Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15053 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15053 Anno 2014
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 7305-2012 proposto da:
COSTRUZIONI DI MARTINO SRL in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA SICILIA 66, presso lo studio dell’avvocato
ESPOSITO ROBERTO, che

iQ,

rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALIBERTI ANDREA giusta delega
2014

in calce;
– ricorrente –

1752

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliatq in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 02/07/2014

STATO, che lo rappresenta e difende;

controricorrente

avverso la sentenza n. 72/2011 della COMM.TRIB.REG. di
FIRENZE, depositata il 05/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato RUFFINI1wdelega

Of

Avvocato ESPOSITO che ha chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 13/05/2014 dal Consigliere Dott. STEFANO

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria della regione Toscana con sentenza 5.9.2011 n. 72 ha
respinto l’appello proposto da Costruzioni Di Martino s.r.l. e confermato la decisione di

non dichiarati dalla società per l’anno 2006, con conseguente liquidazione delle
maggiori imposte dovute per IRES , IRAP ed IVA, in relazione a sottofatturazione del
prezzo di compravendite immobiliari.

I Giudici di appello rilevavano che “il raffronto fra i prezzi delle compravendite
esposte nei preliminari e quelli risultanti dai rogiti” presentavano anomale variazioni in
diminuzione negli atti pubblici di vendita e che, pertanto, sussisteva la prova
documentale della omessa dichiarazione di maggiori ricavi, confermata da ulteriori
elementi acquisiti dai verbalizzanti nel corso delle operazioni di verifica, quali in
particolare le dichiarazioni di alcuni acquirenti attestanti il pagamento di ulteriori somme
non contabilizzate dalla società, mentre i chiarimenti e le giustificazioni forniti dalla
società non inficiavano il convincimento raggiunto sulla imposta evasa.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società deducendo
quattro motivi ai quali resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi la società censura la sentenza per vizio di insufficiente
motivazione ex art. 360co 1 n. 5 c.p.c. (primo motivo), o in alternativa, per vizio di

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RG n. 7305/2012
ric. Costruzioni Di Martino s.r.l. c/Ag.Entrate

Co est.
Stefano
ieri

prime cure che aveva dichiarato legittimo l’avviso di accertamento dei maggiori ricavi

omessa pronuncia su alcuni motivi di gravame ex art. 360co 1 n. 4 c.p.c. (secondo
motivo) in relazione alla omessa considerazione da parte dei Giudice di appello:

che in diversi casi non era stata rilevata la difformità di prezzo tra preliminare e
rogito

che la difformità di prezzi riscontrata era giustificata dalla ritardata consegna degli
immobili agli acquirenti

costituiva solo una parte degli importi indicati come maggiori ricavi dall’Ufficio
nell’avviso di accertamento.

Tale la critica che è stata formulata alla sentenza di appello, appare evidente che nel
caso di specie non viene in questione la violazione dell’obbligo di corrispondenza tra
pronuncia e domanda, atteso che il vizio di omessa pronuncia su una domanda o
eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra
chiesto pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., ricorre quando vi sia omissione di
qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni
richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge
che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un
contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa
pronuncia di accoglimento o di rigetto (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 7653 del
16/05/2012): ne segue che il vizio di nullità processuale in questione non si verifica

quando la decisione adottata comporti comunque la reiezione della pretesa fatta valere
dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo
ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di
domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logicogiuridica della pronuncia (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 20311 del 04/10/2011).

Nella specie la CTR ha assolto all’obbligo di pronuncia, avendo fornito la regola del
rapporto tributario dedotto in giudizio, mediante accertamento della legittimità del
2
RG n. 7305/2012
ric. Costruzioni Di Martino s.r.l. c/Ag.Entrate

C
Stefan

est.
livieri

che la pretesa fiscale relativa al recupero a tassazione delle differenze di prezzo

provvedimento impositivo e della pretesa fiscale, ritenendo destituite di fondamento la
giustificazioni fornite dalla società in relazione alle “anomalie” rilevate dai verbalizzanti
circa i prezzi di vendita, giustificazioni tra le quali era da ricomprendersi anche il
pagamento di somme effettuate dagli acquirenti a favore di soggetti terzi “a titolo
diverso” dal corrispettivo di compravendita.
La questione controversa attiene piuttosto alla valutazione probatoria dell’unico

dell’accertamento fiscale, si duole infatti la stessa ricorrente: pag. 28 ricorso) e non di autonome

obbligazioni tributarie -rispetto a quelle fondate sulla esatta determinazione dei ricavi derivanti
dalle compravendite- idonee a configurare distinte pretese fiscali oggetto di autonome

impugnazione da parte della società contribuente, e tali da fare insorgere un ulteriore e
diverso obbligo di pronuncia della CTR.

Ricondotta la censura nell’alveo del vizio motivazionale dedotto con il primo motivo,
osserva il Collegio che l’indicato parametro del sindacato di legittimità ex art. 360co l n.
5 c.p.c. impone che il fatto dimostrato in giudizio -del quale si lamenta la omessa od
inesatta valutazione da parte del Giudice di merito- deve risultare

“decisivo”,

richiedendosi un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la
soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se
fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il
mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della
pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze
processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di
mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento
è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di giuridico fondamento (cfr.
Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 14973 del 28/06/2006; id. Sez.. L, Sentenza n. 25608 del
14/11/2013. Il requisito di decisività conforma il mezzo di impugnazione anche dopo la
riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., operata dall’art. 54 del d.l. 22

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RG n. 7305/2012
ric. Costruzioni Di Martino s.r.l. c/Ag.Entrate

Co
Stefan

st.
vieri

rapporto tributario (di insufficiente esame degli altri elementi -probatori- posti a base

giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 e n.

– 8054 del 07/04/2014).

Tanto premesso dalla lettura della pure ampia esposizione del motivo non emerge in
alcun modo il “fatto decisivo” volto ad incidere sugli elementi primari o secondari della
fattispecie costitutiva della pretesa fatta valere dalla Amministrazione finanziaria,

alternativa dei fatti rispetto alla valutazione degli stessi compiuta dal Giudice di appello,
nonchè in una mera reiterazione delle prospettazioni giustificative della riscontrata
differenza tra i prezzi pattuiti nei preliminari ovvero tra gli importi che gli acquirenti
hanno dichiarato di aver pagato come corrispettivo di vendita ed i prezzi indicati invece
nei rogiti.

L’affermazione (ricorso, pag. 28 lett. a) che le differenze di prezzo trovano
giustificazione nei ritardi nella consegna degli immobili (idest nella corresponsione di
penalità per il ritardo pattuite nei contratti) costituisce una mera allegazione inidonea in
quanto tale a fondare il vizio di illogicità della sentenza impugnata.

La complessa ricostruzione della vicenda fornita dalla società (ricorso pag. 28 , lett. b)
per spiegare le differenze tra gli importi del prezzo dei preliminari ovvero dei
corrispettivi effettivamente pagati dagli acquirenti e quelli inferiori riportati nei rogiti (la
società avrebbe acquisito le quote di ALFA s.r.1., detenute dalle famiglie Meo e Maccari, venendo
quindi a seguito della fusione per incorporazione ad acquistare la proprietà sull’area edificabile già
nel patrimonio della società incorporata i Costruzioni Di Martino s.r.l. avrebbe permutato le quote di
ALFA s.r.l. con la proprietà dei beni futuri, stipulando con i membri delle predette famiglie i
preliminari di vendita aventi ad oggetti gli edifici da costruire sull’area indicata; i promissari
acquirenti avrebbero, tuttavia, medio tempore “ceduto” a terzi, ad un prezzo superiore, gli immobili
da costruire, “costringendo” la società a stipulare con questi i rogiti, “senza incassare alcunchè”
poichè le somme versate dai terzi a titolo di prezzo, maggiori rispetto a quelle indicate nei rogiti,
sarebbero state corrisposte alle famiglie Meo e Maccari) non trova nel motivo alcun elemento
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RG n. 7305/2012
ric. Costruzioni Di Martino s.r.l. c/Ag.Entrate

venendo a risolversi le argomentazioni svolte dalla ricorrente in una descrizione

decisivo di riscontro tra le emergenze istruttorie del giudizio di merito – come peraltro
affermato dai Giudici di appello nella motivazione della sentenza impugnata – : in particolare con

riferimento ai contratti del 2006 stipulati dagli acquirenti Carcione e Tempesti -ricorso
pag. 20-, il primo non risulta affatto aver riferito ai verbalizzanti di aver corrisposto parte

del prezzo a soggetti diversi dalla società alienante, mentre il secondo risulta che non ha
rilasciato alcuna dichiarazione in merito. La società ricorrente non ha indicato alcun

pattuito il prezzo di compravendita con altri soggetti (Meoni-Maccari) riversando parte
del relativo importo a questi ultimi in relazione ad un successivo vincolo contrattuale
diverso da quello concluso con la Costruzioni Di Martino s.r.l. ed avente ad oggetto la
cessione del medesimo immobile, con la conseguenza che la censura si risolve in una
inammissibile richiesta di nuova valutazione del materiale probatorio volta a sostituire la
soggettiva ricostruzione dei fatti operata dalla parte all’opposto convincimento raggiunto
dai Giudici di merito all’esito delle proprie valutazioni: la CTR, infatti, non ha
pretermesso l’esame degli elementi istruttori indicati dalla ricorrente, ma ha ritenuto
invece raggiunta, anche in base a tali elementi, la prova presuntiva della imputazione in
via esclusiva alla società alienante di tutte le somme versate dagli acquirenti a titolo di
prezzo in dipendenza del contratto di compravendita così come determinato a seguito
dell’accertamento fiscale, valorizzando (tanto in considerazione della identità del bene
immobile oggetto di cessione, quanto della inesistenza di titoli contrattuali diversi da quelli,
acquisiti nel corso della verifica) la circostanza di fatto che gli unici documenti contrattuali

rinvenuti nel corso della verifica fiscale erano quelli attestanti i vincoli obbligatori
insorti tra la società alienante e gli acquirenti, e ritenendo irrilevanti, ai fini
dell’accertamento dei maggiori redditi/ricavi, le modalità di esecuzione dei pagamenti
delle maggiori somme versate a titolo di prezzo della compravendita attuate delegando
gli acquirenti al pagamento ovvero indicando i destinatari del pagamento della quota di
maggior prezzo.

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RG n. 7305/2012
ric. Costruzioni Di Martino s.r.l. c/Ag.Entrate

p

1. i,est.
i
Ste i I1ivieri

elemento di prova a supporto della tesi secondo cui i predetti acquirenti avrebbero

Quanto alla doglianza della società ricorrente (ricorso, pag. 30, lett. c) relativa alla
mancata allegazione all’avviso di accertamento dei verbali delle dichiarazioni rese dai
terzi acquirenti in ordine ai pagamento delle maggiori somme a titolo di prezzo di
vendita, osserva il Collegio che, ove intesa a far valere un divieto di acquisizione
probatoria di tali documenti, deve ritenersi evidentemente inammissibile, in quanto la
censura avrebbe dovuto essere fatta valere come “violazione di norma processuale” ex

indicazione della pretesa norma di diritto violata che prescrive la “inutilizzabilità” in
giudizio del documento non allegato all’avviso; qualora poi la ricorrente avesse inteso,
invece, censurare la mancata rilevazione da parte della CTR del vizio di nullità
dell’avviso di accertamento per omessa allegazione dei documenti sui quali si fonda la
pretesa, anche in questo caso la censura formulata con il primo motivo di ricorso si
palesa inammissibile, in quando dedotta -anzichè in relazione all’art. 360co l n. 3 c.p.c.con riferimento al diverso ed incompatibile parametro normativo dell’errore di fatto ex
art. 360co l n. 5 c.p.c..

Analoga considerazione va svolta anche in relazione alla contestazione (ricorso pag. 31,
lett. e) dell’argomento probatorio concernente la concessione agli acquirenti di mutui

bancari di importo superiore al valore delle compravendite risultanti dai rogiti,
argomento utilizzato dalla CTP nella sentenza di primo grado, cui fa riferimento “per
relationem” anche la CTR : premesso che la ricorrente a sostegno della tesi di una prassi
generalizzata delle banche di concedere mutui per importi eccedenti il valore degli
immobili, indica soltanto un’unica dichiarazione resa da tale Carcione i il quale ha
affermato che l’importo superiore ottenuto a mutuo era stato impiegato per il pagamento
del prezzo ed anche per “spese accessorie” (ricorso pag. 22), la doglianza appare del tutto
generica avendo omesso la ricorrente di indicare in relazione a quali contratti di vendita
l’Ufficio finanziario avrebbe rideterminato il valore della vendita posizionandolo
sull’importo del mutuo erogato all’acquirente, e per ciò stesso difetta il richiesto
elemento di “decisività” della prova omessa od inesattamente valutata dalla CTR,
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Cnèt.
Stefno 1Iivieri

art. 360co1 n. 4) c.p.c. (e non attraverso il vizio logico di motivazione ) con la specifica

mancando qualsiasi indicazione delle ragioni per cui, venendo meno tale elemento
probatorio, la decisione che accerta i maggiori ricavi conseguiti dalla società verrebbe ad
essere privata dei supporti forniti dagli altri elementi probatori.

Infondata deve ritenersi anche la censura (ricorso pag. 30, lett. d) concernente la
omessa considerazione da parte della CTR di elementi di prova incidenti sulla diversa
determinazione del “quantum” della pretesa tributaria.
La società si duole che la PA ha proceduto ingiustificatamente a recuperare maggiori
ricavi non dichiarati dalla società sulla base della stima dell’ Agenzia del Territorio,
anche nei casi in cui i prezzi dei rogiti “corrispondevano” alle dichiarazioni degli
acquirenti. Orbene se, da un lato, la parte ricorrente avrebbe dovuto corredare la propria
censura con la puntuale trascrizione dei documenti comprovanti l’assunto (non essendo
stati neppure indicati i contratti in relazione ai quali vi era coincidenza tra dichiarazione
dell’acquirente e prezzo indicato nel rogito), tanto al fine di consentire al Giudice di

legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse,
che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in
grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è
consentito sopperire con indagini integrative (cfr. Corte cass. Sez.. L, Sentenza n. 6023 del
12/03/2009; id. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 17915 del 30/07/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 13677 del
31/07/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 48 del 03/01/2014), dall’altro lato è appena il caso di

evidenziare come -anche nella ipotesi in cui detta coincidenza ricorra nel contratto stipulato
dall’acquirente Cucini: pag. 11 ricorso- l’accertamento da parte della Amministrazione

finanziaria del maggior valore del corrispettivo fatturato, ( non trova alcun ostacolo nel
prezzo pattuito dalle parti nelle vendite immobiliari, potendo sempre essere recuperato a
tassazione il maggiore imponibile ove il corrispettivo dichiarato risulti difforme
dall’effettivo valore di mercato del bene (cfr. Corte Sez. 5, Sentenza n. 1549 del 24/0112007;
id. Sez. 5, Sentenza n. 12249 del 19/05/2010).

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Con est.
livieri
Stefan

L’esame della doglianza relativa alla illegittima ripresa a tassazione dell’acconto
versato pare dall’acquirente Cimadoro (ricorso, pag. 31, lett. n deve essere condotta
congiuntamente alla censura svolta, in ordine alla medesima questione, con il quintiv
motivo di ricorso..

Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza di appello per violazione degli

dell’art. 85 Dpr n. 917/1986 TUIR, in relazione all’art. 360co 1 n. 3 c.p.c., avendo
erroneamente la CTR ritenuto implicitamente esente da vizi di legittimità l’avviso di
accertamento, laddove lo stesso doveva invece ritenersi affetto da nullità in quanto
fondato su documenti (le dichiarazioni rese dai terzi acquirenti circa il pagamento di somme
maggiori rispetto a quelle indicate come prezzo nei roghi) non riprodotte nel contenuto

dell’atto impositivo e non allegate all’avviso notificato alla società

Il motivo è inammissibile in quanto il vizio di nullità dell’avviso risulta contestato
dalla società con i motivi in primo grado (pag. 9 ricorso) ma non anche riprodotto
successivamente con i motivi di gravame come risultano trascritti nel ricorso per
cassazione (pag. 15-16 ricorso). Ne segue che la questione, estranea alla materia
ricompresa nel “tantum devolutum” al Giudice di appello, non può essere “nuovamente”
prospettata in sede di legittimità, e la censura va, pertanto, dichiarata inammissibile.

Con il quarto motivo è dedotto il vizio di violazione degli artt. 39, 40 e 42 Dpr n.
600/73, nonchè dell’art. 24 della legge 7.7.2009 n. 88 (legge comunitaria 2008).
La società ricorrente sostiene che erroneamente i Giudici di appello hanno ritenuto
legittimo l’accertamento del maggior valore degli immobili effettuato mediante la stima
dell’Agenzia del Territorio (basata sui dati dell’Osservatorio del Mercato ImmobiliareOMI) e la verifica dell’importo dei mutui erogati agli acquirenti, in quanto in tal modo
erano venuti ad applicare la presunzione legale di determinazione del “valore normale”
degli immobili compravenduti -calcolato in misura non inferiore all’ammontare del mutuo
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Co
t.
Stefano livieri

artt. 39, 40, 42 comma 2 e 3 del Dpr n. 600/73, dell’art. 7col della legge n. 212/2000,

fondiario o del finanziamento bancario concesso agli acquirenti- stabilita dall’art. 35 comma 23

bis DL 4.7.2006 n. 223 conv. in legge 4.8.2006 n. 248, sebbene tale presunzione legale
fosse stata ritenuta incompatibile con le norme dell’ordinamento comunitario ed
eliminata dalla successiva legge comunitaria 2008 (n. 88/2009).

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

conversione del decreto legge con il comma 23 bis aggiunto all’art. 35 (“misura di
contrasto alla evasione fiscale”) disponeva che “per i trasferimenti immobiliari soggetti ad

IVA finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, ai fini delle disposizioni
di cui all’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n.
633, terzo comma, ultimo periodo, il valore normale non può essere inferiore
all’ammontare del mutuo o del finanziamento erogato”.
L’art. 14 del Dpr n. 633/72, come modificato dall’art. 24 della legge 7.7.2009 n. 88,
dispone che “Per valore normale si intende l’intero importo che il cessionario o il
committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la
cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera
questione nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione”, in difetto di rilevazione
dei prezzi di acquisto relativi a beni analoghi o, in mancanza, di beni simili, dovendo
assumersi a parametro il “prezzo di costo” del bene (comma 2, lett. a)).
Tanto premesso osserva il Collegio che la critica non viene rivolta al criterio di
indagine utilizzato dalla Agenzia del Territorio per reperire i dati concernenti le
compravendite analoghe o simili, nè ai criteri di rilevazione statistica di tali dati utilizzati
dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (che concernono, come è dato evincere dal
provvedimento 27.7.2007 della Agenzia delle Entrate, le “quotazioni ….riferite alla relativa zona
omogenea ovvero, in mancanza a quella limitrofa od analoga censita , al periodo dell’atto di
compravendita o a quello precedente in cui è stato pattuito il prezzo con atto avente data certa e
allo stato conservativo normale… ” ), quanto piuttosto alla applicazione della presunzione

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Con
Stefano O ivieri

La norma asseritamente applicata dall’Ufficio fmanziario, introdotta in sede di

legale in quanto determinazione automatica del maggiore valore del bene riferito
all’importo mutuato o finanziato.
La censura, come sopra definita, è priva del requisito di specificità ex art. 366co 1 n.
4) c.p.c. in quanto, non soltanto la parte ricorrente omette del tutto di indicare in
relazione a quali contratti di vendita il valore sia stato determinato in riferimento
all’importo mutuato, ma non indica quale criterio di valutazione in concreto, diverso od
incompatibile con quello del “valore normale” di cui all’art. 14co3 Dpr n. 633/72, abbia
utilizzato l’Ufficio per determinare il maggior valore imponibile, tanto più in presenza
della contraria allegazione della Agenzia fiscale resistente secondo cui i valori OMI
sarebbe stati acquisiti solo ai fini di un riscontro della esattezza dei maggiori valori
accertati.
Il motivo si palesa quindi inammissibile per omessa individuazione dello stesso
oggetto della asserita violazione delle norme di diritto indicate in rubrica.

Con il quinto motivo la società impugna la sentenza di appello per violazione e falsa
applicazione dell’art. 109 comma 2, lett. b) del Dpr n. 917/1073 TUIR e ritenendo che
erroneamente i Giudici di merito avevano dichiarato legittimo l’avviso di accertamento
che assoggettava alle imposta sui redditi anche l’acconto sul prezzo di vendita versato
dal cliente Cimadoro, in quanto la somma incassata dalla società doveva essere imputata
al reddito imponibile dell’anno 2008 in cui era stato stipulato il rogito.
La esposizione delle ragioni in fatto della critica svolta alla sentenza è gravemente
lacunosa , non essendo dato comprendere -neppure alla stregua del contenuto del motivo di
gravame trascritto a pag. 21 del ricorso per cassazione- se e quando sia stato corrisposto detto

acconto, tenuto conto che da quanto emerge dal controricorso, in sede di accesso nel
corso della verifica fiscale era stato reperito un contratto preliminare stipulato dal
Cimadoro “per il quale l’acquirente [ndr. recte il promissario acquirente] ha versato in
data 23.10.2006 l’importo di € 40.000,00 a titolo di acconto” (controric. pag. 9), essendo

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ric. Costruzioni Di Martino s.r.l. c/Ag.Entrate

Cons. st.
Stefano iJiieri

stata quindi assoggettata tale somma, in difetto della stipula del rogito al tempo della
verifica (idem supra), ad aliquota IVA.
Orbene fermo il principio che in tema di IVA, nella cessione di immobili il
presupposto impositivo si verifica, ai sensi dell’art. 6, primo e quarto comma, del d.P.R.
26 ottobre 1972, n. 633, al momento del passaggio di proprietà degli stessi, e, qualora
venga versato un anticipo del prezzo in previsione degli effetti reali, alla data del

pagamento di somme di denaro (o la dazione di cose fungibili) effettuato a titolo di
caparra confirmatoria di un contratto di compravendita di immobile è soggetto
all’imposta ed all’obbligo di fatturazione solo nella misura in cui tali somme (o cose
fungibili) sono destinate, per volontà delle parti, accertabile dal giudice di merito in base
ad elementi intrinseci ed estrinseci del contratto, ad anticipazione del prezzo per
l’acquisto del bene (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 1320 del 22/0112007; id. Sez. 5,
Sentenza n. 8792 del 10/04/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 24570 del 03/12/2010), ed altrettanto

incontestato il principio che ai sensi dell’art. 109co2, lett. a), Dpr n. 917/1973 TUIR i
corrispettivi delle cessioni di beni immobili si considerano conseguiti -e debbono quindi
essere imputati a reddito imponibile ai fini della imposte sui redditi- alla data della
stipula dell’atto traslativo o costitutivo del diritto di proprietà o di altro diritto reale
(vedi: Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 4393 del 21/02/2008, con riferimento ad acconti percepiti su
SAL di appalto),

nella specie -avuto riguardo anche alla contraria allegazione della

controricorrente- difetta, ai fini della autosufficienza del motivo di ricorso, la
indicazione del fatto dimostrativo dell’erronea tassazione ai fini IRES ed IRAP, e non
solo ai fini IVA, della somma predetta, avendo omesso la parte ricorrente di trascrivere
il contenuto essenziale dell’avviso di accertamento, rimanendo preclusa a questa Corte,
che non ha accesso diretto agli atti e documenti del giudizio di merito, la verifica
preliminare della corrispondenza della censura alla statuizione della sentenza impugnata
(che ha affermato la legittimità dell’avviso di accertamento).

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RG n. 7305/2012
ric. Costruzioni Di Martino s.r.l. c/Ag.Entrate

pagamento di questo e limitatamente all’importo a tal fine destinato. Ciò comporta che il

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società contribuente condannata
alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte :
– rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio

Così deciso nella camera di consiglio 13.5.2014

di legittimità, liquidate in € 10.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.

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