Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15049 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15049 Anno 2014
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 4721-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona

del

Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliatct in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lorappresenta e difende;
– ricorrente contro
FALAPPA DANILO;
– intimato Nonché da:
FALAPPA DANILO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
CASAL DE’ PAZZI 148, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 02/07/2014

FELICIANI WALTER, rappresentato e difeso dall’Avvocato
LEONARDI RICCARDO giusta delega a margine;
– controricorrente incidentale contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
intimatg,

avverso la sentenza n. 148/2008 della COMM.TRIB.REG.
di ANCONA, depositata 1’08/10/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/05/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato VARONE che si
riporta agli scritti;
udito per il controricorrente l’Avvocato LEONARDI che
si riporta agli scritti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del
ricorso incidentale.

t.

RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di processo verbale di constatazione del
15.12.04, veniva notificato a Falappa Danilo, in data
25.7.05, un avviso di accertamento, con il quale l’ Ufficio recuperava a tassazione, ai fini IRPEF per l’anno di
imposta 1998, ai sensi dell’art. 32 d.P.R. 600/73, i ricavi non dichiarati in relazione a versamenti e prelevaquesti non giustificati.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla società dinanzi alla CTP di Ancona, che accoglieva il ricorso.
3. L’appello principale avverso tale pronuncia, proposto
dall’Agenzia delle Entrate, veniva parzialmente accolto
dalla CTR delle Marche, con sentenza n. 148/4/08, depositata 1’8.10.08, mentre veniva rigettato l’appello incidentale del contribuente. Con tale pronuncia, invero, il
giudice di seconde cure, per un verso, reputava infondato
l’assunto del primo giudice circa la necessità, ai fini
della trasmissione dei dati e documenti acquisiti in sede
penale agli Uffici finanziari, dell’autorizzazione del
P.M., per altro verso, riteneva di dover ridurre il maggior reddito accertato dall’ Amministrazione nella misura
del 90%, pari alla ritenuta incidenza dei relativi costi
nella produzione del reddito di impresa.
4. Per la cassazione della sentenza n. 148/4/08 ha, quindi, proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a
tre motivi. Il contribuente ha resistito con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale affidato ad
un solo motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. In via pregiudiziale, va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso principale proposta dal resistente Falappa Danilo, secondo il quale l’atto introduttivo del
presente giudizio sarebbe stato notificato con un giorno
di ritardo rispetto al termine di sessanta giorni di cui
all’art. 325 c.p.c., ossia il 9.2.09, a fronte della notifica della decisione di appello, avvenuta il 10.12.08.

menti sui conti bancari intestati al contribuente e da

Il giorno di scadenza del termine suindicato, ovverosia
1’8.2.09, cadeva, infatti, di domenica, per cui il termine in questione è da intendersi prorogato al giorno successivo, ai sensi dell’art. 155, co. 4, c.p.c.
2. Ciò premesso, va rilevato che, con i tre motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Entrate denuncia
2729 c.c., in relazione all’art. 360, co. l, n. 3 c.p.c.,
nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione su
fatti decisivi della controversia, in relazione all’art.
360, co. 1, n. 5 c.p.c.
2.1. La CTR – a parere della ricorrente – avrebbe, difatti, del tutto disatteso la prova legale desumibile, a
norma dell’art. 32 d.P.R. 600/73, dalle movimentazioni
dei conti bancari del contribuente, avendo ritenuto infondata la ripresa a tassazione dei prelevamenti effettuati su tali conti, sebbene il Falappa non avesse fornito prova alcuna, né di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, né in ordine
alla loro eventuale irrilevanza nella determinazione del
reddito di impresa.
2.2. La motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe, dipoi, del tutto incongrua e contraddittoria, laddove il
giudice di appello avrebbe immotivatamente disposto un
abbattimento del reddito di impresa accertato dall’ Ufficio, nella misura del 90%, sebbene il contribuente – a
detta della stessa CTR – non avrebbe fornito giustificazione alcuna al riguardo, ed ancorchè la documentazione
dal medesimo prodotta fosse stata giudicata incompleta ed
insufficiente dalla stessa CTR.
2.3. Le censure sono fondate.
2.4. Ed invero, va osservato a tal riguardo che la norma
di cui all’art. 32, co, l, n. 2) del d.P.R. 600/73 contiene una duplice previsione regolamentare, la cui portata ed il cui significato è opportuno chiarire in via preliminare. La disposizione succitata contiene, invero,
nella prima parte, una disciplina di ordine generale –

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la violazione degli artt. 32 del d.P.R. 600/73, 2697 e

che difatti, non a caso, è del tutto analoga a quella
prevista, in materia di IVA, dall’art. 51, co. 2, n. 2
del d.P.R. 633/72 – consistente nel fatto che i “dati” e
gli “elementi” acquisiti attraverso le indagini bancarie
possono essere posti a base degli accertamenti e rettifiche, di cui agli artt. 38-41 del d.P.R. 600/73 (54 e 55
d.P.R. 633/72 per l’IVA), se il contribuente non dimostra
soggetto ad imposta, o che essi non hanno rilevanza allo
stesso fine. Nella seconda parte, riferibile al solo campo delle imposte dirette, la norma dell’art. 32 cit. prevede, inoltre, la possibilità che i “prelevamenti” vengano equiparati ai “ricavi o compensi” (nella versione successiva alle modifiche introdotte dall’art. 1, co. 402
della l. 311/04, che ha introdotto anche i “compensi”),
ai fini delle rettifiche ed accertamenti, ove il contribuente non ne indichi il “beneficiario”, e sempre che essi non risultino dalle scritture contabili.
2.5. Orbene, tra queste due diverse previsioni esistono
evidenti punti di contatto, rappresentati dal fatto che contemplando la disposizione succitata una presunzione
legale relativa, e non assoluta – in entrambi i casi il
potere impositivo può essere paralizzato in radice dalla
prova contraria offerta dal contribuente.
2.5.1. In tale prospettiva, invero, la giurisprudenza di
questa Corte si è univocamente espressa nel senso che, in
tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, la
presunzione sancita dall’art. 32, co. l, n. 2, del d.P.R.
n. 600/73 – che, data la fonte legale, non necessita dei
requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti
dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici – impone
di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi
che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i
primi sono serviti per pagare determinati beneficiari,
anziché costituire acquisizione di utili. Ed inoltre,
considerato che, in materia, sussiste inversione dell’o-

di averne tenuto conto per la determinazione del reddito

nere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va
contrapposta una prova specifica da parte del contribuente, e non un’altra presunzione semplice, ovvero una mera
affermazione di carattere generale, né è possibile ricorrere ad una valutazione equitativa (Cass. 18016/05;
25365/07; 16650/11; 13035/12).
2.5.2. La presunzione legale relativa posta dall’art. 32,
l’Ufficio tributario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al
contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti
necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù
dell’inversione dell’onere della prova. Il contribuente
deve dimostrare, pertanto, che gli elementi desumibili
dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non
generica, ma analitica, con indicazione specifica della
riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia
estranea a fatti imponibili (cfr. Cass. 7766/08;
18081/10; 213939/13, con riferimento all’IVA).
2.6. Ebbene, nel caso di specie, siffatta dimostrazione è
del tutto mancata da parte del Falappa, come ha accertato
la stessa CTR, laddove afferma che il contribuente, nonostante ripetuti inviti della Guardia di Finanza (p. 2),
“non ha fornito giustificazioni” (p. 4) circa gli accrediti di ingenti somme in conto corrente, e che “la documentazione depositata dal contribuente in sede di appello
(…) per la sua incompletezza, non è idonea a dimostrare
quanto asserito dal medesimo”.
E tuttavia, del tutto incongruamente e contraddittoriamente, la CTR perviene, poi, al convincimento – fondato
sulla decisione della C. Cost. n. 225/05 – secondo cui il
maggiore reddito accertato dall’Ufficio andrebbe ridotto
alla misura del 10%, dovendo considerarsi l’incidenza su
di esso dei costi di produzione del reddito medesimo,

4

co. 1, del d.P.R. n. 600/73, in altri termini, vincola

quantificati, in via del tutto anapodittica, in ragione
del 90%.
2.7. Senonchè, deve – per contro – rilevarsi che, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di appello, non può
giovare affatto alla tesi del contribuente la menzionata
decisione della Corte Costituzionale n. 225/05. Tale pronuncia ha, infatti, ritenuto – come rilevato da questa
fondata la questione di legittimità costituzionale, in
riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 32, co. 1,
n. 2, del d.P.R. n. 600/73, nella parte in cui prevede
che i “prelevamenti” effettuati nell’ambito dei rapporti
bancari siano posti, come ricavi, a base delle rettifiche
ed accertamenti dell’amministrazione finanziaria, se il
contribuente non ne indichi il soggetto beneficiario e
sempreché non risultino dalle scritture contabili.
2.7.1. La Corte ha – per vero – reputato infondato ed
anapodittico l’assunto del giudice rimettente circa
l’indeducibilità a priori,

per effetto della presunzione

legale di imputazione ai ricavi, delle componenti negative dal maggior reddito d’impresa accertato in base alla
norma impugnata, sulla considerazione che tale assunto
risulta smentito dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di accertamento induttivo
– quale è senza dubbio quello extracontabile esperito sui
conti bancari del contribuente – si deve tenere conto, in
ossequio al principio di capacità contributiva, non solo
dei maggiori ricavi ma anche dell’incidenza percentuale
dei relativi costi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati.
2.7.2. La pronuncia suesposta è stata resa, pertanto, con
palese riferimento alla più delicata – rispetto a quella
dei versamenti in conto corrente – fattispecie concernente i “prelevamenti” dai conti, per la quale – in presenza
di una disciplina che prevede un’espressa qualificazione
normativa del fatto (i prelevamenti si considerano ricavi), nonché uno specifico onere a carico del contribuente
(indicare il beneficiario del prelevamento) – si sono po-

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Corte, nella decisione n. 13036/12 – manifestamente in-

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sti dubbi circa la conformità della disciplina medesima
ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 (poiché
implicherebbe un’equivalenza tra ricavi e redditi, senza
consentire una deduzione dei relativi costi) e 3 Cost.
(per lesione del canone della ragionevolezza). E tale
contrasto è stato escluso in considerazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale – peraltro fornisca – secondo i principi sopra enunciati – la prova
specifica dell’effettività degli stessi e del loro ammontare, con esclusione di mere affermazioni di carattere
generale o di determinazioni forfettarie, anche perché
non sempre a ricavi occulti corrispondono costi occulti,
mentre a ricavi occulti possono accompagnarsi costi dichiarati in misura maggiore del reale (Cass. 18016/05).
Non è possibile, pertanto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, contrapporre alla presunzione ex
art. 32 del d.P.R. n. 600/73, relativamente ai prelevamenti dai conti, un’altra presunzione in relazione ad un
abbattimento forfettario costituito da costi deducibili,
dei quali non sia stata fornita compiuta dimostrazione da
parte del contribuente (cfr. Cass. 23873/10; 1426/13).
2.8. Ebbene, nel caso concreto, vengono in considerazione
– come si rileva dalla stessa sentenza di appello – sia i
“versamenti”, per i quali non si pone il problema affrontato dalla succitata sentenza della Consulta, che i “prelevamenti” operati dal Falappa nell’anno 1998, sui conti
a lui intestati, in relazione ai quali il medesimo non è
stato in grado di fornire giustificazione alcuna, e che
sono

stati,

pertanto,

legittimamente

ricondotti

dall’Ufficio all’attività di impresa esercitata, sia pure
di fatto, dal contribuente, avendo il Falappa cessato
formalmente la sua attività il 31.12.98. In siffatta ipotesi, dunque, l’Amministrazione finanziaria – per le ragioni suesposte – era senz’altro legittimata a porre le
risultanze acquisite, ovverosia i “versamenti” ed i “prelevamenti” sul conto bancario, a base dell’accertamento
tributario, non avendo il contribuente indicato il bene-

il contribuente può dedurre i relativi costi, sempre che


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ficiario di questi ultimi, e non risultando che tali movimenti fossero stati indicati nelle scritture contabili
o che fossero irrilevanti ai fini dell’imposizione, nonchè in assenza della prova, quanto ai prelevamenti,
dell’esistenza di costi detraibili correlati alla produzione del reddito da parte del contribuente.
2.9. E’, allora, del tutto evidente l’errore nel quale è
menti di prova da parte del Falappa – ha deciso di determinare, del tutto illegittimamente ed immotivatamente, i
presunti costi di produzione del reddito nella misura
forfettaria del 90%. E tanto in applicazione di una pronuncia della Corte Costituzionale che, per un verso, non
si riferisce ai versamenti sui conti bancari, e per altro
verso, in relazione ai prelevamenti, rinvia alla giurisprudenza di questa Corte la quale, sebbene ammetta la
deduzione dei costi relativi alla produzione del reddito,
fa comunque carico al contribuente di fornire la dimostrazione della loro esistenza e del loro ammontare.
3. Per tutte le ragioni che precedono, le censure in esame vanno, pertanto, accolte.
4. Passando, quindi, all’esame del ricorso incidentale
proposto dal Falappa, va rilevato che, con l’unico motivo
di ricorso, il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 114, 125 e 329 c.p.p., 63,
co. l del d.P.R. 633/72 e 33, co. 3 del d.P.R. 600/73, in
relazione all’art. 360, co. l, n. 3 c.p.c.
4.1. Si duole, invero, il ricorrente del fatto che la CTR
abbia ritenuta legittimo e valido l’atto impositivo, nonostante l’Ufficio avesse utilizzato, ai fini dell’ accertamento tributario in discussione, gli atti di indagine raccolti dalla Guardia di Finanza nel procedimento penale n. 1870/02 RGNR, promosso, per gli stessi fatti,
dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ancona. Ed infatti, ad avviso del Falappa, a differenza
dell’ipotesi in cui la Guardia di Finanza opera sia come
polizia tributaria che come polizia giudiziaria, il presupposto indefettibile per l’utilizzabilità dei documen-

incorsa la CTR, la quale – in assenza dei suddetti ele-

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ti, dei dati e delle notizie acquisiti in sede penale,
allorquando – come nella specie – i verbalizzanti operino
solo come organi di polizia giudiziaria, è costituito
dall’autorizzazione del Pubblico Ministero, ai sensi
dell’art. 63 del d.P.R. 633/72.
4.2. Nel caso concreto, peraltro, sebbene una sorta di
questione sussista, esso – risolvendosi nella laconica
locuzione “v ° si autorizza” – sarebbe del tutto privo di
motivazione, in violazione di quanto prescritto per i decreti penali dall’art. 125 c.p.p., e non sarebbe stato
neppure depositato nella segreteria del Pubblico Ministero. Sicchè detto provvedimento non potrebbe consentire anche in deroga al segreto istruttorio ex art. 329
c.p.p., come prevede l’art. 63 del decreto cit. l’utilizzazione del materiale raccolto dalla polizia giudiziaria in sede di indagini penali.
4.3. Il motivo è infondato.
4.3.1. Va, difatti, osservato al riguardo che, in materia
di IVA – ma lo stesso è a dirsi per le imposte dirette,
stante il disposto dell’art. 33 del d.P.R. 600/73 – l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta
dall’art. 63, co. l, del d.P.R. n. 633/72, per la trasmissione, agli Uffici delle imposte, dei documenti, dati
e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito
di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, e non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi.
Ne discende che la sua mancanza, se può avere riflessi
anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca
l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica
l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta
degli stessi. L’autorizzazione in parola è stata, infatti, introdotta per realizzare una maggiore tutela degli
interessi protetti dal segreto istruttorio (C. Cost.
51/92), piuttosto che per filtrare ulteriormente l’acqui-

provvedimento autorizzatorio dell’organo giudiziario in

ESENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D.P.R. 26/4/19%
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N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5
MATERIA TRIBUTAM

sizione di elementi significativi a fini fiscali (Cass.
11203/07; 27947/09; 27149/11).
4.3.2. Se ne deve necessariamente inferire – con riferimento al caso di specie – che la sussistenza di un decreto autorizzatorio, seppure non del tutto fornito dei requisiti formali previsti dalla legge, non può,
ri,

a

fortio-

comportare la dedotta invalidità dell’avviso di ac-

raccolto in sede penale.
4.4. La censura in esame va, di conseguenza, disattesa.
5. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso
dell’Agenzia delle Entrate va accolto, mentre va rigettato il ricorso incidentale del Falappa. In accoglimento
del ricorso principale, l’impugnata sentenza va cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito
di cui all’art. 384, co. 1 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
poste a carico dell’intimato soccombente, nella misura di
cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei
giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;
condanna Falappa Danilo alle spese del presente giudizio,
che liquida in E 13.000,00, oltre alle spese prenotate a
debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei
gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezi Tributaria, il 13.5.2014.

certamento adottato dall’Ufficio sulla base del materiale

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