Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15057 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. I, 28/05/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 28/05/2021), n.15057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20972/2020 proposto da:

M.F.S.P., elettivamente domiciliato in Pescara

presso lo Studio dell’avv. Danilo Colavincenzo, in via Anton

Ludovico Antinori nr 6;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Foggia, Ministero Dell’interno;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il

09/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale di L’Aquila respingeva l’opposizione di M.F.S.P., cittadino del (OMISSIS), avverso la decisione della competente Commissione territoriale di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il primo giudice riteneva che dal racconto reso in fase amministrativa – nel quale il richiedente riferiva di essere fuggito dal proprio Paese, il (OMISSIS), in seguito ad un diverbio scoppiato nella sua abitazione nel corso del quale il richiedente aveva ferito al costato uno dei figli del marito di sua madre per difendere la propria fidanzata – l’insussistenza dei presupposti della protezione invocata, avendo la vicenda narrata una valenza di lite privata civile non integrativa per il richiedente di un rischio effettivo di soffrire trattamenti inumani o degradanti o di persecuzioni.

Il Tribunale escludeva l’esistenza nel Paese di provenienza di una situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato come definita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e situazioni di particolare vulnerabilità legittimanti il riconoscimento della protezione umanitaria.

Avverso tale decreto M.F.S.P. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero è rimasto intimato.

Con il primo motivo si censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h), art. 3, comma 3, lett. a), b) e c), comma 5, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e comma 3 sostenendo che il Tribunale non si sarebbe attenuto ai principi di individualità, imparzialità e obbiettività e al peculiare regime probatorio che regolano l’esame della domanda di protezione internazionale nonchè ai principi di unità della domanda e di stretta attualità per non aver ritenuto sussistente il rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 14, lett. b) e c).

Si critica il decreto nella parte in cui, pur rilevando la presenza di un pericoloso e non controllabile conflitto generante violenza indiscriminata ne avrebbe ridotto la pertinenza, rispetto alla situazione personale del richiedente e al timore di essere colpito, in ragione di una collocazione territoriale del conflitto senza tenere nel debito conto di tutti gli elementi rappresentati dal richiedente e delle fonti più aggiornate.

Con il secondo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), b) e c) comma 5, lett c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e comma 3 nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Si critica la valutazione dei presupposti fattuali per il riconoscimento della protezione umanitaria evidenziando come il Tribunale, pur dando atto delle plurime violazioni dei diritti umani, abbia escluso una qualsiasi relazione fra la sfera giuridica del ricorrente e le predette violazione.

Con il terzo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti in ordine alle condizioni del Paese di provenienza, del passaggio in Libia e della separazione dalla compagna in ordine ai presupposti per la concessione della protezione umanitaria.

Il primo motivo è infondato.

Il Tribunale, invero, ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ritenendo di non poter ravvisare, in fatto, una situazione concretamente riconducibile alla previsione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sul rilievo che, in (OMISSIS) – come emerge dalla relazione annuale di Amnesty International 2017/2018 (v. il decreto impugnato, p.14 e 15) osservatorio del diritto umani articolo del 20.1.2020 – non sussiste, pur a fronte di fenomeni di insurrezione da parte del gruppo jihadista (OMISSIS) e delle proteste della minoranza anglofona, alcun conflitto armato interno o internazionale.

Ritiene, al riguardo, la Corte che, a fronte di tale accertamento in fatto, che ha riguardato tanto le violenze perpetrate da (OMISSIS) quanto le manifestazioni di proteste operate dalla minoranza anglofona, non censurato dal ricorrente per omesso esame di uno o più fatti decisivi specificamente dedotti, la decisione assunta dal giudice di merito si sottrae alle censure svolte in ricorso.

In effetti, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h) e, in termini identici, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), definiscono “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese.

Il D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, comma 1, a sua volta, dispone che il “danno grave” sussiste, tra l’altro, nell’ipotesi di “c)… minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Nel caso di specie, come visto, non è risultato, in punto di fatto, che il ricorrente, in caso di rientro in patria, possa ricevere una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona in ragione della violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Ed è, invece, noto, che, in materia di riconoscimento della protezione sussidiaria allo straniero, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, per cui il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019; Cass. n. 9090 del 2019; Cass. n. 14006 del 2018).

Del tutto infondata è, infine, la censura concernente, la risalenza nel tempo delle fonti di informazione utilizzate.

Sul punto non può che ribadirsi il principio per cui, in tema di protezione sussidiarla, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, e il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei soli limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 30105 del 2018).

In effetti, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria che in tema di protezione internazionale grava sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere, rimasto inadempiuto nel caso di specie, di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019).

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso che vanno trattati congiuntamente per l’intima connessione sono infondati.

Occorre premettere che la protezione umanitaria, in effetti, è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

Nel caso di specie, il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, che il richiedente, non presenta una situazione di vulnerabilità personale che possa giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari non avendo fornito prova in merito all’interazione concreta ed effettiva del richiedente nel Paese ospitante. Inoltre, il Tribunale ha esaminato il contesto interno del (OMISSIS), Paese di origine del richiedente, rilevandone che quantunque siano attuati violazione dei diritti umani tale situazione non comporta una condizione di vulnerabilità la cui storia valutata in concreto non è segnata da episodi nei quali lo stesso ha dovuto confrontarsi con le criticità dell’impianto democratico del paese di provenienza. La doglianza in esame non indica alcun elemento individualizzante che il giudice di merito avrebbe ingiustamente sottovalutato.

Il ricorrente si duole infatti della mancata valorizzazione della condizione di insicurezza esistente in Patria, ma questo elemento, da solo, non è sufficiente ai fini del riconoscimento della protezione invocata, posto che in tema di umanitaria è onere del richiedente dimostrare che il rimpatrio lo esporrebbe al rischio di effettiva compromissione del nucleo inalienabile dei diritti umani fondamentali (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298).

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata.

Nel caso di specie, però, ciò non è accaduto: il ricorrente, infatti, a fronte dell’apprezzamento svolto dal giudice di merito in ordine alla sua mancata integrazione socio-lavorativa, non ha specificamente indicato, pur avendone l’onere (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, pur se dedotti in giudizio, siano stati del tutto omessi dal giudice di merito nè, infine, la loro decisività ai fini di una diversa e a lui favorevole pronuncia.

Nè si può riconoscere il carattere di decisività alle circostanze dedotte dal ricorrente (passaggio in Libia e separazione della compagnia) ai fini della concessione della misura invocata non incidendo sulla condizione di vulnerabilità Come peraltro affermato più volte da questa Corte di legittimità – al fine della valutazione della condizione di vulnerabilità non rileva il paese di transito, quanto piuttosto il paese di rimpatrio (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018).

Il ricorso va rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva.

Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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