Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15044 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15044 Anno 2014
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 3297-2009 proposto da:
FALAPPA DANILO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
CASAL DE’ PAZZI 148, presso lo studio dell’avvocato
FELICIANI WALTER, rappresentato e difeso dagli
avvocati GAIA BECCACECI,

LEONARDI RICCARDO giusta

delega a margine;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIE DELLE ENTRATE UFFICIO
DI ANCONA;
– intimati Nonché da:

Data pubblicazione: 02/07/2014

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che latrappresenta e difende;
– controricorrente incidentale –

FALAPPA DANILO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
CASAL DE’ PAZZI 148, presso lo studio dell’avvocato
FELICIANI WALTER, rappresentato e difeso dall’Avvocato
LEONARDI RICCARDO giusta delega a margine;
– controricorrente incidentale nonchè contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ANCONA;

intimato,

avverso la sentenza n. 178/2007 della COMM.TRIB.REG.
di ANCONA, depositata il 20/12/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/05/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato LEONARDI che si
riporta agli scritti;
udito per il controricorrente l’Avvocato VARONE che si
riporta agli scritti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi.

contro

RITENUTO IN FATTO.
1.

A seguito di processo verbale di constatazione

dell’8.10.02, veniva notificato a Falappa Danilo, titolare della ditta individuale D&D, un avviso di accertamento, con il quale l’ufficio recuperava a tassazione, ai
fini IRPEF, IRAP ed IVA per l’anno di imposta 1998: l)
l’indebita deduzione di costi e l’indebita detrazione
gettivamente inesistenti; 2) l’omessa contabilizzazione
di ricavi e l’omessa fatturazione, in relazione a vendite
di telefoni cellulari; 3) l’omessa autofatturazione in
relazione ad acquisti di telefoni cellulari acquistati
senza fattura; 4) omessa fatturazione di operazioni ritenute non integranti cessioni all’ esportazione, non imponibili ai sensi dell’art. 8 d.P.R. 633/72.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dal Falappa dinanzi
alla CTP di Ancona, che accoglieva parzialmente il ricorso, annullando l’accertamento per quanto concerne le imposte dirette, ed annullando, altresì, quanto all’IVA, il
recupero di imposta relativo agli acquisti effettuati
senza fattura.
3. L’appello principale avverso tale pronuncia, proposto
dal Falappa, e l’appello incidentale proposto dall’ Agenzia delle Entrate, venivano entrambi rigettati dalla CTR
delle Marche, con sentenza n. 178/4/07, depositata il
20.12.07, con la quale il giudice di seconde cure riteneva, per un verso, fondato l’addebito dell’Ufficio relativo alla indetraibilità dell’IVA sulle fatture emesse per
operazioni soggettivamente inesistenti, per altro verso,
legittima, ai fini delle imposte dirette, la deducibilità
dei costi documentati dalla medesime fatture.
4. Per la cassazione della sentenza n. 178/4/07 ha, quindi, proposto ricorso Falappa Danilo, articolando tre motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale affidato
a tre motivi ed illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO

dell’IVA su fatture emesse per operazioni ritenute sog-

1. Con il primo motivo di ricorso, Falappa Danilo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 114,
125 e 329 c.p.p., 63, co. l del d.P.R. 633/72 e 33, co. 3
del d.P.R. 600/73, in relazione all’art. 360, co. l, n. 3
c.p.c.
1.1. Si duole, invero, il ricorrente del fatto che la CTR
abbia ritenuta legittimo e valido l’atto impositivo, nocertamento tributario in discussione, gli atti di indagine raccolti dalla Guardia di Finanza nel procedimento penale n. 1870/02 RGNR, promosso, per gli stessi fatti,
dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ancona. Ed infatti, ad avviso del Falappa, a differenza
dell’ipotesi in cui la Guardia di Finanza operi sia come
polizia tributaria che come polizia giudiziaria, il presupposto indefettibile per l’utilizzabilità dei documenti, dei dati e delle notizie acquisiti in sede penale,
allorquando – come nella specie – i verbalizzanti operino
solo come organi di polizia giudiziaria, sarebbe costituito dall’autorizzazione del Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 63 del d.P.R. 633/72.
1.2. Nel caso concreto, peraltro, sebbene una sorta di
provvedimento autorizzatorio dell’organo giudiziario in
questione sussista, esso – risolvendosi nella laconica
locuzione “v ° si autorizza” – sarebbe del tutto privo di
motivazione, in violazione di quanto prescritto per i decreti penali dall’art. 125 c.p.p., e non sarebbe stato
neppure depositato nella segreteria del Pubblico Ministero. Sicchè detto provvedimento non potrebbe consentire anche in deroga al segreto istruttorio ex art. 329
c.p.p., come prevede l’art. 63 del decreto cit. l’utilizzazione del materiale raccolto dalla polizia giudiziaria in sede di indagini penali.
1.3. Il motivo è infondato.
1.3.1. Va, difatti, osservato al riguardo che, in materia
di IVA – ma lo stesso è a dirsi per le imposte dirette,
stante il disposto dell’art. 33 del d.P.R. 600/73 – l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta

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nostante l’Ufficio avesse utilizzato, ai fini dell’ ac-

dall’art. 63, co. 1, del d.P.R. n. 633/72, per la trasmissione, agli Uffici delle imposte, dei documenti, dati
e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito
di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, e non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi.
Ne discende che la sua mancanza, se può avere riflessi
l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica
l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta
degli stessi. L’autorizzazione in parola è stata, infatti, introdotta per realizzare una maggiore tutela degli
interessi protetti dal segreto istruttorio (C. Cost.
51/92), piuttosto che per filtrare ulteriormente l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali (Cass.
11203/07; 27947/09; 27149/11).
1.3.2. Se ne deve necessariamente inferire – con riferimento al caso di specie – che la sussistenza di un decreto autorizzatorio, seppure non del tutto fornito dei requisiti formali previsti dalla legge, non può,

a fortio-

ri, comportare la dedotta invalidità dell’avviso di accertamento adottato dall’Ufficio sulla base del materiale
raccolto in sede penale.
1.4. La censura in esame va, di conseguenza, disattesa.
2. Con il secondo motivo di ricorso, il Falappa denuncia
la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.,
in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., nonché
l’insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.
2.1. La CTR avrebbe, invero, effettuato – ad avviso del
contribuente – un’illegittima inversione dell’onere della
prova, avendo fatto carico al Falappa di indagare sulle
caratteristiche del cedente, onde accertare se il medesimo fosse un'”impresa di comodo” o una società “cartiera”,
laddove – ed in tal senso si esprime il quesito formulato
a conclusione del motivo di ricorso – spetterebbe al fisco provare la falsità soggettiva delle fatture contestate.

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anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca

2.2. La motivazione dell’impugnata sentenza – a fronte
della constatata effettività delle operazioni di acquisto
poste in essere dal contribuente – sarebbe, poi, del tutto carente, quanto all’inesistenza soggettiva di tali
operazioni, per una serie di ragioni esposte dal ricorrente nell’illustrazione della censura.
2.3. Il motivo è inammissibile.
giunta proposizione di doglianze ai sensi dei numeri 3) e
5) dell’art. 360, co. 1, c.p.c., salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, nonché, per il secondo, dal momento di
sintesi o riepilogo, in forza della duplice previsione di
cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile nratione temporis” alla fattispecie concreta (cfr. Cass. 12248/13;
Cass.S.U. 7770/09).
2.3.2. Ebbene, nel caso concreto il motivo manca del momento di sintesi, giacché si conclude solo con un quesito
di diritto relativo all’onere della prova dell’ inesistenza soggettiva delle operazioni in contestazione, che
– ad avviso del ricorrente – cederebbe a carico dell’ Amministrazione finanziaria.
2.4. Per tali ragioni, pertanto, la censura non può essere accolta.
3. Con il terzo motivo di ricorso, Falappa Danilo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19
e 21 del d.P.R. 633//2, in relazione all’art. 360, co. 1,
n. 3 c.p.c.
3.1. Avrebbe errato la CTR – a parere del ricorrente nel ritenere che, nell’ipotesi di fatturazioni emesse da
un soggetto diverso dall’effettivo cedente, l’IVA, benché
regolarmente versata, non risulterebbe detraibile. Ed invero, a fronte di operazioni realmente poste in essere,
sia pure tra soggetti diversi da quelli apparenti, il
cessionario che abbia corrisposto l’IVA addebitatagli a
titolo di rivalsa, avrebbe, ad avviso del Falappa, il diritto alla detrazione dell’imposta effettivamente assol-

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2.3.1. Ed invero, deve considerarsi inammissibile la con-

ta, pena la violazione del principio fondamentale di neutralità dell’IVA, sancito dall’ordinamento comunitario.
3.2. Il motivo è infondato.
3.3. Va osservato, infatti, che, in materia di IVA, la
fattura è documento idoneo a rappresentare un costo
dell’impresa, comprensivo dell’incidenza dell’imposta in
parola sul prezzo di acquisto dei beni, attesa la disciEd, in tali limiti, essa può certamente costituire una
prova a favore dell’imprenditore o del professionista,
nei rapporti con il fisco.
Ben si intende, allora, che in ipotesi di fatture che
l’Ufficio ritenga relative ad operazioni oggettivamente,
o anche solo soggettivamente, inesistenti, o che – ancorchè effettivamente poste in essere – si iscrivono in combinazioni negoziali fraudolente ai danni del fisco,
l’Amministrazione stessa ha l’onere di provare che
l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che
figurano nella fattura, o che tale documento sottende
un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe. E non può revocarsi in dubbio che tale prova possa
essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, l’art. 54, co. 2, del d.P.R. n.
633/72 (analoga previsione è contenuta, per le imposte
dirette, nell’art. 39, co. 1, lett. d) del d.P.R. n.
917/86) (cfr. Cass. 21953/07, che fa riferimento alla
possibilità che l’amministrazione produca elementi anche
indiziari, a sostegno della pretesa fiscale azionata;
Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12;
27718/13; nello stesso senso, C. Giust.

6.7.06, C-

C. Giust., 21.2.06, 0-255/02; C. Giust. 21.6.12,
439/04,
C -80/11; C. Giust. 6.12.12, 0-285/11; C. Giust. 31.1.13,
C-642/11).
3.4. Ora, è di tutta evidenza che – nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti – è escluso in radice che
possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale sa bene se una determinata fornitura

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plina del suo contenuto di cui all’art. 21 d.P.R. 633/72.

di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno.
3.5. Principi più articolati trovano applicazione in relazione al caso in cui l’Amministrazione contesti al contribuente di avere adoperato, ai fini della detrazione
dell’IVA, fatture solo soggettivamente inesistenti, ovverosia che la fattura sia stata emessa da un soggetto diservizio.
3.5.1. A tal riguardo, la Corte europea ha, da ultimo,
ribadito che se – tenuto conto di evasioni o irregolarità
commesse dall’emittente della fattura, o comunque a monte
dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione – tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, si deve dimostrare, alla luce di
elementi oggettivi ed alla stregua dei principi
sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza,
peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al
fatturante, o la disponibilità dei beni di cui trattasi)
alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o
avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva
nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che – secondo la Corte di Lussemburgo – spetta al giudice del rinvio verificare (C.
Giust. 6.12.12, cit.; 31.1.13, cit.).
3.5.2. Nel medesimo ordine di idee, questa Corte – in decisioni recenti – ha rilevato, al riguardo, che la prova,
fornita dall’Amministrazione, che la prestazione non è
stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito
della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale
adeguata alla sua esecuzione, costituisce di per sé, per
la sua pregnanza dimostrativa, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente. L’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante
– cessionario o committente) induce, invero, ragionevolmente ad escludere in via presuntiva – a fronte di una
conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività eco-

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verso dall’affettivo fornitore del bene o prestatore del

nomica – l’ignoranza incolpevole del cessionario o committente circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto
non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo
del pagamento dell’imposta. In tal caso, sarà – di conseguenza – il contribuente a dover provare, in applicazione
dei principi ordinari sull’onere della prova vigenti nel
nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a codella prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione
dell’IVA versata (Cass. 6229/13).
3.5.3. Ed infatti, come questa Corte ha più volte affermato, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente
– come nel caso di specie – l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e
fornisca attendibili riscontri indiziari sull’inesistenza
delle operazioni fatturate, ricade sul contribuente medesimo l’onere di dimostrare la fonte legittima della detrazione, altrimenti non operabile. Il cessionario, in
particolare, ha l’onere di dimostrare almeno, anche in
via alternativa, di non essersi trovato nella situazione
giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni
pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in
ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso
della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di
non essere stato in grado di abbandonare lo stato di
ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti nell’evasione (Cass.
8132/11, 23074/12).
3.5.4. A tal fine, per le ragioni suesposte, non è – tuttavia – sufficiente dedurre, da parte del contribuente,
che la merce sia stata consegnata e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata, trattandosi di
circostanze pienamente compatibili con il modello di frode fiscale, posto in essere mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cass. 17377/09; 230744/12). E
tanto meno può considerarsi sufficiente la dimostrazione

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noscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o

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della regolarità formale delle scritture o le evidenze
contabili dei pagamenti, in quanto si tratta – com’è del
tutto evidente – di dati e circostanze facilmente falsificabili dal contribuente (cfr. Cass. 1950/07, 12802/11).
3.5.5. D’altra parte, la provenienza della merce stessa
da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture,
non è una circostanza indifferente ai fini dell’IVA.
dere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza,
sull’entità

dell’imposta

legittimamente

detraibile

dall’acquirente; per altro verso, l’indetraibilità
dell’IVA, nelle operazioni soggettivamente inesistenti, è
ancorabile proprio all’incoerenza dei termini soggettivi
dell’operazione rispetto a quelli della fatturazione
(artt. 19, co. l, e 21, co. 7 e 26, co. 3 del d.P.R.
633/72), cioè alla dirompente alterazione della corretta
sequenza tra operazioni a monte ed operazioni a valle,
costituente il fulcro del disposto di cui all’art. 17
della VI Direttiva IVA, secondo cui il giudice nazionale
deve negare il diritto alla detrazione,

se risulta dimo-

strato che il diritto dell’Unione Europea sia stato invocato
Giust.

in modo
6.7.06,

fraudolento

(Cass.

6229/13;

C- 439/04,

C. Giust.,

24426/13;

C.

21.2.06, 0-255/02;

C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, 0-285/11;
C. Giust. 31.1.13, 0-642/11).
3.6. Tutto ciò premesso, è – pertanto – evidente che, nel
caso di specie, non giova alla contribuente, come correttamente ritenuto dal giudice di appello, dedurre e
comprovare l’avvenuto pagamento delle fatture, compresa
l’IVA addebitatale in rivalsa, e l’effettivo ricevimento
e successiva rivendita della merce, a fronte di elementi
di forte spessore indiziario e presuntivo, forniti in
giudizio dall’ Amministrazione finanziaria, a riprova del
fatto che i telefonini cellulari venivano acquistati dal
Falappa direttamente presso ditte sammarinesi, e non
presso le apparenti venditrici italiane Intercom Telefonia e Sisma s.r.l. Ed invero, tali elementi – peraltro
evidenziati anche dalla stessa sentenza di appello, ed

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Per un verso, infatti, la qualità del venditore può inci-

attinti dalle risultanze del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza – consistono:
l) nel fatto che la sottoscrizione apparentemente apposta
dal titolare della ditta Intercom Telefonia, Buzzoni Daniele, sui documenti di trasporto che avrebbero dovuto
attestare la consegna della merce dalla venditrice italiana all’acquirente Falappa Danilo, è stata disconosciugni emessi in pagamento;
2) nel fatto che detti assegni sono risultati, invece,
consegnati dal Falappa in pagamento al fornitore sammarinese Tic Tac Shop s.n.c., presso il quale il contribuente
ritirava i telefonini acquistati che provvedeva a trasportare presso la propria ditta, come è risultato
dall’esame dei documenti di trasporto;
3) dal fatto che, in relazione ai presunti acquisti effettuati dal contribuente presso la ditta italiana Sisma
s.r.1., il controllo delle movimentazioni autostradali,
effettuato dalla Guardia di Finanza sui tabulati rilasciati dalla Società Autostrade, ha rivelato – a fronte
della dichiarazione rilasciata dal Falappa di avere provveduto al ritiro della merce in Frosinone – che nei giorni indicati non risultavano esservi pagamenti sul percorso Roma-Napoli, mentre, nelle stesse date, si riscontravano registrazioni in relazione al percorso dal casello
di Ancona Nord (sede della ditta Falappa) a quello di Rimini Sud (casello autostradale di San Marino).
3.7. Orbene, non può revocarsi in dubbio che i fatti imputati dall’Ufficio al Falappa sulla scorta dei riscontri
operati dalla Guardia di Finanza – pagamento direttamente
alle ditte sanmarinesi e ritiro e trasporto della merce
acquistata, direttamente da San Marino alla ditta del
contribuente, senza transito presso le cd. società cartiere interposte – evidenziano la piena consapevolezza e
partecipazione del Falappa alla frode fiscale.
D’altro canto, a fronte degli elementi di prova presuntiva suindicati, non risulta acquisita alcuna dimostrazione
di segno contrario da parte del contribuente, al di là

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ta dal Buzzoni, come pure la firma di girata degli asse-

delle circostanze – di per sé non significative, in quanto rientranti nel modello stesso dell’operazione in esame
– della ricezione della merce e del pagamento del relativo prezzo, IVA compresa; per cui il diritto alla detrazione di imposta non può, di conseguenza, considerarsi
sussistente.
3.8. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, la
4. Passando, quindi, all’esame dei motivi di ricorso incidentale proposti dall’Agenzia delle Entrate, va rilevato che, con i primi due motivi – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – l’ Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 75 del d.P.R. 917/86 e 2697 c.c., in
relazione all’art. 360, co. l, n. 3 c.p.c., nonchè
l’insufficiente motivazione su fatti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.
4.1. Si duole, invero, l’Amministrazione finanziaria del
fatto che la CTR abbia disatteso l’appello incidentale
proposto dall’Ufficio in relazione alla deducibilità dei
costi, documentati dalle fatture che lo stesso giudice di
appello aveva ritenuto relative ad operazioni soggettivamente inesistenti. La CTR avrebbe, invero, tralasciato di
valutare che le società “cartiere” italiane, nell’ emettere le fatture fittizie, trasformavano una parte
dell’imponibile in imposta. Sicchè, non avrebbe potuto
essere considerato sussistente, nel caso di specie, il
requisito della certezza dei costi in parola, che – secondo il disposto dell’art. 75 del d.P.R. 917/86 (nel testo applicabile ratione temporis)

costituisce un pre-

supposto essenziale ai fini della deducibilità di tali
componenti negative del reddito di impresa.
4.2. Il giudice di appello sarebbe, altresì, incorso – al
riguardo – nella violazione del disposto di cui all’art.
2697 c.c., non avendo applicato il principio – affermato
più volte dalla giurisprudenza di questa Corte – secondo
cui ricade sul contribuente l’onere di dimostrare le componenti negative del reddito, sia sotto il profilo della

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censure in esame non può che essere disattesa.

loro esistenza, sia per quel che concerne la loro certezza ed inerenza.
4.3. Le censure sono fondate, nei limiti e con le precisazioni che si passa ad effettuare.
4.3.1. Va – per vero – osservato in proposito che, in materia di imposte dirette, l’art. 14, co. 4 bis della 1.
24.12.1993 n. 537 – come novellato dall’art. 8, co. l del
– prevede che “nella determinazione dei redditi di cui
all’articolo 6, comma l, del testo unico delle imposte
sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in
deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni
di servizio direttamente utilizzati per il compimento di
atti o attività qualificabili come delitto non colposo
per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso
il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo
424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non
luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso
codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura
penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice
fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa
di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una
sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi
dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete
il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione
alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo
precedente e dei relativi interessi”.
Il co. 3 della medesima disposizione, per quanto qui interessa, ha – dipoi- stabilito che le disposizioni di cui
al citato co. l “si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o

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d.l. 2.3.2012 n. 16, convertito dalla 1. 26.4.2012 n. 44

- 12 –

attività posti in essere prima dell’entrata in vigore”
dello stesso co. l, “ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al
citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi”.
4.3.2. Ebbene, sul tema questa Corte ha già avuto occalazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 16
del 2012, che in forza della nuova normativa, poiché nel
caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni
acquistati – di regola (salvo il caso, ad esempio, in cui
il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento) – non sono stati utilizzati
direttamente per commettere il reato, ma, nella maggior
parte dei casi, per essere commercializzati, non è più
sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole,
dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a
dette operazioni. Resta, peraltro, pur sempre ferma la
verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in
relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza,
competenza, certezza, determinatezza o determinabilità
(cfr. Cass. 10167/12; 3258/13; 12503/13; 24429/13, le
quali tutte hanno cassato la decisione di appello con
rinvio, ai fini dell’accertamento di tali presupposti per
la deducibilità dei costi).
4.3.3. Ed è del tutto evidente che, stante il chiaro disposto del succitato co. 3 dell’art. 8 d.l. n. 16/12, la
disciplina in parola ha efficacia retroattiva (Cass.
5342/13), sicchè essa si applica anche alla fattispecie
concreta, ancorchè la vicenda, relativa all’anno 1998, ne
preceda l’entrata in vigore.
4.4. Orbene, nel caso concreto, i due motivi di ricorso
si fondano, non solo sulla sussistenza di un’operazione
elusiva e sulla consapevolezza del carattere frodatorio
della stessa in capo alla contribuente, sulla scorta di

12

sione più volte di rilevare, anche sulla scorta della re-

- 13 –

MENTEDAREGISTRAZIONE
AI SENSI DEL DPR. 26/4/1986
N. 131 1A8. ALL. B. – N.5
MATERIA TRIBUTARI

una serie di elementi forniti dall’Amministrazione, che,
però, pur essendo decisivi – come dianzi detto – ai fini
dell’esclusione della detraibilità dell’IVA, non rilevano
ai fini delle imposte dirette, ma anche sul difetto del
presupposto della certezza dei costi. Deduce, infatti,
l’Amministrazione che le imprese cartiere, nell’emettere
le fatture fittizie, trasformavano una parte dell’ impodine all’ammontare delle fatture portate in deduzione”.
4.5. Ne discende che, in accoglimento delle censure suesposte, l’impugnata sentenza – in conformità ai citati
precedenti di questa Corte – va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR delle Marche, affinchè, attenendosi
ai principi di diritto suesposti, accerti la sussistenza,
o meno, nella fattispecie concreta, dei requisiti della
certezza e determinatezza dei costi, ex art. 75 d.P.R.
917/86 (nel testo applicabile ratione temporis).
5. L’Agenzia delle Entrate, nella memoria ex art. 378
c.p.c., ha rinunciato al terzo motivo di ricorso, con il
quale era stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 41, co. 6 del d.P.R. 633/72. Il motivo è,
pertanto, inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse (cfr. Cass. 15962/03, in motivazione).

nibile in imposta, per cui “non sussiste certezza in or-

6. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquiDEPOSITATO IN CANCELLEW
dazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

LUS. 2014

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso principale; accoglie il primo e secon
do motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibile il terzo; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai
motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, che provvederà
alla liquidazione anche delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezi e Tributaria, il 13.5.2014.

Il Funz
Marce ‘ ;

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