Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15063 del 15/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/07/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 15/07/2020), n.15063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 12811-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato RAFFAELE LOCANTORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8980/14/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 16/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ENZA

LA TORRE.

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Campania, meglio indicata in epigrafe, che, in controversia su impugnazione avviso di accertamento IRPEF, anno 2011 – a mezzo del quale l’Ufficio ha accertato un maggior reddito di partecipazione nella società “RIND di D.C. s.a.s.”, cancellata dal registro delle imprese nell’anno 2010- ha accolto l’appello del contribuente, in riforma della sentenza della CTP.

La CTP, disposta l’integrazione del contraddittorio e dato atto della sentenza di rigetto emessa nei confronti della società (CTP 15284/14/16 dep. 22.9.2016), aveva rigettato il ricorso del contribuente per l’avvenuta definitività del giudizio proposto dalla Società Rind s.a.s., -, passata in giudicato per mancata impugnazione – che rendeva incontestabile l’accertamento nei confronti della Società per l’anno 2011, con conseguente ripartizione del reddito in favore dei soci.

Proponeva appello il socio C.D. deducendo la nullità della sentenza che aveva rigettato il ricorso della società per violazione del contraddittorio ribadendo la nullità dell’accertamento anno 2011 relativo a società cancellata.

La CTR, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 14815 del 2008, ha ritenuto – a differenza del giudice di prime cure – che la sentenza resa nel giudizio avverso l’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società fosse inopponibile ai soci, in quanto illegittimamente pretermessi e, di conseguenza, il prodromico avviso di accertamento non fosse definitivo; affermava che la sentenza nei confronti della società non era suscettibile di acquisire efficacia di giudicato rispetto ai soci illegittimamente pretermessi.

Ciò posto ha ritenuto che l’avviso di accertamento notificato ad una società estinta e cancellata dal registro delle imprese è affetto da nullità, con conseguente nullità – per derivazione – dell’avviso di accertamento notificato al socio.

C.D. si costituisce con controricorso e deposita memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso è affidato a due motivi;

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato e del divieto di nova in appello; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR esaminato il merito dell’avviso di accertamento della Società, non oggetto del presente giudizio, accogliendo motivi di doglianza del contribuente che avrebbero dovuto essere dichiarati inammissibili poichè sollevati solo in appello;

Il primo motivo coinvolge la questione della qualificazione come nuovo di un motivo di appello riconducibile allo svolgimento del processo di primo grado.

Il divieto dei nova in appello, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, per il giudizio tributario, quale estensione dell’art. 345 c.p.c., per il giudizio contenzioso ordinario (Cass., n. 6391/2013), riguarda le domande, le eccezioni in senso stretto e le contestazioni in punto di fatto non esplicate in primo grado, le quali sono inammissibili se formulate dopo il primo grado (Cass., n. 2829/2018).

La domanda nuova in appello quale quella con cui si fa valere un fatto giuridico avente efficacia impeditiva, modificativa o estintiva della pretesa fiscale, da cui derivano il mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione, implicando la deduzione di fatti che richiedono una specifica indagine, non effettuabile per la prima volta in appello. (Cass. n. 27562 del 30/10/2018; Sez. 6 5, Ordinanza n. 31224 del 29/12/2017).

Per valutare l’atto di appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, deve aversi riguardo al thema decidendum, così come definito in primo grado.

Tuttavia, fermo restando il divieto di un’inammissibile mutatio libelli e delle preclusioni previste dalla legge, la causa petendi può in corso del giudizio arricchirsi di nuovi elementi a seguito delle richieste formulate e dei poteri riconosciuti alle parti ed al giudice. Non incorre, pertanto, nella violazione dell’art. 112 c.p.c., per ultrapetizione, la sentenza della CTR che, ritenendo ammissibile l’appello, in quanto ossequioso del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, avendo riguardo al thema decidendum così per come definito in primo grado, lo decida nel merito. La violazione del divieto di ultrapetizione ricorre solo qualora il giudice sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass., n. 5153/2019).

Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nonchè del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’avviso di accertamento della società si è reso definitivo anche nei confronti del socio, che non ha peraltro esperito l’opposizione di terzo. Ciò, pertanto, giustifica l’imputazione del maggior reddito ai fini IRPEF nei confronti dei soci.

Il motivo s’inserisce nella tematica della relazione fra gli effetti del giudicato e la violazione del principio del litisconsorzio necessario, ponendo anche il problema, sul quale non si rinviene una giurisprudenza consolidata, sull’ammissibilità nel processo tributario della opposizione di terzo.

Sotto il primo profilo la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito che, tra i ricorsi proposti dalle società di persone, per impugnare l’avviso di accertamento del proprio reddito, e quelli proposti dai soci, per contestare il conseguente accertamento IRPEF esiste un vincolo di consequenzialità necessaria, ovvero, di pregiudizialità e/o continenza, giacchè i fatti in contestazione sono sostanzialmente gli stessi in entrambi i processi, in quanto dall’accertamento del reddito in capo alla società deriva la ricaduta sui singoli soci, in base a una mera operazione aritmetica. La decisione della causa della società costituisce l’antecedente logico della decisione della causa dei soci e questa, a sua volta, “contiene”, in quanto implica, la decisione sul reddito sociale, anche in mancanza di un giudizio parallelo sulla causa pregiudiziale (Cass. SS.UU. 14815/2008; Cass., nn. 14417/2005, 5366/2006, 9446/2006, 14056/2006, 5932/2007).

Ciononostante, l’asserita sussistenza del vincolo di consequenzialità necessaria tra le cause, esclude che il giudicato sulla causa pregiudiziale possa avere efficacia vincolante sulle cause pregiudicate, ex art. 2909 c.c.. E’ stato ribadito sul punto che il giudicato formatosi a carico di uno dei litisconsorti, ove sia sfavorevole, non pregiudica la posizione degli altri litisconsorti. (Cass., Sez. 6 – 5, Ord. n. 12793 del 06/06/2014). Il che significa che l’impugnazione da parte del socio dell’avviso di accertamento a lui notificato ai fini del recupero dell’Irpef sul reddito di partecipazione, gli consente di rimettere in discussione il reddito prodotto dalla società, benchè sia intervenuta una sentenza passata in giudicato, sfavorevole nei suoi confronti.

Cass. Sez. Un., Sentenza n. 23397 del 17/11/2016; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16730 del 09/08/2016, in materia di prescrizione dei tributi, ma i cui principi hanno valenza generale, hanno affermato che, qualora intervenga una sentenza passata in giudicato relativa ad un atto impositivo, il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l’atto e diventa la sentenza che ha pronunciato sul rapporto, attesa proprio la funzione c.d. sostitutiva del processo tributario.

Nella fattispecie la CTR ha ritenuto, prima, non opponibile al socio, litisconsorte pretermesso, il giudicato parziale sfavorevole formatosi sull’avviso di accertamento del reddito nei confronti della società, e, successivamente, ha dichiarato nullo l’avviso di accertamento, per derivazione dalla nullità dell’accertamento emesso nei confronti della società, in quanto notificato per l’anno 2011 ad una società che cessata nell’anno 2010.

La circostanza che il socio illegittimamente pretermesso poteva esperire l’opposizione di terzo, ex art. 404 c.p.c., come dedotto dall’Agenzia delle entrate, in quanto non prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 50, per il processo tributario, è stata esaminata da Cass. sez. 5 n. 22108/2017), che sul punto ha affermato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 50, richiama, tra i mezzi d’impugnazione, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione, ma non l’opposizione ordinaria di terzo. Stando a questa disposizione, dunque, le sentenze tributarie non parrebbero impugnabili con lo strumento in esame; questa Corte (Cass. 12 gennaio 2012, n. 255), ma solo in obiter, nell’escludere la compatibilità col processo tributario dell’art. 344 c.p.c., secondo il quale “è ammesso soltanto l’intervento dei terzi che potrebbero proporre l’opposizione a norma dell’art. 404 c.p.c., ha appunto fatto leva sulla circostanza che “il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 50, non contempla l’opposizione di terzo tra le impugnazioni esperibili in tale processo”.

Non ricorrono pertanto i presupposti ex art. 375 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte rinvia la causa alla sezione quinta.

Così deciso in Roma, il 4 Marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020

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