Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15052 del 21/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 21/07/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 21/07/2016), n.15052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24333-2011 proposto da:

IMMOBILIARE TRENTO S.r.l., (già AGAMENNONE S.r.l.) c.f. (OMISSIS) in

persona del legale rappresentante pro tempore, nonchè dagli Eredi

legittimi di V.C. i Sig.ri V.E.,

V.R., G.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BOCCA

DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO PINNARO’, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAVIDE SPIGOLI

nominato con procura speciale notarile per dottor ATTILIO TAJANI

Notaio in Parma Rep. 91 del 4.2.2016;

– ricorrenti –

contro

C.L., (OMISSIS), appartenente all’Associazione

professionale “Defilippi & Associati” p.iva (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 143, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI PATRICELLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato CLAUDIO DEFUIPPI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 759/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato CURZIO CICALA, con delega orale dell’avvocato

MAURIZIO PINNARO’ difensore dei ricorrenti, che si riporta agli atti

depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 10013/03 depositata il 30/1/03 il tribunale di Parma, in accoglimento della domanda proposta dalla signora C.L. nei confronti di V.C. e della società Agamennone srl (poi fusa per incorporazione nella società Immobiliare Trento srl) dichiarava la nullità del contratto di compravendita stipulato il 27 luglio 1984 a rogito notaio Marchi tra l’attrice e la società Agamennone, con ogni conseguente provvedimento relativo alle formalità di trascrizione presso gli uffici competenti.

Adita con l’appello della Immobiliare Trento e degli eredi di V.C., sigg.ri E. e V.R. e G.G., la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado, affermando che l’impugnato contratto di vendita intercorso tra l’attrice e la società Agamennone doveva considerarsi una modalità esecutiva di un contratto preliminare di compravendita immobiliare del 12/9/83 concluso tra la medesima attrice ed il signor V.C. (marito della amministratrice società Agamennone, signora G.G.) e collegato, in funzione di garanzia ed in elusione del divieto di patto commissorio, al mutuo erogato dal medesimo V. al convivente della C., signor P.G..

Avverso la sentenza della corte distrettuale propongono ricorso per cassazione la immobiliare Trento srl nonchè gli eredi di V.C..

La signora C.L. si è costituita con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza dell’8.3.16, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso si articola su tre motivi.

Con i primi due motivi, entrambi riferiti all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza e del procedimento per carenza di interesse ad agire dell’attrice (dedotta col primo motivo) e per carenza di legittimazione attiva dell’attrice e passiva dei convenuti (dedotta col secondo motivo); carenze, entrambe, dipendenti dalla cessazione della materia del contendere intervenuta, secondo i ricorrenti, perchè in corso di causa l’appartamento venduto dalla sig.ra C. alla società Agamennone con il contratto impugnato nel presente giudizio era ritornato in proprietà della stessa attrice, avendolo costei acquistato, in comunione con P.M., dalla sig.ra A.R., avente causa della società Agamennone, con atto notarile dell’1.6.1998 (stipulato nella pendenza del giudizio di primo grado ma reso noto ai ricorrente solo dopo la pronuncia della sentenza di appello).

I motivi sono entrambi inammissibili.

Quanto all’ammissibilità, va qui richiamato il principio, di recente ribadito da questa Sezione con la sentenza n. 2443/16, che in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c.; ipotesi tra le quali non rientra quella della nullità della sentenza, qualora il vizio non infici direttamente il provvedimento ma sia effetto di altra nullità relativa al procedimento. Entrambi i primi due motivi del ricorso si fondano su una questione, l’asserita cessazione della materia del contendere, che viene dedotta per la prima volta in sede di legittimità, implica un accertamento di fatto (relativo al riacquisto, da parte della sig.ra C., della proprietà dell’immobile oggetto del contratto impugnato nel presente giudizio) e non concerne direttamente la nullità della sentenza gravata, bensì la nullità del procedimento. D’onde l’inammissibilità di detti motivi.

Può comunque aggiungersi che, anche a prescindere dall’accertamento della circostanza di fatto del riacquisto dell’immobile in questione da parte della sig.ra C., i primi due motivi di ricorso risultano infondati già in base alla prospettazione dei ricorrenti. Quanto al primo motivo, si osserva che la circostanza che l’attrice abbia riacquistato una quota indivisa dell’immobile oggetto del contratto impugnato non elide l’interesse della stessa all’accertamento della nullità di tale contratto, giacchè detto accertamento può astrattamente rilevare ai fini di ulteriori pretese della medesima attrice nei confronti degli odierni ricorrenti e di terzi (irrilevante essendo, in questa prospettiva, il rilievo, evidenziato nella memoria illustrativa dei ricorrenti, che nel presente giudizio la domanda risarcitoria avanzata dalla C. contro i convenuti è stata giudicata inammissibile, perchè tardiva, dal giudice di prime cure; la declaratoria di inammissibilità di una domanda, infatti, non preclude la possibilità di riproporla in altro giudizio). Quanto al secondo motivo, si osserva che la suddetta circostanza di fatto non rimuove la legittimazione della sig.ra C. ad impugnare, quale parte venditrice, il contratto da lei concluso con la società Agamennone, e la legittimazione a resistere a tale impugnativa della società Immobiliare Trento, quale avente causa della parte compratrice Agamennone, e del sig. V.C., quale titolare di situazioni giuridiche connesse o identificabili con quelle della Immobiliare Trento, secondo la statuizione sul punto della sentenza gravata (pag. 5, primo cpv), non specificamente censurata dai ricorrenti.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione dell’art. 2744 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto che il trasferimento della proprietà dell’immobile cui accedeva un patto di riscatto costituisse il mezzo per eludere la norma imperativa di cui all’art. 2744 c.c.; al contrario, secondo i ricorrenti, nessun collegamento negoziale sussisteva tra il prestito effettuato a Gino Previdi ed il contratto preliminare seguito dalla vendita definitiva.

Il motivo va disatteso perchè, pur denunciando promiscuamente un vizio di violazione di legge ed un vizio di motivazione, non individua, quanto al dedotto vizio di violazione di legge, alcuna esplicita od implicita affermazione in diritto della sentenza gravata che si ponga in contrasto con le disposizioni di cui viene lamentata la violazione, nè individua, quanto al dedotto vizio di motivazione, alcune vizio logico dell’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale, nè alcun fatto storico decisivo, dalla stessa trascurato, di cui nel mezzo di gravarne si precisi, come richiesto dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quali atti ed in quali termini lo stesso sia stato dedotto in sede di merito. La censura proposta con il motivo in esame, in sostanza, si appunta contro le conclusioni a cui è approdato il libero convincimento del giudice di merito e non contro eventuali vizi del percorso formativo di tale convincimento; essa cioè si risolve in una istanza di revisione, da parte della Corte di cassazione, delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito. La censura risulta dunque inammissibile, perchè, come questa Corte ha più volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Al riguardo va altresì ricordato che questa Corte ha già chiarito, per un verso, che il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo anteriore alla riforma del 2012 (applicabile nel presente giudizio) – si denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (sent. n. 2805/11); per altro verso, che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (sent. n. 16499/09).

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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