Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15044 del 28/05/2021

Cassazione civile sez. I, 28/05/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 28/05/2021), n.15044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10482/2020 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in Pescara presso lo Studio

dell’avv. Danilo Colavincenzo, in via Anton Ludovico Antinori nr 6;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per Il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Ancona, Ministero Dell’interno;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il

04/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

Con decreto del 21.2.2020 nr 493 il tribunale di L’Aquila ha rigettato il ricorso proposto da F.L. cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento, emesso dalla locale Commissione territoriale, di diniego della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In particolare, il tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del migrante, generico e contraddittorio, così da non ritenere provati nè il suo orientamento sessuale nè il racconto offerto, essendo egli stato assolutamente vago sulle ragioni per le quali sarebbe stato arrestato in Mauritania dove si era spostato senza una minima organizzazione di viaggio abbandonando affetti e beni materiali in Patria.

Il primo Giudice, poi, ha rilevato che nella regione di residenza del richiedente non era in atto una violenza indiscriminata e diffusa, rilevante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14; ha constatato come non risultasse fondato il timore per la propria incolumità, in caso di rientro in patria, e non erano stati evidenziati particolari legami familiari con il territorio italiano o patologie da curare in Italia; di conseguenza, ha rigettato le domande proposte.

F.L. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia affidandosi a tre motivi illustrati da memoria mentre il Ministero dell’Interno non resiste.

Diritto

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e g), art. 3, comma 3, lett. a), b), e c) e comma 5, art. 7, comma 1 e 2, art. 8, comma 1, lett. D) e comma 2, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 1 e 2.

Si sostiene che l’iter motivazionale che ha condotto al rigetto della domanda di protezione internazionale sarebbe viziato quanto al principio di individualità, imparzialità e obiettività in quanto il Tribunale si sarebbe concentrato sulle discrepanze temporali del racconto del richiedente sottraendo consistenza e rilevanza al nucleo centrale della condizione individuale del ricorrente.

Con il secondo motivo si censura in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 art. 14, lett. C) e della L. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e 3, art. 27, comma 1 bis.

Si lamenta che il primo Giudice non avrebbe proceduto ad una correlazione fra la condizione di significativo rischio esistente per il richiedente e la situazione generale del Paese assumendo informazioni non aggiornate ferme all’anno 2018. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), b) e c) e comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e 3, art. 27, comma 1 bis, del D.L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19.

Si duole che il Tribunale muovendo dalla non credibilità del racconto non ha svolto alcuna verifica sulla sussistenza di forme di violazione dei diritti umani nel (OMISSIS) siano esse legate alla condizione individuale del richiedente e a quella generale del Paese.

Si rileva che l’impianto motivazionale sarebbe viziato per la violazione delle norme inerenti l’esame degli elementi pertinenti e rilevanti dichiarati dal ricorrente, prime fra tutte la sua condizioni di omossessualità, che andava disancorata dall’iter valutativo seguito per le forme di protezione internazionale attenendo alla situazione di vulnerabilità del richiedente.

Il primo motivo è inammissibile.

Il tribunale ha affermato che il ricorrente aveva reso un racconto generico e contraddittorio, che non consentiva nemmeno di ritenere che il medesimo fosse omosessuale.

Occorre considerare che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili.

Tale apprezzamento è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione o motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile; si deve invece escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).

Nel caso in disamina, il ricorrente non ha specificamente censurato il vaglio svolto dal tribunale sul punto, proponendo, di contro, critiche che non rientrano nel novero delle censure ammissibili, mirando invece a una non consentita rivisitazione del merito della vicenda.

Ne consegue che il provvedimento impugnato sfugge ad ogni rilievo censorio nella parte in cui ha denegato il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), mentre le critiche del ricorrente risultano astratte e generiche, risolvendosi formalmente nella trascrizione di altre decisioni di merito e sostanzialmente nella mancata condivisione delle valutazioni di merito del tribunale.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

Il Tribunale ha esaminato la situazione del Paese di origine del ricorrente e ha escluso una situazione di conflitto armato, a cui astrattamente riconnettere l’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Tale accertamento può esser censurato in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il che non è stato fatto, sicchè l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.

Il ricorrente richiama alcune fonti informative, senza tuttavia evidenziare quale specifica informazione da esse ricavabile contraddirebbe la ricostruzione di fatto operata dal giudice di merito, dimostrando la non adeguatezza, o lo scarso aggiornamento, delle fonti da quest’ultimo utilizzate.

Sul punto, occorre ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censurar contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Infine anche le censure relative alla protezione umanitaria deve ritenersi inammissibile perchè generiche e tese a sollecitare una diversa valutazione del merito della vicenda.

Ciò a fronte di una motivazione che ha rilevato, per un verso, che il timore per la propria incolumità, in caso di rientro in patria, non è fondato e, per altro verso, che il richiedente non ha evidenziato particolari legami familiari con il territorio italiano o patologie da curare in Italia da comparare alla situazione generale di privazione dei diritti umani. (Cass., Sez. 1, n. 13573 del 2020).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese per la mancata attività difensiva del Ministero.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021

 

 

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