Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15055 del 21/07/2016

Cassazione civile sez. II, 21/07/2016, (ud. 30/03/2016, dep. 21/07/2016), n.15055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30056-2011 proposto da:

T.G., (OMISSIS), I.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 17,

presso lo studio dell’avvocato ORESTE CANTILLO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCESCO PARISI;

– ricorrenti –

contro

L.P.,(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 111, presso lo studio dell’avvocato LUCIO IANNOTTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DIANA ANGELA PUNZI giusta

procura speciale per Notaio dott.ssa Giuseppina Cassese del

22.3.2016 in Buccino Rep. n. 278;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 950/2010 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 21/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato ORESTE CANTILLO, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LUCIO IANNOTTA, con delega dell’Avvocato DIANA

ANGELA PUNZI difensore del resistente, che ha chiesto il rigetto del

ricorso contestando oralmente i motivi del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo e rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.P. con atto di citazione del 4 febbraio 1997 dichiarando di essere proprietario di un fondo sito nella località (OMISSIS) in catasto alla partita n. 10361 foglio 17 particella 132 conveniva davanti al giudice di Pace di Boccino, i coniugi T.G. e I.F., proprietari di un terreno contiguo perchè fosse ordinata l’apposizione d termini tra i due fondi confinanti. Si costituivano i convenuti contestando la pretesa dell’attore ed eccependo l’usucapione di una porzione del fondo in questione per effetto del possesso continuato protrattasi per oltre un ventennio. In ragione di tali richieste il Giudice di Pace adito dichiarava la sua incompetenza e rinviava le parti davanti al Tribunale di Salerno e assegnava alle parti il termine di giorni sessanta per la riassunzione della causa. L.P. riassumeva a causa davanti al Tribunale di Salerno integrando la propria domanda con l’ulteriore richiesta di condanna dei convenuti a restituire il terreno dello stesso istante così come descritto nella consulenza redatta dal geom. P.G., nonchè al risarcimento dei danni da liquidare in separata sede. Si costituivano i coniugi convenuti insistendo per il rigetto della domanda attorea perchè in fondata ed inammissibile. In particolare riformularono la domanda di usucapione già proposta nel precedente giudizio.

Il Tribunale di Salerno con sentenza n. 4044 del 2006 accoglieva l’eccezione di usucapione e determinava il confine in quello costituita da una recinzione in muratura e rete metallica con tre cippi nei tre angoli su quattro così come individuato dal CTU. Avverso questa sentenza proponeva appello L.P.: 1) per -errata interpretazione e violazione di legge ex art. 1158 c.c., 2) per violazione del contraddittorio, poichè era litisconsorte necessaria M.M. comproprietaria, pretermessa. 3) per errata valutazione della consulenza tecnica di ufficio. Chiedeva, pertanto, la riforma della sentenza impugnata.

Si costituivano i convenuti T. e I. chiedendo che l’appello venisse rigettato perchè infondato in quanto il giudice era stato adito dallo stesso appellante che lamentava il difetto nel contraddittorio con la comproprietaria e legittimata attivamente, inoltre perchè gli apeplati e loro dante causa avevano ininterrottamente posseduto il fondo nella zona del confine come delimitato dalla recinzione ed ai cippi. Per altro evidenziavano gli appellati era stato L. che nel 1988 aveva cercato di appropriarsi con violenza e clandestinità di una fascia di terreno non suo come risultava dalla sentenza possessoria prodotta in giudizio.

La Corte di appello di Salerno con sentenza n. 950 del 2010 accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava l’esatto confine come delimitato dalla direttrice che univa i cippi opposti dal CTU, durante le operazioni, condannava gli appellati al rilascio della fascia di terreno, oggetto di controversia, perchè occupata abusivamente, condannava gli stessi;

appellati al risarcimento dei danni che liquidava Euro 2658,30 oltre rivalutazione ed interessi legali, nonchè alla rifusione delle spese processuali.

A sostegno di questa decisione la Corte di Appello di Salerno osservava: a) che il Tribunale nel determinare i confini di che trattasi non avrebbe tenuto conto dei titoli di proprietà e senza attribuire adeguato rilievo ai dati risultanti dalle mappe catastali cui si era, invece, riportato il CTU. Piuttosto i confini dovevano essere identificati come indicato dal C.T.U. con l’indicazione dei cippi a suo tempo opposti con picchetti colorati, b) L’eccezione di usucapione andava rigettata, perchè alla luce dei dati di fatto acquisiti al processo si desumerebbe che il possesso uti dominus non era mai stato pacifico ed ininterrotto per un ventennio da parte dei coniugi T. e I.; e nemmeno era dato sapere che cosa fosse successo prima che essi si impossessassero del fondo ed, in particolare, se essi coltivassero anche per conto dei genitori e dei suoceri.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da T.G. e I.F. con ricorso affidato a sei motivi.

In data 29 marzo 2016 L.P. si è costituito depositando procura notarile nominando quale suo procuratore l’avv. Punzi Diana Angela.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo del ricorso T.G. e I.F. denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe ordinato i rilascio di un fascia di terreno maggiore di quella richiesta e cioè di mq 177 in luogo di mq. 161,30. E di più la Corte distrettuale avrebbe esorbitato i limiti della domanda attorea condannando i ricorrenti al risarcimento del danno in favore de L. considerando una estensione del terreno di mq 177 quando invece l’originario attore aveva chiesto la restituzione di un’estensione minore pari a mq 160,30.

1.1.= Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

E’ orientamento pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, che, considerato che l’azione di regolamento di confini tende a far accertare l’esatta linea di confine di demarcazione tra il fondo di proprietà dell’attore e quello del convenuto, allegandone l’oggettiva incertezza oppure contestando che il confine di fatto corrisponda a quello indicato nei rispettivi titoli di acquisto, la restituzione di una porzione di terreno a confine (risultata illegittimamente nel possesso della parte convenuta che abbia eseguito, eventualmente, anche opere illegali) si pone come mero corollario dell’invocato accertamento e non necessita di una domanda specifica (v. Cass. 24 febbraio 1996, n. 1446). La stessa giurisprudenza ha precisato che nell’azione di regolamento di confini l’attore è dispensato dal proporre un’espressa domanda di rilascio della porzione di terreno indebitamente occupata dalla controparte, essendo implicita nella proposizione della indicata azione, onde la sua specificazione all’atto della precisazione delle conclusioni (ancorchè non esplicitata fin dall’atto di citazione) non è ricollegabile alla proposizione di una domanda inammissibile (cfr., ad es., Cass. 22 settembre 2000, n. 12573, e Cass. 16 gennaio 2007, n. 858), senza che, perciò, il giudice, accogliendola, incorra nel vizio di ultrapetizione.

Ora, la Corte distrettuale ha rispettato questi principi e avendo accertato il confine tra i fondi, oggetto di contestazione, nonchè, che gli attuali ricorrenti occupavano, illecitamente, una parte del fondo, dall’estensione pari a mq 177, ne ha correttamente disposto la restituzione, indipendentemente che la parte avesse chiesto la restituzione di una estensione inferiore. Come ha avuto modo di affermare, questa Corte, in altra occasione (Cass. n. 344 del 15/01/1997) che si condivide e si conferma: poichè l’azione di regolamento di confini implicitamente comporta la richiesta di restituzione del dovuto, costituiscono pure e semplici inesattezze le indicazioni che l’attore abbia fatto sulla base della ignoranza dell’effettivo stato dei luoghi. Con la conseguenza che non si ha ultrapetizione se il giudice, nel fissare il confine, assegni, all’attore una zona di terreno non richiesta in citazione.

1.1.a).- Fermo quanto detto, non può, neppure, essere accolta la considerazione in ordine all’erroneità della decisone impugnata per aver posto a fondamento della quantificazione del danno dovuto all’originario attore, per il mancato godimento della fascia di terreno, occupata illegittimamente dagli attuali ricorrenti (originari-convenuti), un’estensione di terreno maggiore da quella ex adverso reclamata, posto che l’estensione indicata dagli originari attori, non poteva che essere riconsiderata alla luce delle emergenze istruttorie. Sicchè, correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto che conseguiva all’accoglimento della domanda di restituzione della fascia di terreno illegittimamente occupata dai coniugi I. e T., l’accoglimento della domanda del risarcimento del danno, poichè l’impossessamento di una fascia di terreno coltivabile comportava minore ricavo dall’appezzamento cui apparteneva, corrispondente alla mancata percezione dei frutti. E, correttamente, con propria valutazione, non sindacabile nel giudizio di legittimità, essendo priva di vizi logici, la Corte distrettuale, utilizzando i dati indicati dalla CTU, ha ritenuto che (…) si reputava equo mantenere, nella quantificazione dei danni, la valutazione del CTU che era pari alla rendita media annua di Euro 61,50 da porre a carico dei coniugi I. T. quale possessori del fondo dichiaratisi da un ventennio prima del 1988.

2.= a) Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; sotto altro profilo). Secondo i ricorrenti la Corte territoriale avrebbe errato nel quantificare il periodo di occupazione ritenuta abusiva del terreno, in quarantadue anni cioè dal 1968 al 2010 anno di pubblicazione della sentenza, perchè non avrebbe considerato che il L. era diventato proprietario anche della striscia d terreno di cui si dice solo nel 1976, come risulterebbe dalla pag. 9 della CTU parte integrante della sentenza. Sicchè la condanna al risarcimento del danno a favore del L. quanto meno in relazione al periodo che va dal 1968 al 1976 esorbiterebbe dai limiti posti dalla stessa domanda formulata dall’attore in primo grado il quale non avrebbe potuto pretendere ed ottenere il risarcimento di un danno da asserita abusiva occupazione di una porzione del fondo in relazione ad un periodi temporale in cui egli non era ancora proprietario del terreno medesimo.

2.1.= Il motivo è fondato.

Va qui considerato che in relazione alla pretesa risarcitoria per il mancato godimento di un immobile, viene in rilievo un danno in re ipsa, individuabile, di per sè, nella perdita della disponibilità del bene da parte del dominus, così come nell’impossibilità, per questi, di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo, in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. Tuttavia, va osservato che il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne è proprietario al momento del verificarsi dell’evento dannoso e configurandosi come un diritto autonomo rispetto a quello di proprietà non segue quest’ultimo nell’ipotesi di alienazione, salvo che non sia pattuito il contrario (Cass. SSUU. n. 2951 del 2016).

Ciò considerato, la Corte distrettuale non ha tenuto conto che il L. risultava proprietario dal 1976 e, pertanto nella quantificazione del danno non poteva tener conto anche del periodo che va dal 1968 al 1976 periodo nel quale il L. non era proprietario del bene oggetto della domanda di restituzione.

3. I ricorrenti lamentano ancora:

a) con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 950, 1140, 1141, 1146 e 1158 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

3.= ricorrenti lamentano, ancora:

Secondo ì ricorrenti la Corte distrettuale: 1) avrebbe erroneamente riformata la decisione assunta dal Tribunale e secondo il quale il confine tra i fondi oggetto di causa era sempre stato quello corrispondente allo stato di fatto perchè infondate sarebbero le ragioni poste a fondamento della decisione assunta. In particolare la Corte distrettuale avrebbe erroneamente rimproverato al Tribunale di non aver attribuito adeguato rilievo alle mappe catastali quando invece sarebbe orientamento anche di questa Corte di Cassazione secondo al quale (Cass. 21686 del 2006). “In tema di azione di regolamento di confini, per l’individuazione della linea di separazione fra i fondi limitrofi la base primaria dell’indagine del giudice di merito è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli d’acquisto delle rispettive proprietà”, potendosi, altresì fornire la prova del confine con qualsiasi mezzo, e, in via sussidiaria, può farsi riferimento alle mappe catastali.

2) erroneamente non avrebbe riconosciuto un possesso uti dominus non tenendo conto che costituirebbe innegabile principio di diritto che ai sensi degli artt. 1140 e 1141 c.c. la presunzione di possesso è ricollegata ad un potere di fatto sulla cosa che si manifesta in una attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà potendo la presunzione essere esclusa soltanto ove ex adverso si dimostri che il potere di fatto sulla cosa sia iniziato come semplice detenzione. Così come sarebbe principio incontestabile che ai sensi dell’art. 1146 c.c. il possesso continui nell’erede con l’effetto dell’apertura della successione senza la necessità di una materiale apprensione del bene. La relazione di signoria sul bene in questione dei coniugi I. e T. e prima di loro dei genitori della I. sarebbe stata incontestabilmente provata con le dichiarazioni testimoniali e risulterebbe anche dalla sentenza n. 67 del 1996 del Pretore di Salerno.

2) Con il quarto motivo, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe escluso l’usucapione di cui si dice nonostante i coniugi T. e I. avessero assolto all’onere probatorio di cui erano onerati dimostrando di aver posseduto il bene in questione uti domini continuamente ed ininterrottamente per oltre un ventennio in modo pubblico e pacifico, come risulterebbe dalle inequivoche dichiarazioni testimoniali. In particolare, sempre secondo i ricorrenti, la Corte non avrebbe interpretalo correttamente le dichiarazioni testimoniali, e non avrebbe neppure compreso la situazione di fatto pur emersa nel corso del giudizio. E di più, ritengono i ricorrenti alla Corte sarebbe sfuggito che il verbo “coltivare” specificava appunto in che modo si esercitava il possesso non assumendo affatto rilievo la qualità della coltura in essere. E, comunque, l’insufficiente contenuto motivazionale sarebbe assolutamente inidoneo a soddisfare tale esigenza e dimostra la radicale obliterazione delle puntuali difese dei rappresentati.

3.1.= Entrambi i motivi che per la loro stretta connessione ed interdipendenza possono, essere esaminati congiuntamente sono infondati essenzialmente perchè frutto di una lettura parcellizzata della a sentenza. Piuttosto, la sentenza j impugnata con motivazione ampia e approfondita, comunque, priva di vizi logici, indica il ragionamento compiuto dalla Corte distrettuale per determinare il confine di cui si dice, le cui coordinate essenziali ricomprendono la valutazione dei titoli di acquisto, delle prove testimoniali, della CTU e delle mappe catastali. In particolare, la Corte di merito ha avuto modo di specificare che la carenza di indicazione dei confini nei titoli di proprietà non comportava mancanza di prova ma giustificava il ricorso ad altri mezzi di prova ivi comprese le risultanze delle mappe catastali le quali, per il vero, possono caratterizzarsi, comunque, per una forte attendibilità documentale ed essere efficacemente utilizzate dal giudice che ritenga che solo le risultanze emergenti dalle mappe stesse sono idonee alla determinazione certa del confine controverso e, quindi, non solo nella mancanza assoluta di altri elementi probatori. Tuttavia, nel caso di specie, ha chiarito ancora la Corte di merito, devono essere esaminati essenzialmente gli accertamenti autonomi effettuati dal CTU e rapportati detti accertamenti alle prove testimoniali (le quali per altro vertevano non tanto sull’esattezza del confine quanto sull’usucapione della fascia di terreno ad esso corrispondente). Ciò posto, esaminando gli accertamenti contenuti nella CTU, la Corte territoriale ha rilevato che il CTU aveva ricalcolato la superficie dei fondi per accertare i confini partendo non tanto da quanto disposto sulle mappe catastali, ma dagli spigoli dei fabbricati esistenti sulle particelle anche diverse da quelli in esame, secondo il metodo di calcolo geotecnico, individuando quali punti di appoggio i fabbricati che risultavano al catasto terreni e individuando le varie coordinate sul posto a seguito di ispezione e non sulle mappe e rilevando corrispondenza dei parametri degli assi sulle mappe stesse. Pertanto, si può dire che i risultati della CTU “sono effettivi e non ricavati dalle mappe e accertano che rispetto all’estensione dettata dai titoli vi sia stato sconfinamento e che i confini dovrebbero essere arretrati rispetto alla proprietà indicata come T. I.”.

E’ di tutta evidenza, dunque, che la Corte distrettuale ha determinato i confini di cui si dice tenendo conto della consulenza tecnica di ufficio (avendo cura di rinviare alla stessa, che è parte integrante della sentenza, con l’indicazione delle pagine più significative, pagg. 12 e 13) e dopo averla attentamente valutata.

3.1a) Il motivo è infondato anche nella parte relativa alla censura dell’esclusione di usucapione della fascia di terreno di cui si dice, avanzata dai coniugi I. T..

E’ giusto il caso di evidenziare che l’art. 1140 c.c. definisce il possesso come “il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”.

Da tale definizione si ricavano due elementi che caratterizzano il possesso: 1) elemento oggettivo, consistente nella disponibilità della cosa, anche solo potenziale; 2) elemento soggettivo, consistente nell’intenzione di tenere la cosa come propria mediante l’esercizio di un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (cosiddetto “animus possidendi”).

Sicchè, perchè si abbia possesso uti dominus è necessario che il soggetto che pretende di essere considerato possessore dimostri non solo di avere la disponibilità del bene ma anche di svolgere delle attività che, al di là di ogni ragionevole dubbio, siano attività di esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale.

Ora, nel caso concreto, la Corte distrettuale, al di là di alcune osservazioni, per certi aspetti superflui e, comunque, non necessari, ha chiarito che dagli atti processuali non risultava dimostrato quale attività di coltivazione fosse stata svolta dai coniugi I. T. o del padre della I., che integrasse gli estremi di un esercizio del diritto di proprietà che si pretendeva di aver usucapito. Infatti, la Corte distrettuale ha avuto modo di chiarire che nessuno dei testi indicava le modalità con cui i coniugi T. e I. o prima di loro il congiunto, abbia posseduto uti dominus se non menzionando genericamente la coltivazione della fascia a confine da parte dei, convenuti, ovvero dal padre della convenuta ( I.), senza quindi far comprendere in cosa consistesse l’attività di coltivazione di un’area che si presentava ancora fino alla data del ricorso dinanzi al pretore come coltivata ad ulivi o, come sostenevano gli stessi convenuti, come seminativo arboreto.

E di più, la Corte territoriale ha accertato che il possesso della fascia di terreno oggetto della controversia non era stato nè pacifico nè ininterrotto.

Infatti, come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale: si trattava, inoltre, almeno fino al 1999 pur sempre di un confine rappresentato solo dal solco, superato, anche da L., altre volte, e solo negli ultimi anni delimitato dal muretto e recinzione metallica, sovrastante, e inoltre fino al 25 dicembre 1988 il terreno era tutto di proprietà di altri soggetti, genitori di I.F. e quindi di proprietà della sola I. dall’aprile del 1990. “Alla stregua dei dati di fatto (…) si deve pertanto desumere, conclude la Corte distrettuale, che il possesso uti dominus non sia stato mai pacifico ed ininterrotto per un ventennio da parte, dei coniugi T. e I. loro dante causa e nemmeno è dato sapere cosa sia accaduto prima che essi si impossessassero del fondo, quando siano divenuti possessori essi stessi se essi coltivassero anche per conto dei genitori e suoceri al fatto che nessun teste e nemmeno la sentenza motivano sui comportamento dei possessori al fine dell’usucapione.

4.= Con il quinto motivo, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Secondo i ricorrenti contraddittoria sarebbe la motivazione con la quale la Corte distrettuale avrebbe accolto la domanda di risarcimento del danno perchè da un verso la Corte avrebbe escluso che il possesso per quarantadue anni non valesse ai lini dell’usucapione epperò avrebbe ritenuto che assumesse rilievo ai fini del risarcimento dei danni derivante dall’abusiva coltivazione ed utilizzazione del fondo.

4.1.= Il motivo è infondato.

E’ sufficiente osservare che il ragionamento della Corte distrettuale, in merito alla quantificazione del danno, non presenta vizi logici o contraddizioni posto che il risarcimento del danno di cui si dice può essere correlato oltre che ad un possesso abusivo ad una semplice detenzione abusiva del bene o, comunque, ad un possesso abusivo non utile ai fini dell’usucapione.

Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale per la quantificazione del danno liquidato si sarebbe riportata alla CTU acriticamente nonostante avesse già affermato che la CTU non brillava per chiarezza. La Corte distrettuale pur rilevando che palesemente rappezzamento di terreno fosse adibito al di qua e al di là del confine dai reciproci proprietari a frutteto, tuttavia avrebbe ritenuto equo immaginare ai fini della liquidazione del presunto danno liquidato che negli anni precedenti il L. avrebbe potuto coltivare in quel terreno pomodori pur avendo la Corte decisamente escluso tale coltura.

4.1.= Il motivo è infondato.

Il ricorrente ritenendo che la Corte non avrebbe dovuto presupporre che il L. avrebbe adibito la fascia di terreno, di cui si dice, a coltivazione di pomodori non specifica quale altra coltivazione, la Corte territoriale, avrebbe dovuto considerare e, soprattutto, se la rendita annua della coltivazione che avrebbe dovuto considerare, ragionevolmente, sarebbe stata diversa ed inferiore a quella applicata. Piuttosto, va osservato che, pur tenuto conto che il terreno fosse coltivato a pomodoro mentre invece era destinato a seminativo, ciò non sembra mutare, sia pure con i più ristretti limiti temporali di cui si è detto, la valutazione equitativa individuata in (soli) Euro 61 l’anno, tenendo conto, anzi, che gli appezzamenti erano adibiti a frutteti.

In definitiva, il ricorso va accolto, limitatamente al secondo motivo; la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Salerno.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Salerno.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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