Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15053 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/06/2010, (ud. 06/05/2010, dep. 22/06/2010), n.15053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4746-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 893/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 13/02/2006 R.G.N. 295/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/05/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA per delega ALESSANDRO RICCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per accoglimento del primo motivo e

rigetto del secondo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Bologna confermava la decisione di accoglimento della domanda proposta da M.G., avente ad oggetto la riliquidazione della pensione di vecchiaia nella gestione commercianti, di cui era titolare, in applicazione della rivalutazione, prevista dalla L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 11 dei contributi versati in suo favore, quale lavoratrice agricola, dall’anno di versamento degli stessi e dopo la loro rivalutazione ai sensi del D.L. n. 463 del 1983, art. 7, comma 12, conv. in L. n. 633 del 1983.

La predetta Corte, richiamando le sentenze della Cassazione 20 febbraio 1995 n. 1825 e 16 giugno 1998 n. 5999, riteneva che, ai fini del calcolo della quota di pensione di vecchiaia come lavoratrice dipendente agricola con il metodo retributivo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 3 la retribuzione doveva calcolarsi, quanto ai periodi antecedenti al 1968, a norma del D.P.R. n. 488 del 1968, art. 28 e della L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 11.

Avverso questa sentenza l’INPS ricorre in cassazione sulla base di tre censure.

Parte intimata non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’INPS deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 488 del 1968, art. 5, comma 6, e dell’art. 28, comma 3, nonchè della L. n. 297 del 1982, art. 3, commi 8 e 11.

Richiama a fondamento della censura l’orientamento espresso da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze nn. 2041, 2042, 2043 e 2631 del 2006, nelle quali si è evidenziato come il consolidato orientamento, fatto proprio dalla Corte bolognese, conduca a risultati abnormi, con l’applicazione del criterio di rivalutazione, indicato dall’art. 3 denunciato, alle retribuzioni anteriori all’anno 1968, sia che siano state certificate dal datore di lavoro, sia che siano state individuate in base alla tabella C del D.P.R. n. 488 del 1968, ovvero in base al disposto di cui all’art. 28 del medesimo D.P.R., come è nel caso di specie.

La censura è fondata.

Ritiene il Collegio di dare continuità giuridica ai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze 31 gennaio 2006 nn. 2041, 2042 e 2043 e sentenza 8 febbraio 2006 n. 26319) a composizione di un contrasto giurisprudenziale emerso con riguardo alla questione in esame.

Come ribadito da questa Corte (sentenza n. 11680 del 2006) con il D.P.R. n. 488 del 1968, art. 5, il legislatore ha modificato il sistema delle assicurazioni obbligatorie introducendo, con i commi 1 e 2, il passaggio dal sistema contributivo a quello retributivo e fissando i relativi criteri di calcolo con i commi 3, 4 e 5.

Con il comma 6, ha poi stabilito, nell’ipotesi in cui non fosse stato possibile determinare la retribuzione pensionabile secondo i nuovi criteri, che detta retribuzione avrebbe dovuto essere computata in base ai contributi versati, per il cui valore retributivo doveva farsi riferimento alla tabella C allegata al decreto (poi sostituita dalla tabella E allegata al D.L. n. 402 del 1981, convertito con la L. n. 537 del 1981). Successivamente, la L. n. 297 del 1982, art. 3, ha introdotto un sistema di rivalutazione automatica e generalizzata, che tiene conto della data di decorrenza della pensione e dell’entità della retribuzione pensionabile. Questa norma (comma 8 e segg.), oltre a modificare nuovamente il periodo di riferimento ed altri particolari del metodo di computo della retribuzione pensionabile, ha sancito un sistema di rivalutazione delle retribuzioni di riferimento, ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile, con la seguente disposizione dell’undicesimo comma: “la retribuzione media settimanale determinata per ciascun anno solare ai sensi del precedente comma è rivalutata in misura corrispondente alla variazione dell’indice annuo del costo della vita calcolato dall’ISTAT ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell’industria, tra l’anno solare cui la retribuzione si riferisce e quello precedente la decorrenza della pensione”.

Sulla base di tale quadro normativo, numerose decisioni, con riferimento alla pensione autonoma a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e alla pensione supplementare (spettante dopo il compimento dell’età pensionabile, secondo la L. n. 1338 del 1962, art. 5, ai soggetti titolari di pensione a carico di un trattamento di previdenza sostitutivo dell’a.g.o. aventi contributi accreditati presso quest’ultima insufficienti per il diritto a pensione autonoma) cui la L. n. 155 del 1981, ha esteso il criterio contabile della pensione autonoma con conseguente applicabilità del sistema di determinazione del valore retributivo delle contribuzioni ex D.P.R. n. 468 del 1988), hanno ritenuto che la rivalutazione prevista dalla L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 11, deve operarsi sugli importi retributivi determinati mediante l’utilizzazione della tabella C allegata al D.P.R. n. 468 del 1988, indipendentemente da ogni altro criterio di indagine, e ciò perchè il medesimo D.P.R., art. 5, comma 6, impone, quando non sia possibile accertare la retribuzione pensionabile con le regole poste dai precedenti commi (cioè per mezzo di apposita dichiarazione del datore di lavoro) il riferimento alla suddetta tabella, con la conversione degli importi delle marche settimanali nei corrispondenti predeterminati importi di retribuzione (cfr. Cass. n. 1825 del 1995Cass. n. 1825 del 1995; n. 438 del 1998;

n. 5686 del 1998; n. 5999 del 1998; n. 13532 del 2001; n. 3194 del 2003).

Un diverso orientamento, pur condividendo la premessa della perdurante operatività del D.P.R. n. 468 del 1988, art. 5 anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 297 del 1982, ha, invece considerato che la tabella C allegata al D.P.R. del 1968 (integrata ma non modificata nei valori monetar dalla tabella L di cui al citato D.L. n. 402 del 1981) indica il valore monetario della retribuzione aggiornato al 1968, sicchè il meccanismo di rivalutazione così previsto non può operare, per gli anni anteriori al 1968, congiuntamente a quello derivante dall’applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 3, pena un abnorme effetto moltiplicativo della rivalutazione in contrasto con la comune ratio che ispira i due diversi metodi di aggiornamento delle retribuzioni da porre a calcolo della pensione. Conseguentemente, nell’applicazione della rivalutazione della retribuzione media settimanale prevista dalla disposizione da ultimo citata si deve fare riferimento all’indice ISTAT del 1968 e non a quello di percezione della retribuzione (Cass. 15879/2004).

Tale orientamento è stato condiviso dalle Sezioni Unite con le richiamate decisioni, in base alla considerazione, pienamente condivisa dal Collegio, che la tabella C allegata al D.P.R. del 1968, indicando valori di retribuzione settimanali corrispondenti a quelli correnti nel 1968 e negli anni immediatamente precedenti (come risulta dal raffronto tra l’importo delle marche settimanali e le correlative retribuzioni), consentiva a coloro che andavano in pensione nel 1968 di recuperare la svalutazione monetaria avvenuta negli anni antecedenti (specie nel periodo bellico, anche se il fenomeno della svalutazione monetaria non risultava espressamente valutato); la sovrapposizione a questo meccanismo di adeguamento delle retribuzioni degli anni precedenti ai valori del 1968 di un’autonoma regola di rivalutazione, mediante l’applicazione degli indici ISTAT riferiti agli stessi anni, comporta l’indicato abnorme effetto moltiplicativo, che risulta chiaramente dall’enorme divario fra i valori così calcolati e quelli risultanti dall’applicazione degli stessi indici nell’ipotesi di retribuzioni determinate, non in base al valore delle marche applicate sulle tessere assicurative – secondo il sistema di computo di, cui al D.P.R. del 1968, art. 5, comma 6, ma secondo la modalità alternativa prevista dai precedenti commi dello stesso articolo, in base agli importi retributivi risultanti da attestazioni del datore di lavoro (sicchè i medesimi fatti costitutivi del diritto – retribuzione e corrispondente contribuzione in un dato periodo – a seconda del modo con cui vengono provati determinerebbero, del tutto irrazionalmente, una base pensionabile assai diversa).

Da tanto consegue la conclusione, già enunciata dalle Sezioni Unite, che il coordinamento fra le diverse normative si consegue, tenuto conto della comune finalità di adeguamento dei valori monetari della retribuzione da porre a base del calcolo della pensione, per evitare gli effetti della svalutazione monetaria, con la rivalutazione del reddito settimanale di cui alla tabella secondo le variazioni dell’indice ISTAT tra il 1968 e l’anno anteriore al pensionamento.

Con il secondo motivo l’INPS deduce vizio di motivazione in quanto la Corte del merito prima rileva l’inammissibilità del secondo motivo di appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. e poi contraddittoriamente vaglia la doglianza, dimostrando di aver compreso la censura.

Con la terza censura l’Istituto denuncia violazione falsa applicazione del D.L. n. 463 del 1983, art. 7 convertito nella L. n. 638 del 1983. Allega che comunque la Corte del merito, nel delibare il merito del secondo motivo di appello, ha violato il denunciato art. 1 per aver riconosciuto l’applicazione del relativo meccanismo di rivalutazione in aggiunta a quello descritto dalla L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 11, senza tener conto che non si trattava di prestazione erogata a carico del Fondo lavoratori dipendenti, bensì di quota di pensione liquidata nella gestione speciale commercianti.

Il secondo motivo è infondato.

Il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 può essere invocato dal ricorrente per cassazione soltanto con riguardo alla parte della sentenza impugnata che concerne l’accertamento dei fatti di causa, mentre la parte contenente affermazioni in diritto può essere impugnata ai sensi dell’art. 360 cit., n. 3. Le affermazioni in diritto contraddittorie, ove il vizio argomentativo non si rifletta nel dispositivo, possono essere corrette ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Nel caso di specie nessuna di queste ipotesi ricorre poichè la Corte di Appello ha rigettato il secondo motivo di gravame, osservando come esso riguardasse il contenuto di un’affermazione del “tribunale, non controverso in causa. La precedente dichiarazione d’inammissibilità dello stesso motivo, effettivamente contraddittoria, è però inutile perchè resa ad abundantiam, con la conseguente inidoneità, in base alla regola logica quod abundant non vitiat, ad infirmare il detto provvedimento di rigetto.

Nelle considerazioni svolte a proposito del primo motivo rimane assorbito il terzo motivo del ricorso.

In conclusione il primo motivo del ricorso va accolto, il secondo rigettato ed il terzo dichiarato assorbito.

La sentenza impugnata, va, in relazione al motivo accolto, conseguentemente cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze che si atterrà al seguente principio di diritto:

“La tabella C allegata al D.P.R. n. 468 del 1988 (integrata dalla tabella E ai sensi del D.L. 29 luglio 1981, n. 402, convertito con la L. 26 settembre 1981, n. 537) indica il valore monetario aggiornato al 1968 della retribuzione settimanale per gli anni precedenti corrispondenti alle marche applicate sulle tessere assicurative allora in uso. Conseguentemente, nell’applicazione, ai sensi della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, comma 11, della rivalutazione della retribuzione media settimanale per gli anni precedenti al 1968 deve farsi riferimento all’indice ISTAT del 1968 e non a quello dell’anno di percezione della retribuzione”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo, dichiara assorbito il terzo, cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

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