Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15051 del 15/07/2020

Cassazione civile sez. II, 15/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 15/07/2020), n.15051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19639/2019 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in Brescia, via Alessandro

Luzzago n. 7, presso lo studio dell’avv.to FEDERICO SCALVI;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

14/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Brescia, con decreto pubblicato i 14 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da O.S., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale respingeva la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), poichè il racconto del richiedente non era attendibile a causa della sua incongruenza ed implausibilità. Le informazioni fornite non erano coerenti con le fonti consultate dal Tribunale, le fotografie prodotte ritraevano donne del Mozambico e non della Nigeria, il nome del villaggio del richiedente più volte modificato dal questi non consentiva neanche di risalire con certezza alla sua zona di provenienza, e, infine, vi era confusione tra il nome dichiarato del villaggio e quello dell’idolo venerato. Non era plausibile la successione forzosa del richiedente nel ruolo in precedenza rivestito dal padre come sacerdote rispetto al fatto che egli non era mai stato introdotto a tali riti e, anche che la comunità pretendeva di affidare un ruolo così importante ad una persona che lo rifiutava. Peraltro, le fonti riferivano che la successione in linea retta nel ruolo di chief o priest non apparteneva alla cultura africana e che la successione alla carica era tendenzialmente preceduta da una lunga preparazione.

Parimenti non erano integrati i presupposti per l’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c). Infatti, sulla base delle fonti internazionali e dei report più accreditati lo Stato federale di Edo in Nigeria era una zona che non poteva ritenersi soggetta a una violenza generalizzata derivante da un conflitto armato.

Doveva infine respingersi la domanda di rilascio di un permesso per motivi umanitari non emergendo alcuna situazione di vulnerabilità. Infatti, a prescindere dall’inattendibilità del ricorrente, doveva osservarsi che mancavano i presupposti per il riconoscimento di tale protezione, tanto quelli soggettivi che quelli oggettivi. Il richiedente godeva di buona salute, aveva una buona capacità lavorativa ed era rimasto in contatto con conoscenti nel suo paese di origine, mentre in Italia non aveva alcun legame oltre la struttura di supporto o al centro di accoglienza. La volontà di inserimento nel contesto sociale del paese ospitante non poteva essere elemento da solo idoneo a giustificare il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non delineando di per sè una situazione di vulnerabilità o la necessità di tutela dei diritti umani fondamentali. La situazione dello stato di provenienza del richiedente non presentava criticità tali sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona da determinare a una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata.

3. O.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h) e art. 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura attiene alla violazione delle norme sopra indicate secondo le quali il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato può essere ammesso alla protezione sussidiaria qualora sussistano fondati motivi di ritenere che se ritornasse nel paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno. Tale danno, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, si identifica nella condanna a morte, nella tortura o nel trattamento inumano o degradante o nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona.

La situazione della Nigeria a parere del ricorrente è tale da comportare un grave pericolo per coloro che sono soggetti all’oppressione sistematica e violenta senza alcuna tutela da parte delle autorità locali.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura attiene alla mancata attivazione dei poteri istruttori che devono necessariamente essere posti in essere qualora il racconto del richiedente non sia suffragato da prove ma risulti dal racconto una certa credibilità in base ai criteri offerti dall’articolo tre citato.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione del D.L. n. 113 del 2018, in tema di protezione umanitaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura attiene all’erronea valutazione da parte del Tribunale di Brescia circa le criticità presenti in Nigeria che non darebbero luogo a un’emergenza umanitaria. Al contrario, a parere del ricorrente, la situazione socio-politica esistente in Nigeria giustificherebbe, anche in relazione alla situazione personale del ricorrente, il pericolo di gravi violenze in caso di rimpatrio.

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Brescia ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente, sia in ordine alla situazione complessiva della Nigeria, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Il ricorrente, inoltre, deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale della Nigeria, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Nigeria, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente lamenta il riferimento a fonti non aggiornate ma non indica altre fonti più recenti che siano idonee a smentire quanto accertato dal Tribunale.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astratt.amente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020

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