Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15053 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. I, 28/05/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 28/05/2021), n.15053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17866/2020 proposto da:

A.K., elettivamente domiciliato in Pescara presso lo Studio

dell’avv. Danilo Colavincenzo, in via Anton Ludovico Antinori nr 6;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Ancona, Ministero Dell’interno;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il

20/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

A.K., cittadino (OMISSIS), nato a Lagos, proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale avanti il Tribunale di L’Aquila, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in via subordinata, della protezione sussidiaria o, in via ulteriormente subordinata, della protezione umanitaria.

Il primo giudice rigettava il ricorso.

In particolare, il Tribunale, ritenuto che le dichiarazioni non fossero credibili rilevando che il racconto fosse non plausibile ed incongruente.

Spiegava infatti non era verosimile il fatto che il ricorrente fosse stato incarcerato per tre mesi senza una formale accusa e solo per aver discusso con un militare così come l’uccisione a sangue freddo da parte di un poliziotto del padre e del fratello del richiedente rei di aver chiesto di vedere il proprio congiunto.

Parimenti riteneva non credibili le modalità di fuga dal carcere che, secondo il ricorrente, sarebbero avvenute grazie all’intervento degli abitanti del suo villaggio che si sarebbero esposti al rischio di ritorsioni e vendette unicamente per liberarlo.

Il primo giudice considerava non verisimile anche il racconto della fuga compiuta dal richiedente nella boscaglia di (OMISSIS), dove avrebbe incontrato un uomo generosissimo il quale lo avrebbe mantenuto per tre mesi e fornito di un cellulare, pur sapendo di correre un grave rischio dando aiuto ad un soggetto evaso.

Sottolineava poi l’assenza di riscontri nelle fonti disponibili di una rivolta nelle carceri che sarebbe avvenuta nell’anno 2017 e della carente documentazione relativa alla denuncia che avrebbe potuto essere elevata a suo carico e che ben avrebbe potuto essergli inviata dai suoi familiari con i quali era rimasto ancora in contatto.

Su queste premesse il Tribunale ha escluso la sussistenza delle condizioni riconducibili alle previsioni della Convenzione di Ginevra.

Anche la protezione sussidiaria non poteva essere riconosciuta, non venendo in rilievo nessuno dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e non sussistendo nella regione di provenienza del ricorrente una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato (lett. c medesima disposizione). Infine, anche la domanda di protezione umanitaria era rigettata non sussisteva una generale condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio e della mancanza di rilievo del periodo trascorso in Libia.

A.K. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria.

Il Ministero è rimasto intimato.

Con il primo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 3, comma 3, lett. a, b e c, art. 5, lett. c, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e 3 e art. 27, comma 1 e 1 bis.

Si lamenta che il decreto impugnato muovendo da una valutazione di non credibilità del racconto avrebbe fondato il suo convincimento su di una lettura parziale degli elementi di prova e delle informazioni pertinenti al caso in esame inclusi i rapporti internazionali senza svolgere alcun approfondimento istruttorio relativamente alle condizioni generali della Nigeria e della regione del Lagos in base a fonti aggiornate e relativamente all’ingiusta detenzione subita dal richiedente, all’uccisione del fratello e del padre e all’operato delle forze dell’ordine e abusi di autorità.

Si duole che quantunque nel ricorso siano stati offerti riscontri rispetto al timore rappresentato e alla persecuzione subita medianti fonti ufficiali idonee ad attivare un ulteriore istruttoria officiosa il Tribunale non vi avrebbe dato corso. Con il secondo motivo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), b) e c) comma 5, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e comma 3 nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Si lamenta che il primo Giudice facendo leva sulla non credibilità del richiedente ha escluso la sussistenza dei presupposti normativi per il riconoscimento della protezione umanitaria incorrendo in tal modo nella violazione del principio dell’individualità.

Il primo motivo è inammissibile.

Va, innanzitutto, rilevato che il paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti di quanto previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie).

Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Ciò detto, va altresì posto in evidenza che il motivo nei termini in cui è stato formulato, risulta caratterizzato dal medesimo vizio di assoluta assenza di specificità, in quanto non si confronta in alcun modo con l’apparato argomentativo della sentenza, limitandosi ad affermazioni di carattere generale, quanto all’interpretazione delle norme pertinenti, e della giurisprudenza anche di merito, accompagnate da mere asserzioni riferite alla specifica situazione della (OMISSIS) (cfr. Cass. n. 18564 del 2020).

Viceversa, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare con chiarezza nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilemente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018).

Ne consegue che la dedotte censura, come così articolata, rende palese piuttosto lo scopo del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. n. 2051 del 2019).

Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

La concessione della protezione umanitaria risponde ad una fattispecie complessa alla cui definizione concorrono con le condizioni di vulnerabilità personale del richiedente protezione, positivamente scrutinabili anche in relazione alle condizioni di instabilità del paese di rimpatrio, l’integrazione raggiunta nel territorio nazionale.

Colui che ricorre in cassazione non può pertanto circoscrivere la censura alla decisione di merito di rigetto alla mancata valutazione da parte del giudice della situazione di instabilità del paese di origine senza, nel contempo, portare contestazione alla ritenuta mancata allegazione di condizioni di vulnerabilità ove si consideri che il tribunale aveva già escluso che potesse essere credibile il racconto spiegandone le ragioni (cfr pag 13 e 14).

Valutazione questa non rivalutabile in questa sede.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese per la mancata attività difensiva del Ministero.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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