pur avendo la stessa persona emesso tanto
l’ordinanza urgente di cui all’art. 1, cornrna 49, L. n. 92 del 2012,
quanto la sentenza.
2. Col secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione
degli artt. 2119 cod. civ. e 3 L. 15 luglio 1966 n. 604, per avere
la Corte di merito accertato corretam.ente un sistema di vendite

Menoni.

concepito in danno della datrice di lavoro dai responsabili
dell’area manager, ossia dall’insieme dei dirigenti, allo scopo di
raggiungere in modo fittizio gli obiettivi di fatturato, e per avere
nondimento ritenuto estraneo alla fattispecie l’attuale
controricorrente, anch’egli dirigente, destinatario delle offerte di
vendita da parte della società Net Team/Kelyan e tenuto a
3. Col terzo motivo la ricorrente prospetta la violazione degli
artt. 18 L. n. 300 del 1970 e 1460 cod. civ., a causa
dell’inclusione, nella retribuzione globale di fatto su cui era
commisurato il danno da risarcire al lavoratore licenziato, della
voce “incentivo venditori”. Questo spettava eventualmente ai soli
lavoratori presenti in azienda, in relazione agli utili da loto
prodotti, e perciò non anche all’attuale ricorrente, assente dopo il
licenziamento.
4. Il primo motivo, oltre che inammissibile, è infondato.
Inammissibile perché l’asserito vizio della sentenza di primo
grado, riconducibile all’art. 51, n. 4, cod. proc. civ., avrebbe
dovuto essere prevenuto dalla parte interessata con istanza di
ricusazione e perché, comunque, non comporta nullità della
sentenza (Cass. 10 settembre 2003 n. 13212; Cass. 26 maggio
2003 n. 8197; Cass. 22 marzo 2006 n. 6358; Cass. 15 giugno
2005 n. 12848 e, più recentemente, Cass. 16 aprile 2015 n.
7782).
Infondato, atteso che, come già osservato da questa Corte
(cfr. Casa. n. 19674/14; Cass. n. 24790/14, ~ Cass. n.
3136/15; Cass. n. 7782/15 cit.) la fase dell’opposizione non
costituisce un grado diverso rispetto a quello che ha preceduto
l’ordinanza, ma solo una prosecuzione del medesimo giudizio in
forma ordinaria, sicchè non è configurabile alcuna violazione
riconducibile all’art. 51, n. 4, cod. proc. civ., nel caso in cui lo
stesso giudice-persona fisica abbia conosciuto della causa in
entrambi le fasi.

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controllare le attività di vendita dei suoi sottoposti.

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5. La Corte costituzionale, con sentenza n. 78 del 2015, nel
rilevare che l’intervento ermeneutico di questa Corte, si era
consolidato “in termini di diritto vivente”, ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51,
primo comma, n. 4), cod. proc. civ., e 1, comma 51, della legge n.
92 del 2012 sollevata con più ordinanze dal Tribunale di Milano
Ha rilevato, con riferimento al primo dei predetti parametri,
che non sussiste la prospettata disparità di trattamento della
disciplina impugnata rispetto a quella del reclamo contro i
provvedimenti cautelari di cui all’art. 669-terdecies cod. proc.
civ.
La disciplina processuale assunta dal rimettente a tertium

comparationis, lungi dall’essere “abbastanza analoga” a quella in
esame, è infatti ben diversa, essendo quest’ultima scandita da
una prima, necessaria fase sommaria e informale e da una
successiva, eventuale, fase a cognizione piena; mentre,
nell’ipotesi disciplinata dall’art. 669-terdecies il reclamo avverso
l’ordinanza, con la quale è stata concessa o denegata la misura
cautelare dal giudice monocratico del Tribunale, integra una
vera e propria impugnazione che “si propone al collegio” del
quale, appunto, “non può far parte il giudice che ha emanato il
provvedimento impugnato».
Priva di fondamento, ad avviso della Corte Costituzionale, è
anche la denuncia di violazione degli artt. 24 e 111 Cost. per
lesione del diritto alla tutela giurisdizionale sotto il profilo di
esclusione della imparzialità del giudice. Ed infatti, come più
volte ribadito dalla stessa Corte, nel processo civile il principio di
imparzialità del giudice, cui è ispirata la disciplina
dell’astensione, si pone in modo diverso in riferimento,
rispettivamente, alla pluralità dei gradi del giudizio ed alla
semplice articolazione dell’iter processuale attraverso più fasi
sequenziali, necessarie od eventuali. Premessa questa in base
alla quale è stato reiteratamente escluso che il suddetto principio

in riferimento a&i artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.

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sia stato violato con riguardo a varie tipologie di procedimenti
bifasici.
Il prospettato vulnus agli arti. 24 e 111 Cost., secondo il
giudice delle leggi, non trova poi giustificazione ed è anzi
inequivocabilmente smentito dal ruolo e dalla funzione che
assume la richiamata fase oppositolia nella struttura del giudizio
delle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei
licenziamenti di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970.
Nella fase oppositoria la cognizione si espande in ragione
non solo del nuovo apporto probatorio, ma anche perchè in tale
giudizio possono essere dedotte circostanze di fatto ed allegati
argomenti giuridici anche differenti da quelli già dedotti nonché
prove ulteriori, anche alla luce della pressoché totale assenza di
preclusioni e decadenze per le parti. In definitiva è ravvisabile
nella specie un giudizio unico anche se contraddistinto da due
fasi, in conformità, del resto, al diritto vivente ormai
univocamente formatosi sulla questione. Pertanto il fatto che
entrambe le fasi di detto unico grado del giudizio possano essere
svolte dal medesimo magistrato non confligge con il principio di
terzietà del giudice e si rivela invece funzionale all’attuazione del
principio del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole
durata. E ciò a vantaggio, anche e soprattutto, del lavoratore, il
quale, in virtù dell’effetto anticipatorio (potenzialmente idoneo
anche ad acquisire carattere definitivo) dell’ordinanza che chiude
la fase sommaria, può conseguire una immediata, o comunque
più celere, tutela dei propri diritti, mentre la successiva, ed
eventuale, fase a cognizione piena è volta a garantire alle parti,
che non restino soddisfatte del contenuto dell’ordinanza opposta,
una pronuncia più pregnante e completa.
5. Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha dato ampiamente conto delle ragioni
in base alle quali il licenziamento è stato ritenuto illegittimo.

di primo grado e nel complessivo contesto del nuovo rito speciale

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In particolare ha precisato che mancava non solo la prova
del concorso fraudolento del Menoni nella conclusione dei
contratti di acquisto e vendita in questione, ma altresì di un
comportamento colposo a lui in concreto ascrivibile, sotto il
profilo dell’omesso esercizio dei compiti di vigilanza e controllo,
tali da integrare la giusta causa e il giustificato motivo di

licenziamento.
Detta prova, ha aggiunto, era in definitiva fondata sulla
sola affermazione, più volte ribadita dalla attuale ricorrente,
secondo cui, per il ruolo rivestito dal Menoni, doveva ritenersi
inverosimile che egli non fosse a conoscenza delle pratiche
commerciali illecite dei suoi sottoposti con i quali discuteva
costantemente di risultati e strategie commerciali.
Ma tale affermazione, ad avviso della Corte territoriale, era
priva di qualsiasi riscontro, dovendosi rimarcare che l’operazione
censurata, perfezionata in danno della Telecom attraverso due
distinti contratti di leasing, costituiva l’esito di una complessiva
ed unitaria trattativa commerciale condotta in porto già nel
giugno del 2009 da due superiori gerarchici del Menoni,
trattativa alla quale il medesimo non risultava aver partecipato.
Era stato infatti documentato che furono costoro ad autorizzare
e sottoscrivere, per conto di Telecom, le condizioni commerciali
tanto del primo che del secondo contratto, e che fu uno di essi a
sottoscrivere per accettazione quella che, nella comune
intenzione dei contraenti, già allora risultava essere la prima
parte della fornitura che Telecom si era impegnata a garantire
alla Telecom.
In tale contesto, anche la sottoscrizione, per accettazione,
della proposta contrattuale di Bora s.r.l. relativa al secondo
contratto, veniva ad atteggiarsi come atto di mera esecuzione di
un accordo definito nei dettagli già tre mesi prima dai superiori
gerarchici del Menoni e della cui regolarità il medesimo, stante la
documentazione sottostante in suo possesso o alla quale

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comunque poteva avere accesso in ragione della funzione
rivestita, non aveva ragione di dubitare.
In definitiva non vi erano elementi per sostenere che il
Menon.i avesse preso parte al contesto delittuoso prospettato
dalla società ovvero che il suo comportamento fosse connotato
da colpa grave, essendo piuttosto emersa la marginalità della
contestazione.
A fronte di tali affermazioni, la ricorrente prospetta una
diversa lettura delle risultanze probatorie, riproponendo in
questa sede le medesime censure cui il giudice d’appello ha dato
adeguata risposta e chiedendo sostanzialmente un riesame della
vicenda, senza considerare che il ricorso per cassazione non
introduce un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la
mera ingiustizia della sentenza impugnata e che non è
consentito alla Corte di cassazione riesaminare e valutare il
merito della causa ovvero effettuare nuovi accertamenti o
apprezzamenti di fatto.
6. Il terzo motivo è fondato.
La Corte di merito, pur dando atto che la voce “incentivo
venditori” faceva parte della “retribuzione variabile”, ha ritenuto
che tale ernolumento dovesse essere incluso nella retribuzione
globale di fatto da corrispondere al Menoni, atteso che dai
documenti prodotti risultava la sua erogazione negli anni
precedenti il licenziamento, onde non v’era ragione per ritenere,
“sulla scorta dei criteri adottati dalla società per l’elaborazione
del piano incentivi”, che anche negli anni successivi il Menoni
non avrebbe raggiunto gli obiettivi che giustificano la voce in
questione.
Senonchè, deve in contrario rilevarsi che, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, la retribuzione globale
di fatto spettante al lavoratore in caso di licenziamento
dichiarato illegittimo ex art. 18 della legge n. 300/70, deve
essere commisurata a quella che il lavoratore avrebbe percepito

sua condotta rispetto alla complessiva vicenda oggetto di

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se avesse lavorato, ad eccezione di quei compensi solo eventuali
e di cui non sia certa la percezione, nonché di quelli legati a
particolari modalità di svolgimento della prestazione ed aventi
normalmente carattere eventuale, occasionale o eccezionale
(Casa. n. 10307/02; Cass. n. 2262/07; Cass. n. 19956/09).
La sentenza impugnata, che ha respinto sul punto
presunzione che anche negli “anni successivi” il Menoni avrebbe
raggiunto gli obiettivi collegati al “piano incentivi”, deve pertanto
essere cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa va decisa, in relazione a tale motivo, nel merito, con la
esclusione, dal risarcimento del danno, della voce “incentivo
venditori”.
7. Avuto riguardo all’esito finale della lite, vanno
confermate le statuizioni sulle spese adottate dai giudici merito,
mentre vanno compensate tra le parti le spese del presente
giudizio.
Non sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1

quater, D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso ed accoglie il terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e,
decidendo nel merito, dichiara che la voce relativa allo “incentivo
venditori” non rientra nella retribuzione globale di fatto dovuta a
Menoni Fabrizio. Compensa tra le parti le spese del presente
giudizio. Conferma le statuizioni sulle spese adottate dai giudici
di merito.
Ai sensi all’art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, non

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

l’impugnazione proposta dalla Telecom sulla base della mera

R.G. n.445581.4
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V-4. 22/(4120(5

Così deciso in Roma in data 22 aprile 2015.

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