Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15065 del 21/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 21/07/2016, (ud. 13/05/2016, dep. 21/07/2016), n.15065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIUALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2842-2012 proposto da:

T.S., (OMISSIS), T.W. (OMISSIS), elettivamente

domiciliate in ROMA, Via Fabio Massimo 60, presso lo studio

dell’avvocato MARIO PISTOLESE, che le rappresenta e difende, come da

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.T., B.M.L., B.V.,

B.L., B.A.R., B.S., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Properzio 27, presso lo studio

dell’avvocato Salvatore DE SARNO, che le rappresenta e difende come

da procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

S.I., B.P.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 3821/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

uditi gli avvocati Pistoiese e De Sauro, che si riportano agli atti e

alle conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, Russo Libertino Alberto, che

conclude per l’iprocedibilità del ricorso e in subordine per

l’accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione ritualmente notificato, B.O. evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, T.V. e S., premettendo di essere proprietario di un appartamento sito al primo piano, int. 2, dell’immobile in (OMISSIS), sottostante il quale era situato un locale, destinato a ristorante, di proprietà delle convenute, condotto in locazione da F.M.. Precisava, in particolare, che sul cortile adiacente a questo, circa cinque anni prima, era stato realizzato, in sostituzione di una tettoia preesistente, un manufatto in eternit e plastica, insistente su due muretti laterali, e appoggiato alla parte retrostante del fabbricato, ove si trovava la sua unità immobiliare, ubicato a una distanza inferiore a quella prevista dalle leggi e dal piano regolatore del Comune di Roma, distanza di soli m. 1,18 dal suo terrazzo. Tanto premesso, evidenziato che il manufatto recava danno alla sua proprietà, anche per le dimensioni e perchè consentiva il facile accesso alla sua abitazione, esposta al pericolo di furti, chiedeva ordinarsi l’arretramento della costruzione sino alla distanza minima di legge, sia in verticale sia in orizzontale, con abbattimento di quanto costruito in violazione della distanza legale e condanna al risarcimento dei danni subiti, nella misura da quantificarsi in corso di lite, e, comunque, da liquidarsi in via equitativa.

Si costituivano T.V. e S., rappresentando che il manufatto, che non esponeva a pericolo di accesso di ladri cd era costruito in aderenza al muro della proprietà condominiale, era esistito nel medesimo stato, da oltre venti anni, risultando migliorato con sovrapposizione di materiale ami rumore. Concludevano i convenuti perchè fosse respinta l’avversa pretesa e, in via subordinata, dichiarata l’intervenuta usucapione del diritto a mantenere il manufatto nelle condizioni in cui era, per il decorso del termine di legge.

Acquisita la documentazione prodotta dalle parti, raccolte le prove orali ed espletate due consulenze d’ufficio, il Tribunale respingeva sia la domanda di parte attrice, sia quella riconvenzionale.

2. – Avverso tale decisione proponevano appello S.I., B.L., B.S., B.P., B.V., Rifarmi Anna Rita, B.T., B.M.L. nella qualità di eredi di B.O..

Si costituivano T.S. e W., chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale per l’accoglimento della domanda di usucapione.

3. La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 21 settembre 2011, accoglieva parzialmente il gravame e ordinava l’abbassamento e l’arretramento del manufatto oggetto di causa, condannando T.S. e V. a risarcimento del danno nella misura di curo 5.000. Veniva respinto, invece, l’appello incidentale.

4. – Per la cassazione della pronuncia della Corte d’appello di Roma hanno proposto ricorso T.S. e V. sulla base di due motivi. B.L., B.S., B.V., B.A.R., B.T., B.M.L. nella qualità di eredi di B.O., hanno resistito con controricorso. Le altre parti sono rimaste intimate. Le ricorrenti hanno depositato memoria, mentre l’avv. De Sarno, difensore delle controricorrenti ha depositato osservazioni scritte in replica alle conclusioni del Procuratore Generale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

1.1 – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 345 c.p.c. Con tale primo motivo di ricorso, si censura il provvedimento impugnato laddove, violando l’art. 345 c.p.c. e disattendendo la giurisprudenza di legittimità sul punto, la corte territoriale non ha ritenuto essere domanda nuova quella dedotta in appello dalle controparti, ai sensi dell’art. 907 c.c., nonostante il primo grado di giudizio avesse originariamente ad oggetto l’applicabilità alla fattispecie dedotta dell’art. 873 c.c. e poi – inammissibilmente – l’art. 905 c.c. 1.2 – Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1158 c.c. Le ricorrenti, in particolare, lamentano l’erroneità del rigetto dell’appello incidentale proposto allo scopo di sentir dichiarare l’intervenuta usucapione dei diritti reali esercitati da illo tempore sulla copertura oggetto del presente giudizio, ovvero, il diritto a mantenerne la servitù nello stato di fatto e di diritto in cui è stata da sempre esercitata. Nel corso del giudizio di merito, infatti, secondo le ricorrenti, sarebbe stata raggiunta la prova del decorso del termine ventennale previsto dalla legge per l’usucapione del diritto a mantenere il manufatto dedotto nelle stesse medesime condizioni di fatto e di diritto in cui si trova attualmente in quanto dagli atti emergerebbe la prova documentale e testimoniale della realizzazione della struttura ben oltre i 20 anni previsti a tal fine dalla legge.

2. Il ricorso è improcedibile.

Come correttamente osservato da Procuratore Generale di udienza, i ricorrenti in ricorso hanno chiarito di voler impugnare la sentenza in questione, dichiarandone l’avvenuta notifica in data 7 dicembre 2012. Hanno però depositato copia autentica della sentenza in questione, come del resto risulta anche dal ricorso, ultima pagina, penultimo paragrafo (“in via istruttoria si deposita copia autentica della sentenza impugnata…”). Tale documento doveva essere depositato ai sensi dell’art. 369 c.p.c.. E’ stata invece, come si è detto, depositata la copia autentica della sentenza impugnata, priva della relata di notifica. In tale situazione, questa Corte, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, deve rilevare che la parte ricorrente non ha ottemperato all’onere del deposito della copia notificata della sentenza impugnata entro il termine di cui all’art. 369, comma 1 e dichiarare il ricorso improcedibile, atteso che il riscontro dell’improcedibilità del ricorso per cassazione precede quello dell’eventuale sua inammissibilità (Cass. n. 7469 del 2014 – Rv. 630613; Cass. n. 3564 del 2016 – Rv. 638916).

3. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 3.000,00 (tremila) Euro per compensi e 200,00 (duecento) Euro per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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