Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15044 del 15/07/2020

Cassazione civile sez. II, 15/07/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 15/07/2020), n.15044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24315/2019 proposto da:

S.E.H., rappresentato e difeso dall’Avvocato LUCA MILANI

dall’Avvocato PAOLA TURAROLO, presso il cui studio a Genova, vico

Stella 6/13, elettivamente domicilia, per procura speciale del

27/7/2019 in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il DECRETO n. 4511/2019 del TRIBUNALE DI TORINO, depositato

il 2/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 4/2/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.E.H., nato in (OMISSIS), ha impugnato il provvedimento con il quale la commissione territoriale ha t respinto la sua domanda di protezione internazionale.

Il tribunale di Torino, con decreto del 2/7/2019, ha rigettato il ricorso.

S.E.H., con ricorso notificato in data 1/8/2019, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione del decreto.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso notificato il 9/9/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità del decreto impugnato per vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, facendo proprie le motivazioni addotte dalla commissione territoriale, ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente fossero inattendibili.

1.2. Così facendo, ha osservato il ricorrente, il tribunale non ha considerato che, in realtà, la commissione territoriale in nessun alcun punto della propria decisione si era espressa nel senso di ritenere non credibile il racconto del richiedente, esprimendosi, al più, in termini di incertezza ed incoerenza di alcuni aspetti della narrazione.

1.3. La conclusione cui è giunto il tribunale, ha proseguito il ricorrente, risulta, pertanto, viziata da suddetta errata premessa.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale non ha tenuto in alcuna considerazione il fatto che il racconto del richiedente era stato ritenuto per alcuni aspetti credibile e per altri aspetti incerto, laddove, al contrario, il tribunale ha ritenuto che tale racconto non fosse credibile.

2.2. Sennonchè, ha proseguito il ricorrente, la manifesta non verità delle premesse ha pacificamente inficiato il procedimento inferenziale, determinando un evidente vizio del provvedimento impugnato.

3. Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente per l’intima connessione dei temi trattati, sono infondati. Il ricorrente, invero, non si confronta realmente con la decisione che ha impugnato: il tribunale, in effetti, dopo aver dichiarato di condividere la valutazione di non credibilità svolta alla commissione territoriale, ha, poi, evidenziato come gli assunti del richiedente erano del tutto incoerenti sotto il profilo tanto della datazione (avendo in un primo tempo affermato di essere partito nel 2013 e poi di essere giunto il Libia nel 2012), quanto della zona d’origine (avendo dapprima dichiarato di essere nato a (OMISSIS), e poi di essere nato a (OMISSIS)), rilevando come “le questioni ereditarie si riscontrano in innumerevoli racconti di richiedenti asilo, con identiche modalità”. Il richiedente, inoltre, ha aggiunto il tribunale con statuizione rimasta priva di censure, non ha svolto in ricorso alcun accenno alla sua vicenda personale, limitandosi ad affermare, a sostegno della domanda di protezione umanitaria, che lo stesso, partito più di cinque anni fa, “in caso di rimpatrio

verrebbe reimmesso in un contesto che non gli consentirebbe di sviluppare adeguatamente la propria capacità professionale” e che “questa situazione lo porrebbe in una situazione di particolare vulnerabilità”.

4.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e dell’art. 16 della Direttiva 2013/32/UE, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto di non procedere all’audizione personale del richiedente, ritenuta superflua ed irrilevante.

4.2. Così facendo, però, ha aggiunto il ricorrente, il tribunale non ha considerato che il richiedente aveva fatto precisa richiesta di audizione personale e che, all’udienza del 29/5/2019, il suo difensore aveva insistito in tal senso.

4.3. Peraltro, ha proseguito il ricorrente, trattandosi di un racconto incerto e non di un racconto non credibile, il giudice, anche in ossequio al dovere di cooperare nell’acquisizione e nella valutazione della prova, avrebbe dovuto formulare domande in modo che venisse fatta chiarezza sugli aspetti critici.

4.4. Nel caso di specie, quindi, ha concluso il ricorrente, l’audizione personale del richiedente non sarebbe stata certo ultronea, come erroneamente ritenuto dal tribunale, ma, al contrario, fondamentale per valutare la fondatezza della domanda secondo i parametri richiesti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2.

5. Il motivo è infondato. Anche in tal caso il ricorrente non si confronta con la decisione impugnata: la quale, invero, dopo aver ritenuto non necessaria una nuova audizione del ricorrente, ha evidenziato come quest’ultimo, in udienza, aveva espressamente affermato di non avere nulla da aggiungere rispetto alle dichiarazioni rese innanzi alla commissione e di confermare quanto ivi dichiarato “di talchè – ha concluso – una nuova audizione risulterebbe ultronea”.

6.1. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il richiedente non era credibile.

6.2. Così facendo, però, ha aggiunto il ricorrente, il tribunale, non avendo posto in discussione l’accadimento raccontato dal richiedente, non ha dato applicazione ai criteri legali menzionati dall’art. 3 cit., a norma del quale, quando taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prova, tali elementi sono considerati veritieri quando il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ed ha fornito tutti gli elementi in suo possesso.

6.3. La prova, del resto, dev’essere sì fornita attraverso elementi seri, precisi e concordanti, ma l’onere probatorio è attenuato, per cui, ha concluso il ricorrente, la valutazione svolta dal tribunale, che ha richiamato per relationem le motivazioni indicate diffusamente nel provvedimento della commissione, non è idonea a fondare il rigetto della domanda di protezione internazionale proposta dal ricorrente.

7. Il motivo è infondato. In tema di protezione internazionale, infatti, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente, che ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018). Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente fossero poco credibili, condividendo il giudizio espresso sul punto dalla commissione in ordine ai fatti che lo stesso ha narrato e alle ragioni che l’avrebbero indotto a lasciare il suo Paese. Ed è noto che la valutazione d’inattendibilità costituisca un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatti decisivi, nella specie neppure dedotti con la necessaria specificità.

8. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che l’integrazione sociale non può ritenersi di per sè sufficientemente idonea al riconoscimento della protezione umanitaria ma non ha compiuto alcun esame comparativo rispetto alla condizione in cui si troverebbe in caso di rimpatrio.

9. Il motivo è infondato. Il tribunale, infatti, ha ritenuto che non sono emerse situazioni di particolare vulnerabilità del richiedente, non essendo a tal fine sufficiente la sua integrazione sociale. Del resto, ha aggiunto il tribunale, dalla valutazione comparativa tra la situazione che il richiedente ha in Italia, quella che ha vissuto prima della partenza e quella in cui si troverebbe a vivere in caso di rientro, non emerge “un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa”. Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto, non avendo il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito nonchè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risultino esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.).

10. Il ricorso, per l’infondatezza di tutti i motivi nei quali risulta articolato, dev’essere, quindi, rigettato.

11. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

12. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al ministero controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 2.200,00, oltre alle spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020

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