Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15055 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15055 Anno 2014
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: SCODITTI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso 17495-2008 proposto da:
ANDRETTA JENNIFER LEE, elettivamente domiciliata in
ROMA VIALE DELLE MEDAGLIE D’ORO
studio dell’avvocato

84/86,

presso lo

SOPRANO PIETRINA, rappresentata

e difesa dall’avvocato PERTILE MAURIZIO giusta delega
in calce;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente
PORTOGHESI

12,

domiciliato,

in ROMA VIA DEI

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 02/07/2014

- controrícorrente

avverso la sentenza n. 7/2007 della COMM.TRIB.REG. di
VENEZIA, depositata il 21/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/05/2014 dal Consigliere Dott. ENRICO

udito per il ricorrente l’Avvocato PERTILE che si
riporta agli scritti;
udito per il controricorrente l’Avvocato VARONE che
si riporta agli scritti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

SCODITTI;

Svolgimento del processo
A seguito di due processi verbali di constatazione, nei quali si rilevava che la
ditta individuale “Elettro Spazio di Andretta Jennifer Lee” aveva indebitamente
detratto IVA relativa a fatture soggettivamente inesistenti e che aveva omesso
di documentare operazioni imponibili relative a cessioni in realtà avvenute nel
territorio nazionale e non in ambito intracomunitario, veniva notificato in data

Jennifer Lee con imputazione di maggior debito di imposta IRPEF e IVA, e
maggior debito di addizionale regionale. In data 8 maggio l’Agenzia delle
Entrate notificava alla contribuente istanza di autorizzazione ad iscrizione
ipotecaria, la quale veniva poi respinta dalla C.T.P.. Il ricorso proposto dalla
contribuente avverso l’avviso di accertamento veniva respinto dalla C.T.P.
Anche l’appello proposto dalla contribuente veniva disatteso dalla Commissione
Tributaria Regionale del Veneto sulla base della seguente motivazione:
legittimo era l’avviso di accertamento, con motivazione che rinviava ai due
p.v.c.; non credibile era l’argomento difensivo secondo cui la contribuente era
all’oscuro del fatto che Lion Service, da cui Elettro spazio aveva operato
acquisti, fosse una società cartiera (questa realizzava un volume di affari di
oltre 152 miliardi di lire, senza avere dipendenti e struttura commerciale); in
particolare risultavano almeno quattro fatture per £1.133.198.748
soggettivamente inesistenti (si trattava di merce acquistata da forniture UE ma
soggettivamente fatturata da due società cartiere, che avevano usufruito
indebitamente di una IVA a credito, con vantaggio che si riversava su Elettro
Spazio); per quanto riguardava la emissione di fatture (soggettivamente
inesistenti) nei confronti di ditte intracomunitarie, in realtà nei confronti di ditte
italiane, la prova dedotta dalla contribuente dell’effettività dei trasporti verso
l’Austria di merce venduta non faceva venir meno la prova dell’esistenza delle
violazioni contestate, sia perché si trattava di prove facilmente precostituibili,
sia perché si scontravano con prove di segno opposto (le società
intracomunitarie acquirenti dalla Elettro Spazio erano risultate essere società
cartiere, come emerso nei verbali di interrogatorio).

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8 aprile 2004 per l’anno 1999 avviso di accertamento nei confronti di Andretta

Ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente sulla base di quattro
motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme
di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., con

32/2001. Deduce la ricorrente che la motivazione dell’avviso di accertamento
rinvia ai due p.v.c., ma questi a loro volta si fondano su moltissimi altri
processi verbali mai portati a conoscenza della contribuente, in violazione
dell’art. 7 I. n. 212/2000, e che l’Ufficio aveva emesso gli avvisi di
accertamento senza svolgere alcuna attività diretta ad accertare la veridicità e
fondatezza delle risultanze del p.v.c..
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Si tratta di
motivo plurimo con il quale risultano dedotte due violazioni di norma di diritto.
Il motivo afferente al vizio motivazionale, indicato in rubrica, non risulta
articolato. La prima violazione di norma di diritto dedotta riguarda il difetto di
motivazione dell’avviso di accertamento in quanto rinviante ai due p.v.c., i
quali, a loro volta, rinviavano ad altri processi verbali mai portati a conoscenza
della contribuente. Il quesito di diritto, formulato nei termini “se in un atto
dell’Amministrazione finanziaria si fa riferimento ad un altro atto, questo deve
essere necessariamente allegato, a maggior ragione se l’atto richiamato non è
nemmeno conoscibile da parte del contribuente”, non è pertinente rispetto al
motivo, nel quale non si denuncia il mero rinvio dell’atto impositivo ad un altro
atto, ma un rinvio per così dire di secondo grado, e cioè l’atto impositivo che
rinvia ad un p.v.c., e quest’ultimo che rinvia ad altro p.v.c.. Data l’assenza di
pertinente quesito di diritto il motivo è inammissibile.
L’ulteriore censura attiene all’emissione di avviso di accertamento senza
svolgere alcuna attività diretta ad accertare la veridicità e fondatezza delle
risultanze del p.v.c.. Trattasi di motivo infondato. Come affermato da questa
Corte, in tema di avviso di rettifica di dichiarazione IVA da parte
dell’Amministrazione finanziaria, la motivazione “per relationem”, con rinvio

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riferimento alla violazione dell’art. 7 I. n. 212/2000 e dell’art. 1 d. leg. n.

:

alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza
nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di
autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti,
significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni,
ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla
circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun

ottobre 2011, n. 21119).
Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.. Lamenta la
ricorrente che le contestazioni contenute nell’avviso di accertamento erano
prive di supporto probatorio, mentre risultavano prove in senso contrario
dedotte dalla contribuente, e che, quanto alle cessioni intracomunitarie,
sussistevano pure evidenze probatorie in senso favorevole alla contribuente.
Aggiungeva che sussisteva contrasto con il giudicato di cui alla pronuncia
relativa all’istanza di autorizzazione ad iscrizione ipotecaria, proposta
dall’Ufficio.
Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo,
mediante la deduzione di un vizio motivazionale (quanto meno nella rubrica del
motivo), si chiede in realtà un accertamento in ordine alla concludenza
probatoria delle risultanze processuali f inammissibile nella presente sede di
legittimità. In secondo luogo, il motivo è carente di indicazione riassuntiva e
sintetica, richiesta anche nel caso di vizio motivazionale (da ultimo Cass. 8
marzo 2013, n. 5858), in quanto il quesito finale ha ad oggetto un puro
quesito di diritto in ordine alla regole di riparto dell’onere della prova, e non
l’indicazione del fatto controverso, ovvero delle ragioni per le quali la
motivazione è insufficiente. Il punto relativo al contrasto con l’asserito
giudicato non è poi rispecchiato dal quesito finale (a parte l’assenza di natura
di giudicato del provvedimento adottato in relazione all’istanza cautelare di
autorizzazione ad iscrizione ipotecaria).
Con il terzo motivo si denuncia omessa motivazione circa un fatto
controverso e decisivo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Lamenta la ricorrente la

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pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (fra le tante, Cass. 13

mancata utilizzazione del decreto di archiviazione del procedimento penale
quale elemento probatorio, nonché l’incompletezza degli stralci di verbale di
interrogatorio prodotti dall’ufficio.
Il motivo è infondato. Nel giudizio di cassazione, per potersi configurare il
vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è
necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata

circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa
soluzione della vertenza; pertanto, il mancato esame di elementi probatori
costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze
processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e
non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali
il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di
base (da ultimo Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092). Con riferimento al decreto
di archiviazione, nel motivo indicato quale prova documentale, non emergono
le ragioni per le quali l’esame di tale documento (attestante non un fatto, ma
la valutazione in ordine ad un fatto da parte dell’autorità giudiziaria) avrebbe
determinato in modo certo la neutralizzazione delle circostanze considerate
nella sentenza impugnata. Quanto agli stralci di verbale di interrogatorio
prodotti dall’ufficio, asseritamente incompleti, non risulta rispettato il principio
di autosufficienza, non essendo stato indicato né il contenuto né la
specificazione dei documenti prodotti e la sede processuale della produzione.
Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge ai sensi dell’art. 360
n. 3 c.p.c. in relazione ai principi di certezza del diritto, proporzionalità e buona
fede, nonché omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.. Lamenta la ricorrente, con riferimento
alla cessione intracomunitaria, che la sentenza impugnata è errata nella parte
in cui ha escluso il giudizio relativo alla responsabilità della cedente, dovendo
considerare la buona fede e l’ignoranza incolpevole di quest’ultima in ordine
alla circostanza se la merce avesse effettivamente lasciato il territorio italiano
ed in ordine alla frode commessa dall’acquirente. Deduce inoltre che nella
motivazione, contraddittoriamente, da un lato sembra prospettarsi un giudizio

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e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella

non limitato al solo aspetto oggettivo, dall’altro non si dà alcuno sviluppo al
tema della responsabilità sul piano soggettivo, e che l’omissione va censurata
avendo la ricorrente nell’atto di appello richiamato la propria buona fede.
Aggiunge che manca ogni collegamento tra il vantaggio, che si sarebbe
riversato su Elettro Spazio, e la conoscenza che quest’ultima avrebbe avuto
della natura di società cartiera di Lion Service.

infondato. La denuncia di contrarietà alla certezza del diritto dell’attribuzione di
responsabilità nonostante che il fornitore non avesse, o non potesse avere,
conoscenza della frode commessa dall’acquirente, non è pertinente alla
motivazione della sentenza impugnata, dalla quale non emerge l’affermazione
di un principio opposto a quello articolato in motivo, e riassunto nel quesito di
diritto. Il giudice del merito ha concluso nel senso che “trova scarso
fondamento” la tesi difensiva secondo cui la contribuente era all’oscuro del
fatto che la Lion Service fosse una società cartiera. Ciò che il giudice d’appello
afferma, quindi, è la mancanza di prova dell’assenza di consapevolezza della
frode, e non l’esistenza di una responsabilità nonostante la mancanza di
consapevolezza (o l’impossibilità di acquisirla). Di qui l’inammissibilità del
motivo.
Venendo al denunciato vizio motivazionale, quanto alla contraddittorietà
della motivazione nel ricorso essa viene evidenziata con riferimento ad un
passaggio motivazionale (citato a pag. 47 del ricorso) che nella motivazione
della decisione di secondo grado non c’è, per cui anche in tal caso ricorre
l’inammissibilità. Infine, circa la omessa motivazione, il motivo è infondato
perché il fatto controverso dell’esistenza della buona fede è stato apprezzato
dal giudice di merito, concludendo nel senso della mancanza di prova
dell’assenza di consapevolezza della frode.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese
processuali che liquida in euro 10.260,00 per compenso, oltre le spese
prenotate a debito e gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 13 maggio 2014

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Il motivo ha carattere plurimo ed è in parte inammissibile, in parte

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