Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15062 del 19/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/06/2017, (ud. 21/02/2017, dep.19/06/2017),  n. 15062

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28794/2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.M. C.F. (OMISSIS);

– intimato –

nonchè da:

L.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO

IACOBELLI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3319/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/11/2009 R.G.N. 2279/2007.

Fatto

RILEVATO

Che con sentenza n. 3319/2009, la Corte di Appello di Roma ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda di L.M. ed ha accertato l’illegittimità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane spa per il periodo dal 12.7.2000 al 30.9.2000 ai sensi dell’art. 8 del CCNL e della L. n. 56 del 1987, art. 23, con causale relativa di necessità di espletamento del servizio di recapito in concomitanza di assenze per ferie per il periodo giugno settembre.

Che la Corte ha ritenuto illegittimo il termine per non avere Poste Italiane spa fornito la prova del rispetto della clausola di contingentamento di cui al comma 3 del citato art. 8, che prevede una percentuale di lavoratori assunti a termine non superiore, su base regionale, al 10% del numero dei lavoratori in servizio alla data del 31.12. dell’anno precedente.

Che avverso tale sentenza Poste Italiane spa ha proposto ricorso affidato a tre motivi. Che L. ha resistito con controricorso, svolgendo ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, a cui ha risposto Poste con controricorso. Il L. ha depositando anche memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che i motivi di ricorso hanno riguardato: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non potendo sussistere alcun onere a carico della società di provare il rispetto della clausola di contingentamento, non essendovi stata alcuna deduzione in merito da parte del ricorrente, avendo peraltro Poste allegato un documento contenente dati relativi all’organico complessivo dei lavoratori stabili, sul quale era stata effettuata una media di assunzioni a termine inferiore al 10%; 2) omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, a sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come anche violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2967 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte valutato la documentazione offerta da Poste spa, nonostante avesse ritenuto necessaria la prova documentale pur in presenza di deduzioni generiche e probabilistiche da parte del ricorrente sul punto, senza esercitare i poteri officiosi ex art. 421 c.p.c., propri del giudice del lavoro, che consentono di disporre l’ammissione di mezzi di prova al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile; 3) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 del CCNL, della L. n. 56 del 1987, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte territoriale ritenuto che la violazione della clausola di contingentamento incidesse in via diretta sul piano della relazione negoziale tra le parti, mentre invece la norma avrebbe attinenza non alla singola assunzione ma al complesso delle assunzioni a termine effettuate nell’arco del periodo preso in considerazione, con conseguenze sanzionatorie di tipo risarcitorio in caso di violazione; 4) violazione degli artt. 1206, 1204,1217, 1218, 1233, 2967 c.c., per non avere effettuato la Corte territoriale alcuna verifica in ordine alla effettiva messa in mora da parte del lavoratore e per non aver considerato la possibilità che lo stesso avesse espletato, nelle more, attività lavorativa retribuita, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.

Che la ricorrente società ha chiesto infine l’applicazione dello ius superveniens, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 7;

Che i primi tre motivi di ricorso, i quali possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. Ed infatti è oramai consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui “In tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine di cui alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine previsto dalla contrattazione collettiva, da verificarsi necessariamente sulla base dell’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, è a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3, dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (cfr., da ultimo Cass. n. 1351/2015, Cass. n. 4764/2015). La deduzione attorea, svolta in primo grado e poi ribadita nel ricorso di appello, ha chiaramente contestato il rispetto della percentuale del 10% prevista dalla norma contrattuale di cui all’art. 8 citato; era pertanto onere di Poste fornire prova idonea che dimostrasse il mancato superamento. La corte territoriale ha adeguatamente motivato circa l’inidoneità della documentazione prodotta da Poste spa a fornire la prova del rispetto della percentuale in esame, precisando che la norma contrattuale prevede che tale percentuale del 10% non deve essere superata in nessun momento, non che non debba essere superata come media annuale, così avendo effettuato il calcolo la società. Questa Corte ha ribadito che il rispetto della clausola di contingentamento richiede che la determinazione della percentuale venga effettuata attraverso un computo esatto del numero percentuale dei contratti a termine stipulabili rispetto a quelli a tempo indeterminato, statuendo quindi che la verifica va fatta sempre su dati omogenei e comunque secondo criteri precisi e non approssimativi. Così Cass. n. 3031/2014 in punto di determinazione del numero complessivo dei lavoratori che va effettuato senza che i contratti a tempo determinato part time siano suscettibili di essere considerati secondo il criterio cosiddetto “full time equivalent”, ossia unitariamente fino alla concorrenza dell’orario pieno. Ed ancora Cass. n. 4028/2016 che ha egualmente ribadito la necessità di un criterio certo, precisando che la verifica circa il superamento della soglia percentuale del numero dei lavoratori in servizio deve essere svolta con riferimento alle assunzioni effettuate sino al 31 dicembre dell’anno solare precedente nella stessa regione, sicchè è illegittimo il computo fondato sul diverso criterio limitato alle assunzioni attive nel mese in cui è stato stipulato il contratto impugnato.

Che infine, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, la violazione della clausola di contingentamento incide direttamente sul piano della relazione negoziale tra le parti del singolo rapporto, determinando la nullità del termine.

Che invece va accolto il quarto motivo, ma solo con riferimento all’applicazione dello jus superveniens, costituito dalla normativa di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, come richiesto da parte ricorrente, trattandosi di giudizio “pendente” ai sensi del citato art. 32, comma 7. Sul punto si richiama la recente sentenza di questa Corte a SSUU n. 21691/2016, secondo cui la violazione di norme di diritto di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano norme applicabili perchè dotate di efficacia retroattiva, posto che la proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale della sentenza impedisce il passaggio in giudicato anche della parte dipendente pur in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima. Nel caso in esame la società ricorrente, vittoriosa in primo grado e dunque appellata in secondo grado, ha impugnato con ricorso di cassazione la sentenza di appello nella parte in cui aveva disposto la condanna al risarcimento del danno, denunciando l’errata applicazione degli artt. 1206 c.c. e segg., in punto di esatta determinazione dell’obbligo retributivo con riguardo alla messa in mora. La ricorrente ha quindi proposto ricorso contro la parte principale della decisione, dalla quale dipende, in quanto legata da un nesso di causalità inscindibile, la parte legata alla quantificazione del risarcimento del danno.

Che va invece dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato, sia perchè il ricorso incidentale, ancorchè condizionato, è inammissibile se proposto dalla parte vittoriosa allo scopo di ottenere una modifica della motivazione della sentenza impugnata dalla controparte, perchè privo di interesse, mancando una situazione sfavorevole al ricorrente, ossia una soccombenza (cfr., Cass. n. 15829/2002, Cass. n. 1301072003), sia perchè comunque il ricorrente ha operato la relativa deduzione in fatto (il dato per cui il contratto collettivo invocato sarebbe scaduto nel dicembre 1997, senza essere esplicitamente o implicitamente prorogato fino alla stipula del nuovo contratto avvenuta nel gennaio 2001, con conseguente inapplicabilità del relativo art. 8) per la prima volta in questa sede di legittimità.

Che la sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia con cui è stata disposta la riammissione in servizio (cfr., per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione da calcolarsi a far tempo dalla sentenza dichiarativa della nullità del termine (cfr., Cass. n. 3062/2016).

PQM

 

La Corte accoglie il quarto motivo, rigettati gli altri, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e cassa con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2017

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