Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15061 del 21/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 21/07/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 21/07/2016), n.15061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9871-2011 proposto da:

M.R., (OMISSIS), G.D.R. (OMISSIS), MA.MA.

(OMISSIS), D.G. (OMISSIS), Z.F.R. (OMISSIS),

ZA.MA. nato a (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA A. FRIGGERI 82, presso lo studio dell’avvocato MARIO

FIANDANESE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRANCO DORE;

– ricorrenti –

Nonchè da:

OCE SRL, (OMISSIS), IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 11, presso lo studio

dell’avvocato MARIO CANNATA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MATTI GIOVANNI MICHELE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS) IN PERSONA DELL’AMM.RE P.T.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 120/2010 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZ.DIST. DI SASSARI, depositata il 22/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per la riunione dei ricorsi, e per il

rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 Con atto 13.9.1999, i signori M.R., D.G., G.D.R. e Z.R.F. proprietari di immobili nella palazzina A/1 facente parte del condominio (OMISSIS), convennero davanti alla locale sezione distaccata del Tribunale di Sassari la società OCE, proprietaria del lastrico solare dell’edificio, rimproverandole di avere costruito quattro appartamenti in sopraelevazione mediante utilizzo di cubatura condominiale e senza corrispondere l’indennità prevista dall’art. 1127 c.c. Domandarono pertanto la condanna della società al pagamento della indennità di sopraelevazione e il controvalore della cubatura condominiale asservita per ottenere la concessione edilizia. A tale domanda aderirono anche gli interventori volontari Za.Ma. e Ma.Ma..

La società convenuta contestò la pretesa rilevando che nulla spettava agli attori a titolo di indennità di sopraelevazione perchè con un precedente accordo raggiunto con tutti i condomini si era stabilito che l’ammontare dell’indennità venisse compensata con l’importo di alcuni lavori eseguiti dalla OCE alle parti comuni Domandò pertanto che venisse dichiarata la compensazione dei rispettivi crediti e, in subordine, chiese la condanna del condominio a pagare il corrispettivo della esecuzione dei lavori.

L’amministratore del condominio (OMISSIS) – chiamato in causa – si costituì anch’egli nel giudizio deducendo il difetto di legittimazione passiva rilevando che le questioni esposte dalle parti non coinvolgevano aspetti di rilevanza condominiale.

2 Il Tribunale accolse integralmente la domanda dei condomini mentre la Corte d’Appello di Cagliari – sez. distaccata di Sassari, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dalla OCE, respinse la richiesta di pagamento dell’indennità di sopraelevazione confermando solo la condanna al pagamento del controvalore della cubatura condominiale.

La Corte di merito motivò il proprio convincimento sull’esistenza di un pregresso accordo di compensazione ricavandolo dalla dichiarazione del teste C., ritenuto attendibile in base ad una serie di elementi di riscontro (natura dei lavori eseguiti dalla COE per lo più sulle parti comuni; mancanza di una delibera condominiale riguardante l’esecuzione e mancanza di prova dell’esecuzione dei lavori da parte della OCE per mero spirito di liberalità). Considerò inoltre che i lavori in questione erano diversi da quelli riguardanti le proprietà dei singoli condomini.

3 Per la cassazione della sentenza gli originari attori e interventori hanno proposto ricorso con tre motivi a cui resiste la OCE con controricorso contenente ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.

Il Condominio (OMISSIS) non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 342, 346 e 112 c.p.c.: la Corte di merito avrebbe dovuto dichiarare inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di appello della OCE sul contenuto della deposizione del teste O. perchè la censura era focalizzata sul tema dell’incapacità testimoniale ex art. 246 c.p.c, mai affrontato dal Tribunale, che invece aveva motivato solo sulla credibilità del teste, escludendola per l’esistenza di un mero interesse di fatto nella lite.

2. Con il secondo motivo si deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione di legge e omesso rilievo del giudicato interno in relazione agli artt. 324 e 112 c.p.c. e art. 2909 c.c.: secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare che sull’attendibilità del teste O. la OCE non aveva proposto nessun motivo di gravame e che pertanto si era formato il giudicato interno.

I primi due motivi di ricorso – che ben si prestano a trattazione unitaria – sono infondati.

Nel caso di specie, come si evince dalla sentenza impugnata (v. pag. 5) ma anche dalla riproduzione della motivazione della sentenza di primo grado fattane dal ricorrente (v. pag. 8), il Tribunale aveva ritenuto non provato l’accordo di compensazione perchè “la deposizione resa sul punto dal teste di parte appellante O. non poteva ritenersi credibile a cagione del fatto che il teste predetto all’epoca dei fatti risultava socio di altra società (srl ECOF) risultata soccombente in analoga controversia per altra palazzina sita nel medesimo complesso edilizio (OMISSIS)”. Secondo il Tribunale, il teste O. per tali ragioni aveva un interesse in causa “se non di diritto, quantomeno in fatto e pertanto la sua isolata testimonianza non può essere valutata positivamente sotto il profilo probatorio”.

Tali passaggi argomentativi non lasciano dubbio sul fatto che la valenza probatoria della dichiarazione del teste O. sia stata scartata dal Tribunale non per incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c., ma sotto il profilo della mancanza di attendibilità (si noti il riferimento all’interesse “se non di diritto, quanto meno in fatto” a che la controversia fosse decisa in un certo modo, proprio per il suo coinvolgimento in una vicenda analoga).

Ciò premesso, rileva il Collegio sulla scorta di un orientamento diffuso nella giurisprudenza di legittimità – che in tema di appello, il requisito della specificità dei motivi, di cui all’art. 342 c.p.c., deve ritenersi sussistente, secondo una verifica da effettuarsi in concreto, quando l’atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, sì da consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva, mentre non è richiesta nè l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, nè una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione (v. Sez. 3, Sentenza n. 22502 del 23/10/2014 Rv. 633096; Sez. 3, Sentenza n. 17960 del 24/08/2007 Rv. 598950).

Nel caso di specie le argomentazioni a sostegno della mancanza di un interesse di fatto rispetto al giudizio erano state utilizzate dalla società appellante non solo per sostenere la tesi dell’insussistenza dell’incapacità a deporre ex art. 246 c.p.c., ma anche per censurare la mancata valutazione delle dichiarazioni del teste “secondo il criterio del libero apprezzamento” e “nel quadro delle complessive risultanze probatorie” (v. pagg. 10 e 11 ricorso). Ciò sta a significare che una critica sul giudizio di inattendibilità del teste era stata comunque proposta e pertanto la censura non era priva del requisito di specificità nel senso sopra inteso perchè è evidente che il nucleo della censura mossa dalla O.C.E. era costituito dalla mancata considerazione, da parte del Tribunale, della deposizione del teste.

L’onere di specificità dei motivi di appello deve infatti ritenersi assolto quando, anche in assenza di una formalistica enunciazione, le argomentazioni contrapposte dall’appellante a quelle esposte nella decisione gravata siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico (tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 18307 del 18/09/2015 Rv. 636741; Sez. 1, Sentenza n. 22781 del 27/10/2014 Rv. 632982; Sez. O, Sentenza n. 23299 del 09/11/2011 Rv. 620062; Sez. 2, Sentenza n. 1924 del 27/01/2011 Rv. 616309; Sez. 1, Sentenza n. 24834 del 24/11/2005 (Rv. 585023).

3 Col terzo ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione dolendosi dell’erronea valutazione della deposizione del teste O.. Rilevano che contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello – il teste aveva parlato di un accordo raggiunto dalla OCE con l’amministratore ma non con i singoli condomini perchè il capitolo di prova distinto con lett. A) era stato rettificato dal giudice istruttore il quale aveva eliminato la frase “tra tutti i condomini”. Ritengono pertanto che, al più, vi sarebbe stato un accordo con l’amministratore ed in ogni caso, emendato il capitolo di prova, mancherebbe addirittura la deduzione, da parte della OCE, di un avvenuto accordo con i condomini. La mancanza della prova di un accordo rendeva pertanto, ad avviso dei ricorrenti, inaccettabile la conclusione della Corte d’Appello.

Il motivo è infondato perchè si risolve in una alternativa ricostruzione delle risultanze processuali (deposizione del teste O. e sua interpretazione), che il giudizio di legittimità non permette.

Infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

Nel caso di specie, si è fuori da tale ipotesi estrema perchè la Corte d’Appello ha dato conto in maniera adeguata e logicamente coerente della favorevole valutazione della deposizione del teste sull’esistenza di un accordo di compensazione evidenziando quegli elementi, che secondo il proprio apprezzamento, deponevano per la credibilità della deposizione (lavori alle parti comuni, mancanza di una espressa delibera condominiale riguardante l’esecuzione e l’affidamento degli stessi e mancanza di prova dell’esecuzione da parte della OCE per mero spirito di liberalità).

4 Occorre a questo punto esaminare il ricorso incidentale con cui la OCE denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione dell’art. 24 Cost., artt. 101, 112 e 194 c.p.c. e art. 90 disp. att. c.p.c. nonchè omessa pronuncia, difetto e/o insufficienza di motivazione. Lamenta lo svolgimento delle operazioni di consulenza tecnica in violazione del diritto di intervento e assistenza spettante alle parti. Rimprovera in particolare alla Corte d’Appello di non avere dato una risposta alla doglianza con cui si denunciava la nullità insanabile della consulenza tecnica per mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali con conseguente impossibilità per la società di nominare un proprio tecnico di parte.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., n. 6).

In tema di consulenza tecnica d’ufficio, l’omesso avviso dell’inizio delle operazioni del consulente, da effettuarsi ai sensi dell’art. 91 disp. att. c.p.c., configura un caso di nullità relativa, che la parte interessata è onerata a far valere nella prima istanza o difesa utile successiva al deposito della relazione dell’ausiliario del giudice, verificandosi, in caso di mancata proposizione tempestiva della relativa eccezione, la sanatoria della suddetta nullità (Sez. 3, Sentenza n. 7243 del 29/03/2006 Rv. 588129; Sez. 3, Sentenza n. 746 del 14/01/2011 Rv. 615522 non massimata; Sez. 1, Sentenza n. 10870 del 01/10/1999 Rv. 530395).

Nel caso in esame, però, il ricorso incidentale omette completamente di precisare se una tale nullità (che la Corte d’Appello avrebbe tralasciato di esaminare) venne tempestivamente eccepita davanti al giudice di merito (cioè come si è detto – nella prima istanza o difesa utile successiva al deposito della relazione) e pertanto, in mancanza di tale dato essenziale, non assolve all’onere di specificità.

Infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (v. tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 15367 del 04/07/2014 Rv. 631768; Sez. 2, Sentenza n. 6361 del 19/03/2007 Rv. 596820).

PQM

rigetta i ricorsi e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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