Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15047 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. I, 28/05/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 28/05/2021), n.15047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16257/2020 proposto da:

J.A., elettivamente domiciliato in Pescara presso lo Studio

dell’avv. Danilo Colavincenzo, in via Anton Ludovico Antinori nr 6;

– ricorrente –

contro

Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione

internazionale Ancona, Ministero dell’interno;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il

26/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

D.A. ha chiesto la concessione della protezione internazionale, esponendo di provenire dal (OMISSIS) e di essere omossessuale; di avere iniziato ad avere rapporti con uomini nel 2014; di essere stato costretto ad abbandonare il villaggio in quanto la sua famiglia gli aveva imposto di sposare la moglie del fratello deceduto precisando che il matrimonio era stato comunque celebrato in sua assenza; di essere tornato nel villaggio dopo aver saputo che la moglie era tornata a vivere presso la sua famiglia d’origine; di essere stato sorpreso da un uomo mentre intratteneva una relazione fisica con un altro uomo; di aver abbandonato il paese per il timore di esser perseguito temendo che gli abitanti del suo villaggio potessero applicare nei suoi confronti la Shaaria.

Il Tribunale di L’Aquila, con decreto meglio indicato in epigrafe, ha respinto la domanda, ritenendo inattendibile il racconto del ricorrente in quanto caratterizzato da incongruenze, imprecisioni e palese implausibilità.

Il primo giudice ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

Ha in particolare ritenuto privo di sufficienti elementi di specificazione e di riscontro il racconto del richiedente, basato sulla sua condizione di omosessuale, sulla insussistenza di una situazione di insicurezza generalizzata del paese di provenienza, il (OMISSIS), e sulla non concedibilità del permesso umanitario in assenza di situazioni di vulnerabilità.

D.A. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria cui non resiste il Ministero.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e g), art. 3, comma 3, lett. a, b, c, comma 5, art. 7, comma 1 e 2, art. 8, comma 1, lett d) e comma 2, art. 15ì4, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 1 e 2 in ordine alla valutazione sulla credibilità del richiedente quanto all’orientamento sessuale ed in ordine al timore rappresentato con riferimento ai principi di individualità, imparzialità e obbiettività ed al particolare regime probatorio che regolano l’esame della domanda di riconoscimento della protezione internazionale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, art. 14, lett c) e art. 8, comma 2 e 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis in ordine alla valutazione del rischio di danno grave per la generale condizione sociale e politica del (OMISSIS) su cui il Collegio assumeva informazioni non aggiornate relative all’anno 2018 in violazione del principio di stretta attualità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il terzo motivo si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a, b, c e comma 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e 3, art. 27, comma 1 bis del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 in ordine alla valutazione della condizione individuale del richiedente, alle produzioni in via istruttoria e alla generale situazione del (OMISSIS) relativamente al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Il primo motivo è infondato.

Al riguardo, questa Corte (Cass. n. 11103/2019) ha puntualizzato che la cooperazione istruttoria non incide sul piano dell’allegazione, bensì su quello della prova, con la conseguenza che rimane integro, ed anzi deve essere adempiuto in maniera specifica, l’onere di allegazione da parte del richiedente dei fatti costitutivi del diritto, siccome desumibile dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2.

Pertanto, i fatti costitutivi del diritto alla protezione devono necessariamente essere indicati dal richiedente, su cui grava un dovere di cooperazione imposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, consistente nell’allegare, produrre e dedurre tutti gli elementi ed i documenti necessari a motivare la domanda, circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del Paese di provenienza, non potendo il giudicante “supplire attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi alle decisione probatorie del ricorrente” (così, in parte motiva, Cass. n. 3016/2019; Cass., ord. n. 27336/2018). Ai sensi dell’art. 4 (2) della direttiva 2011/95/UE, il ricorrente l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale – deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentata (v. Corte di giustizia UE, 5 giugno 2014, C-146/14). Più in generale, Cass. n. 14157/2016, in continuità con le precedenti pronunce (Cass. n. 10177/2011, Cass. n. 18353/2006; Cass. n. 26278/2005), pone il relativo onere probatorio sull’istante, il quale può dimostrare, anche in via indiziaria, la “credibilità” dei fatti allegati, ma questi devono avere carattere di precisione, gravità e concordanza.

Tanto premesso, dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che il giudice del merito si sia attenuto ai principi sopra indicati laddove ha ritenuto che la vicenda narrata dal richiedente fosse caratterizzate da contraddizioni, imprecisioni e palese implausibilità spiegandone ai punti dall’uno al 4 (pg 16 e 17 del decreto) le ragioni del suo convincimento.

E’ da rilevare, in proposito, che la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503). Il secondo motivo è totalmente riversato nel merito e richiede alla Corte una valutazione della situazione difforme da quella ricostruita dal Tribunale, che ha debitamente adempiuto al proprio dovere di cooperazione istruttoria sotto tutti i profili rilevanti, citando le fonti internazionali consultate e utilizzate;

Il Giudice del merito ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719).

Il terzo motivo è inammissibile perchè esprime una mera critica di merito rispetto alla motivata valutazione del Tribunale, condotta secondo i parametri fissati dalla giurisprudenza di legittimità.

Secondo la sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, adesiva al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, al fine di valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

Il livello di integrazione dello straniero in Italia e il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo non integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza;

il Tribunale, puntualmente allineato a tale orientamento giurisprudenziale avallato dalle Sezioni Unite, ha escluso sia la sussistenza di una condizione di specifica e personale vulnerabilità soggettiva del richiedente, anche in considerazione della mancata dimostrazione di un significativo percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia diverso dal mero e irrilevante svolgimento di attività formative in regime di accoglienza.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese per la mancata attività difensiva del Ministero.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

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