Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15050 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/06/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 22/06/2010), n.15050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23578-2006 proposto da:

D.M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato BOLOGNA GIULIANO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO DI VIGILANZA “CITTA’ DI ROMA” SOCIETA’ COOPERATIVA PER

AZIONI (già Istituto di Vigilanza “Città di Roma” s.r.l.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 24, presso lo studio

dell’avvocato CAPUA CARLO, che lo rappresenta e difende, giusta

delega a margine del controricorso;

— controricorrente –

avverso la sentenza n. 2227/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/08/2006 R.G.N. 10516/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato CAPUA CARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

D.M.L. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 1 agosto 2005, che ha respinto l’appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Roma aveva rigettato il suo ricorso volto al riconoscimento, nei confronti del suo datore di lavoro “Istituto di vigilanza città di Roma”, del lavoro straordinario nel calcolo del TFR e dell’indennità di anzianità. Il ricorso è articolato in due motivi.

L’Istituto si difende con controricorso. Ha inoltre depositato una memoria.

Con il primo motivo si denunzia la violazione dell’art. 2120 c.c. ed il relativo vizio di motivazione. Vengono criticate le due parti della sentenza in cui si rigetta la domanda di computo dello straordinario ai fini del TFR, con due argomenti distinti. In primo luogo ritenendo inammissibile il relativo motivo di appello in cui si assume che quello svolto non sarebbe stato un lavoro straordinario, ma un lavoro ordinario costantemente eseguito oltre i limiti dell’orario normale. In secondo luogo, affermando che il contratto collettivo, pacificamente applicabile al rapporto, esclude lo straordinario dal calcolo del TFR anche se svolto in modo regolare.

La censura riguardante il primo punto viene proposta in violazione del criterio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione. La Corte ha dato un’interpretazione del ricorso introduttivo del giudizio e dei motivi di appello, ritenendo che vi sia stato un cambio di tesi con introduzione di una domanda nuova e, quindi, concludendo per l’inammissibilità del motivo. La critica di tale parte della motivazione viene svolta senza riportare i passaggi del ricorso introduttivo e dell’appello valutati dalla Corte. Anche la censura relativa alla seconda affermazione della Corte non è fondata.

A partire da Cass. n. 11815 del 1998 l’art. 2120 c.c., comma 2 (testo novellato dalla L. 29 maggio 1982, n. 297), è stato costantemente interpretato fissando i seguenti punti:

I compensi per il lavoro straordinario prestato in maniera non occasionale rientrano nella base retribuiva utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto, a meno che la disciplina collettiva ne abbia escluso, ai sensi dell’art. 2120 c.c., comma 2 (nel testo sostituito dalla L. n. 297 del 1982, art. 1) la computabilità, derogando – come le è consentito – al principio dell’onnicomprensività della retribuzione.

L’interpretazione del relativo contratto collettivo è rimessa al giudice del merito e può essere censurata solo per violazione dell’art. 1362 e ss. c.c., o per vizio di motivazione.

Qualora il contratto collettivo introduca una deroga resta salva la questione dell’eventuale contrasto delle clausole contrattuali con l’art. 36 Cost. e con il principio di equità. A tale riguardo va, tuttavia, precisato che, da un lato, esiste una presunzione di rispetto dei due citati parametri in presenza di una norma di un contratto collettivo che è il risultato di un accordo delle parti sociali in ordine alla regolamentazione da adottare circa un determinato istituto nel reciproco interesse dei soggetti stipulanti e di quelli che da essi sono rappresentati; dall’altro lato, l’art. 36 cit., regola l’assetto complessivo della retribuzione e non può considerarsi violato – in linea di principio – dalla negazione di una singola componente della retribuzione a determinati fini, tanto più ove essa sia dalla legge consentita (nella fattispecie esaminata da Cass. 11815/1998 la sentenza di appello aveva ritenuto che l’art. 58 del CCNL 16 luglio 1987 per i dipendenti degli istituti di vigilanza, escludendo la computabilità dei compensi per il lavoro straordinario non occasionale ai fini del calcolo per il TFR, non si ponesse in contrasto nè con l’art. 2120 cod. civ. nè con l’art. 36 Cost.).

Nel caso in esame la censura dell’interpretazione del contratto fornita dalla Corte è generica: non vengono specificati i canoni violati, nè viene spiegato il perchè sarebbero stati violati. La dimostrazione del contrasto con i criteri dettati dall’art. 36 Cost.

e con il principio di equità è poi pretermessa.

Il secondo motivo attiene al periodo anteriore al 1982, soggetto alla disciplina previgente. Il problema posto è di ordine probatorio. Si censura la sentenza per non aver ritenuto provato lo svolgimento di lavoro straordinario in misura non occasionale in applicazione del principio di non contestazione, per non aver correttamente valutato le prove offerte (prospetti paga) e per non aver ammesso le istanze istruttorie del ricorrente.

Il primo rilievo è mosso in violazione del principio di autosufficienza, perchè non si da conto puntualmente di come i fatti sono stati allegati in ricorso e di come sul punto la memoria di costituzione si è rapportata.

Il secondo rilievo si limita a proporre una diversa valutazione del quadro probatorio, a fronte di una valutazione della Corte di merito che è motivata con argomenti completi, lineari e convincenti.

Quanto alla richieste di prova non accolte, la sentenza contiene una precisa risposta a tutte le relative istanze e la scelta del giudice di merito risulta congruamente motivata.

Il ricorso pertanto deve essere rigettato.

Le spese devono, per legge, essere poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere le spese di legittimità in favore della controparte, liquidandole in Euro 22,00, nonchè 2.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

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